Dustborn sorprende ma non sempre per i motivi giusti | Recensione

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Un viaggio da evitare?

Devo ammettere che nello scoprire per la prima volta Dustborn (acquistabile da GameStop a questo link) ho provato un interesse piuttosto genuino: la nuova produzione dell’etichetta Spotlight by Quantic Dream dopotutto offriva un insieme di tanti elementi apprezzabili, dalla forte componente narrativa agli inserti da gioco ritmico e da action game.

Graffiante nello stile, distopico nell’immaginario e adornato da quell’atmosfera da fumetto americano estremamente utile ad accogliere tematiche importanti ma al tempo stesso ad alleggerirle quando serve, il gioco di Red Thread Games si è inserito di prepotenza tra i nomi caldi dell’estate – almeno per il sottoscritto.

Diversa però è la questione una volta trovatisi di fronte al gioco: Dustborn infatti è un lungo e a tratti faticoso viaggio attraverso sentimenti, dilemmi e conflitti che esplorano in modo molto interessante la sfera umana, abbracciando con un po’ di superficialità (o rassegnazione forse?) invece la costruzione del mondo di gioco.

Interessante comunque il canovaccio proposto: siamo nel 2030 in quello che dovrebbero essere gli Stati Uniti, nazione che però ha vissuto una virata decisa a livello storico quando nel tentativo di assassinare JFK viene invece uccisa sua moglie (per poi sposarsi Marylin Monroe… capolavoro). Da quel momento la patria della libertà diventa teatro di un inasprimento netto del controllo della legalità: la nuova Repubblica d’America si affida alle forze speciali della Justice per limitare la criminalità, andando a incarnare però la crudeltà e la spietatezza dei regimi da sempre combattuti.

Ad aggiungere carne al fuoco ci pensa il “Broadcast”, misterioso evento che nel 2000 ha generato una grandissima emissione di informazioni sotto forma di audio e voci, andando ad alterare lo stato psicofisico di tutte le persone coinvolte nel suo raggio d’azione, divenute preda di variazioni del proprio stato emotivo (rabbia, tristezza, depressione, etc.) senza possibilità di opporsi.

Ciliegina sulla torta? Alcuni individui sottoposti agli effetti del Broadcast hanno sviluppato dei poteri speciali (chiamati Vox) diventando “Anormali” e da quel giorno sono perseguitati come veri e propri mostri dai Puritani, un gruppo di fondamentalisti pro-tecnologia e anti-anormali. Ovviamente in Dustborn tutte le fazioni andranno a intrecciarsi attorno ai nostri protagonisti, che rappresentano un elemento indeterminato nella battaglia tra ordine e ribelli.

INCLUSIVITÀ FORZATA?

Una delle tematiche più calde emerse nel web parlando di Dustborn è legata a una presunta “inclusività forzata”, che emerge dando uno sguardo al cast: Pax è una ragazza di colore dall’orientamento sessuale non etero e cresciuta da una comunità di donne, Sai è di origine mediorientale, credente mussulmana, e ha qualche chilo di troppo oltre la vitiligine, mentre Noam è una persona non binaria di origini asiatiche dotata di protesi. Difficile far finta che nel creare questo terzetto non abbiano provato a inserire più elementi inclusivi possibili in ogni singolo personaggio, ma è davvero un problema per un giocatore maturo e consapevole che sa filtrare messaggi e comunicazione? Onestamente, verrebbe da dire di no.

In questo contesto particolarmente elaborato, il gameplay invece offre un’esperienza abbastanza “semplice” nella sua struttura. Parliamo di un’avventura 3D con telecamera libera ed esplorazione relativamente lineare, in cui a farla da padrone sono principalmente le interazioni con i personaggi piuttosto che con l’ambiente. Gran parte del tempo lo si passa infatti in scene statiche in cui il cast si raduna per discutere della situazione, lasciando al giocatore la libertà di ruotare la telecamera e scegliere l’opzione più adatta a proseguire il dialogo.

