04 Feb 2022

Dying Light 2: Stay Human – Recensione

L’ambizione funziona un po’ come ogni arma in Dying Light 2: Stay Human: sfruttandola bene porta alla vittoria, ma abusandone, magari senza criterio o cura, ci si ritrova in mano un pugno di polvere. È un modo un po’ poetico per anticipare che, inevitabilmente, qualcosa è andato storto con la maestosa opera di Techland, studio polacco ormai tutt’uno con il brand Dying Light, ricco di idee e buone intenzioni, ma vittima di problemi sempre più comuni nell’industry videoludica moderna.

Costi altissimi, silenzi radio, rinvii, complicazioni nella gestione del progetto (a cui hanno lavorato 1500 persone, un numero pazzesco), poi chiaro, anche la pandemia che non ha di certo aiutato. E l’allontanamento di Chris Avellone dopo accuse di un certo peso, punta di diamante del team viste le promesse e le promesse su una grande storia influenzata in maniera concreta da scelte e azioni del giocatore, è stata la proverbiale ciliegina su una torta lasciata fuori dal frigo un po’ troppo a lungo.

Sembra l’introduzione a un disastro di proporzioni bibliche, e invece no: nessun pentimento sulle decine e decine di ore passate tra le strade pullulanti di infetti di Villedor. Ci hanno intrattenuto, regalato emozioni e colpi di scena, donato salti pazzeschi e mazzate nei denti niente male. Al netto però di tanti piccoli, grandi problemi che affliggono l’opera, e che le impediscono di splendere nel firmamento del gaming. Un po’ come il primo capitolo, che nonostante tutto, ancora oggi mantiene ben salda una fanbase vasta e dedicata, che ha chiuso un occhio sui suoi difetti, e che lo farà anche ora con il seguito.

Dying Light 2

Dying Light 2: Stay Human ci prova a farsi amare, ci prova in ogni modo. Lo fa con il suo DNA semplicemente irresistibile, fatto di azione e sopravvivenza, di zombie e di parkour, ma anche di RPG; lo fa con sezioni ricche di atmosfera, al buio, con i gorgoglii di bestie immonde pronte a sbranarci dopo averle svegliate dalla scomoda posizione in cui dormono in edifici abbandonati, di giorno, quando la luce del sole gli corrode ciò che rimane della loro pelle; lo fa con una città più vasta e verticale che mai, ricca di vicoli, di scorci pieni di verde, di angoli di pace in cui tirare il fiato dopo aver superato indenni pozze di veleno giallognolo e orde di bestie affamate o di Rinnegati pronti alla rissa.

Ci prova anche con una trama lunga, contorta, che quando la si scompone in piccole storie di vita (soprav)vissuta dona anche qualche momento mozzafiato, tra la scrittura, le animazioni convincenti dei volti dei personaggi, o la recitazione (rigorosamente in inglese tendente al british), anche di attori di livello (come l’intramontabile Rosario Dawson), ma che nel complesso si sfilaccia, soprattutto al suo culmine, e che perde di significato all’ennesimo, brusco cambio di rotta, o all’ennesima scelta farlocca del giocatore che porterà sempre e comunque a ciò che gli sviluppatori hanno deciso.

Dying Light 2: Stay Human ci prova a farsi amare, ma i problemi incontrati in fase di sviluppo hanno avuto un certo impatto sul risultato finale

Inizialmente si ha la sensazione, il sospetto che ciò che si dice o fa ha un qualche impatto. Un ottimo esempio di questa cosa è l’assegnazione di strutture cruciali per la sopravvivenza in Villedor, sia nella parte vecchia che in quella centrale, ovvero le due macro-aree in cui è diviso il mondo: centrali elettriche e torri idriche, in un mondo post-apocalittico (collocato cronologicamente 15 anni dopo il primo capitolo) quanto più simile al Medioevo, dove non esistono nemmeno le armi da fuoco e ci si trova costretti a combattere con mazze rudimentali e balestre, valgono più dell’oro, più delle monete-del-mondo-che-fu. E dopo aver compiuto missioni dedicate, si può decidere a chi tra due delle tre fazioni coinvolte nell’intreccio principale, ovvero i Sopravvissuti, comuni cittadini, e i Pacificatori, più simili a soldati nelle vesti e nell’approccio, affidare la struttura, e di riflesso, anche l’intero quartiere che la ospita, oltre ai mulini, che fungono sia da torri di vedetta che di rifugi in cui riposare e far scorrere più velocemente il tempo.