Il punto di forza più grande di Dustborn è da ritrovarsi nella gestione delle conversazioni, che non si limitano a ruotare attorno alla naturale imprevedibilità di uno scambio, ma aggiungono una componente di moralità spinta quando ci viene offerta la possibilità di usare i poteri di Pax per imporci o indurre l’interlocutore ad arrabbiarsi o a cedere. A maggior ragione quando viene coinvolta Noam, che come uno Jedi ha la capacità di convincere la gente in stile “gaslighting”, disinnescano diverbi prima che avvengano o quietando una persona non in linea con il gruppo. Inquietante immaginarlo in una relazione… relazione che tra Pax e Noam c’è stata, tra l’altro.

Ovviamente il tutto è inserito in un sistema di bivi narrativi e modifica dell’allineamento dei personaggi coinvolti, quindi ogni mossa va pesata con grande attenzione. Da premiare la volontà di inserire numerose ramificazioni (ad occhio siamo a livelli ben più complessi rispetto, per dire, ai titoli Telltale) anche per situazioni marginali, cosa che sicuramente personalizza l’esperienza ma che a volte non necessariamente si traduce in un vero valore aggiunto.

Ad aumentare le nostre possibilità di dialogo e arricchire le nostre capacità di gestire gli imprevisti ci pensano gli “echi”, strascichi del Broadcast nascosti nelle aree di gioco che vanno scovati e catturati con il nostro “Me-em”, dispositivo portatile che in stile GameBoy che permette a Pax di vedere “oltre” il mondo reale. Collezionando gli echi (con un breve minigioco stile acchiappafantasmi) si sbloccano nuovi poteri sempre più curiosi ed efficaci.

I momenti più dinamici sono riservati alla musica e al combattimento, due elementi inseriti in modo curiosamente efficace a livello di narrativa e gameplay: il gruppo dei protagonisti è composto da fuggitivi che intendono attraversare il paese usando come copertura un tour della propria band (un classico), chiamata appunto “Dustborn”. Sfruttando un gameplay molto semplice di interazione dei tasti frontali, con tanto di citazione a Guitar Hero, si dovrà approfittare dei momenti di pausa per “comporre” nuove canzoni per testarle quando opportuno prima dell’esibizione.

Ovviamente non tutto andrà sempre per il verso giusto e a volte i guai saranno fin troppo bravi a evitare la nostra copertura: toccherà quindi dedicarsi al combattimento per avere la meglio di inseguitori e ostacoli occasionali. In questo caso le meccaniche base, comprensive di attacchi, parate e schivate, risultano molto limitate e rigide, ma vanno ad arricchirsi grazie ai poteri vocali con cui è possibile non solo infliggere molti danni a un singolo nemico, ma anche alterare il comportamento delle forze in campo, magari spingendo i nemici a combattere tra loro.

Dustborn risulta abbastanza funzionale e sufficientemente adeguato in ogni sua parte, non fosse per le troppe incertezze che a livello tecnico impattano sull’esperienza. Nei dialoghi non esiste un’opzione per lo “skip”, utile a far scivolare meglio le situazioni meno interessanti, così come manca del tutto un’opzione di selezione dei capitoli o dei checkpoint, fondamentale in un gioco così ricco di scelte e che a ogni passo si prende la briga di rimarcare le nostre azioni sottolineando la percentuale di giocatori che hanno compiuto questa o quella scelta.

Così non va: troppi problemi tecnici

Se da un lato Dustborn funziona a livello estetico e di caratterizzazione, dall’altro è innegabile che qualcosa non vada da punto di vista del mero codice. Durante la recensione si è incorsi in troppi bug, con alcuni di questi che hanno compromesso intere partite rendendo i save letteralmente da buttare, senza la possibilità di affidarsi al caricamento di momenti precedenti. Se proprio interessa il gioco, il suggerimento è di aspettare un po’ dopo la fase di lancio, attendendo eventuali feedback dei giocatori e patch relative. Che magari i boss incastrati nel cielo ce li possiamo evitare.

Per quel che concerne il sistema di combattimento, fin dai primi istanti può capitare di incappare in banali problemi di “out of bounds”, con nemici scaraventati fuori dall’area di azione che rimangono attivi bloccando la progressione delle orde. In questi casi il gioco non si è bloccato, ma ha comunque offerto una resa molto sgraziata facendo sparire di colpo i nemici bloccati o teletrasportando nel mezzo dell’azione i boss incagliati nel fondale. Ma l’azione è solo un corredo per un titolo simile, quindi possiamo sospirare e andare oltre.