Il che si traduce in un parziale cambiamento dell’area: dandola ai primi, aumentano gli strumenti di esplorazione, come trampolini e funi che agevolano le nostre sessioni di parkour; ai secondi, iniziano a spuntare trappole di ogni genere, con cui tenere meglio a bada gli infetti o le ronde di Rinnegati, usciti direttamente da un Mad Max a caso, schegge impazzite immuni a qualsiasi tentativo di tregua. Il problema è che a ogni nuova struttura, il rapporto con la fazione aumenta di livello sbloccando nuovi gadget, ma quella avversaria, nonostante lo sfavore e il danno economico e strategico, verrà comunque a chiederci tranquillamente di aiutarla a combattere il cattivo di turno o di svolgere questo o quel compito, come se non fosse successo nulla.

dying light 2

È davvero un peccato, perché come detto, in alcuni momenti il gioco tocca dei picchi di drammaticità niente male, tanto nelle missioni principali quanto nelle microstorie di quelle secondarie (dove invece gli autori si sono presi qualche libertà creativa in più). Anche in termini di meccaniche: il protagonista, Aiden Caldwell, è un Pellegrino, una sorta di rogue giunto nella Città alla ricerca della sorella Mia, e a causa della sua infezione non può sopportare per lassi di tempi prolungati l’assenza di luce, impedendogli così di stare troppo a lungo al buio e/o in aree chiuse e sotterranee. Una trovata che pone sulle spalle del giocatore una sensazione di impending doom perenne, che rende a tempo anche missioni o attività che non lo sono, quando sono in notturna su precisa richiesta degli sviluppatori, o semplicemente perché al giocatore andava di farla in quel momento, e che dona ancora più coerenza e tensione all’utilizzo di Aiden.

Ma quando ogni snodo narrativo viene accompagnato da dubbi ed esitazioni, c’è palesemente qualcosa che non va.

Dying Light 2 co-op

Esitazioni evidenti anche pad alla mano. Non perché il gioco non sia divertente: l’esplorazione è più fluida e coinvolgente che mai, complici i 60 fps granitici (almeno su PS5 e in modalità Performance, la nostra preferita nel corso della prova) e strutture più verticali e complesse di quelle viste ad Harran (nel primo Dying Light), con tanto di parapendio utile a muoversi più rapidamente sfruttando getti d’aria, almeno fino a che non si sbloccano le metro per spostarsi più comodamente.

Idem i combattimenti, fisici e brutali per via della presenza di sole armi bianche (mazze, asce, tubi), con discreto numero tipologie di nemici, tanto tra gli infetti quanto tra gli umani, e un minimo di studio dell’ambiente circostante per scovare lance da piantare in testa a un nemico o bombole a gas pronte ad esplodere. Due componenti cruciali, entrambi dotati di skill tree ad hoc da sviluppare in maniera organica, semplicemente arrampicandosi o menando le mani, il modo più rapido per accumulare esperienza e sbloccare utili abilità con cui diventare più rapido e/o letale.

Anche la componente tecnica, anche su next-gen, presenta ben più di un compromesso

È che anche la componente tecnica di Dying Light 2: Stay Human, anche su next-gen, presenta ben più di un compromesso, purtroppo. La fisica non è stellare, idem l’Intelligenza Artificiale, che smorza l’entusiasmo di una componente stealth ancora più presente ma vanificata dallo scarso acume degli umani, e tra collisioni non sempre precise e glitch di vario genere, anche dopo qualche patch e hotfix, c’è sempre un po’ di amarezza nel vedere un’arrampicata più difficoltosa del dovuto, o un nemico che si pianta da qualche parte.

In generale poi, sia a 1080p che in 4K, alcuni elementi non brillano né per pulizia né per conta poligonale, creando una dissonanza tra scorci pazzeschi e storture ben visibili. Un peccato, vista comunque la capacità del team di offrire un mondo enorme (ma diviso strategicamente in due), strapieno di dettagli (anche se in molti casi copia-incollati), e di farlo girare a 60 fps granitici, segno che comunque le capacità ci sono eccome, ma è la fase di pulizia che è venuta a mancare. Un peccato tanto più quando ci si rende comunque conto che anche se a volte i combattimenti sono un po’ confusionari (soprattutto in certe boss fight), in generale l’esperienza di gioco è piacevole, tra una marea di attività extra da fare (incluse sfide parkour, ovviamente, od orde di non morti da cui scappare) e un comparto sonoro clamoroso. Il tutto da vivere, volendo, anche in co-op con altri 3 amici online, nelle 40 e passa ore di campagna principale (pronte a raddoppiare e oltre svolgendo ogni singola attività presente sulla mappa).

Conclusioni

Dying Light 2: Stay Human è il classico diamante grezzo, un buon gioco che voleva e poteva essere un capolavoro, ma che si è arreso al peso delle sue stesse enormi ambizioni. I problemi in fase di sviluppo erano già evidenti dai silenzi radio e dai rinvii, ma pad alla mano, si concretizzano davanti agli occhi del giocatore provando il risultato finale. Le elevate aspettative di una epica trama influenzata dalle scelte multiple si sgonfiano all’ennesima contraddizione imposta da dialoghi e comportamenti dei vari membri delle fazioni, mentre i grandi limiti tecnici intaccano parzialmente il pur valido gameplay, che si divide tra meccaniche di sopravvivenza mai realmente frustranti e ben dosate, la fluida dinamicità del parkour e combattimenti fisici e brutali.

Ma Villedor è immensa piena di micro e macro-attività, di strutture da scalare e sbloccare, di storie da scoprire. E se avete amato il primo Dying Light, al netto dei suoi difetti, allora troverete tanto di buono anche qui, tra le strade polverose e piene di zombie della Città. Soprattutto di notte.

Dying Light 2: Stay Human è acquistabile da GameStop Italia.

Recensioni in evidenza

Tutte le recensioni