L’impressione è che Dustborn sia stato messo insieme con tanto talento, disponendo però di poco tempo o bravura per quel che concerne il lavoro di rifinitura non solo tecnica, ma anche di visione e design. Non si può negare che stilisticamente il mondo sia interessante o che le trovate visive fumettistiche possano colpire a dovere, così come è evidente che le tematiche siano ben pensate a livello morale nella creazione del dilemma del giocatore.

Eppure si ha costantemente la sensazione che l’immaginario creato, di sicuro vincente nella mente degli autori, arrivi a schiacciare il gioco con il suo peso, ostacolando in un certo senso la riuscita di alcune situazioni. Non si tratta di giudizio sul contenuto in sé (quello sta alla persona), ma alla poca naturalezza e raziocinio con cui vengono messe in fila le situazioni. È al limite del tollerabile la facilità con cui si professa prudenza per poi compiere atti di follia scriteriata e ci si aspetti che, in nome del “bene” dei personaggi e del messaggio che incarnano, tutto possa andare a buon fine.

La mancanza di naturalezza si traduce in un inizio in media-res poco convincente, che dovrebbe “agganciare” lo spettatore per la sua peculiarità ma che invece offre personaggi non necessariamente gradevoli caratterialmente e un ritmo piuttosto fiacco, tutto in un mondo a tratti incomprensibile.

Col tempo si prende confidenza con terminologie e situazioni, ma nel mentre si viaggia un po’ sperduti aggrappandosi a dialoghi e personalità, non sempre brillanti o apprezzabili. Lo spettatore è catapultato nel bel mezzo di una quotidianità di relazioni consolidate che, come tali, sono fatte anche di brutture e incomprensioni. Ci vuole tempo a ingranare ma non necessariamente questo tempo è speso bene, e ciò impatta sul godimento del gioco nel suo complesso.

Conclusioni

Dustborn, va detto con il cuore, è un’occasione mancata. Si tratta di un prodotto chiaramente ricco di qualità, che ha coinvolto talenti e idee, ma che ha dato vita nel complesso a un potpourri non riuscitissimo di elementi diversi, tenuti insieme da una personalità che non appare del tutto genuina.

Il ritmo discutibile e le incertezze tecniche (anche gravi) non sostengono a dovere l’ennesima storia di reietti perseguitati dal regime, anche perché il cast parte in quarta e fa il possibile per non essere gradito a chi non ha la pazienza di empatizzare e leggere tra le righe.

Fosse stato più snello e meno ambizioso forse avrebbe avuto meno carattere, ma questo stesso carattere probabilmente è ciò che ha impedito a questa comunque interessante opera interattiva di emergere dalla mediocrità come probabilmente meriterebbe.

  • Good
    +Stilisticamente ineccepibile
    +Lodevole l'intento a livello di costruzione dei dialoghi
    +Mondo di gioco interessante
  • Bad
    -Deficitario a livello funzionale
    -Ritmo non armonico, a tratti troppo lento o poco interessante
    -Fa tante cose, ma non bene
  • 6.5 Inespresso

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Conclusioni

Dustborn, va detto con il cuore, è un’occasione mancata. Si tratta di un prodotto chiaramente ricco di qualità, che ha coinvolto talenti e idee, ma che ha dato vita nel complesso a un potpourri non riuscitissimo di elementi diversi, tenuti insieme da una personalità che non appare del tutto genuina.

Il ritmo discutibile e le incertezze tecniche (anche gravi) non sostengono a dovere l’ennesima storia di reietti perseguitati dal regime, anche perché il cast parte in quarta e fa il possibile per non essere gradito a chi non ha la pazienza di empatizzare e leggere tra le righe.

Fosse stato più snello e meno ambizioso forse avrebbe avuto meno carattere, ma questo stesso carattere probabilmente è ciò che ha impedito a questa comunque interessante opera interattiva di emergere dalla mediocrità come probabilmente meriterebbe.

  • Good
    +Stilisticamente ineccepibile
    +Lodevole l'intento a livello di costruzione dei dialoghi
    +Mondo di gioco interessante
  • Bad
    -Deficitario a livello funzionale
    -Ritmo non armonico, a tratti troppo lento o poco interessante
    -Fa tante cose, ma non bene
  • 6.5 Inespresso

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