San Francisco – Il bello della Realtà Virtuale è che non solo può regalarci esperienze puramente videoludiche diverse dal solito, ma anche di altro tipo, come i simulatori di praticamente qualsiasi cosa, utilizzati in più occasioni come vere e proprie alternative economiche, rapide e sicure al classico training di pura teoria. Non mancano però gli utilizzi di stampo creativo, come Tilt Brush di Google.
Infine c’è chi come Survios, team californiano specializzato proprio nella VR (Raw Data è roba loro), prova a creare un mix, donando un tocco giocoso ed esagerato al processo creativo, e nello specifico alla composizione musicale: Electronauts pone infatti il giocatore in scenari lisergici e dai colori sgargianti, e gli piazza davanti una console con cui darsi alla sperimentazione più ardita, tra remix e puro cazzeggio, da utilizzare per delle jam in solitaria, o persino in compagnia di un amico, vicino o lontano. Ci siamo immersi nel suo flow durante la GDC di San Francisco, e queste sono le nostre impressioni.
La prima cosa da sapere su Electronauts, è che non serve assolutamente un diploma di Conservatorio per divertirsi, o persino per tirare fuori qualcosa di buono. Il “gioco” si adatta infatti di continuo al nostro ritmo, indipendentemente dalla nostra precisione, e si adegua alle nostre strambe improvvisazioni e ai nostri repentini cambi di tempo e strumento senza traumi di sorta, rendendo il tutto non solo naturale, ma anche piacevole. L’obiettivo, insomma, non è quello di trasformarci in divinità del dancefloor (nonostante il team abbia lavorato fianco a fianco con gli Stargate, gruppo di produttori norvegesi), ma semplicemente farci passare qualche minuto di pura spensieratezza vivendo e creando musica letteralmente dall’interno, il tutto in un contesto, graficamente parlando, molto simile a Tron, tra neon e la pista lungo cui ci muoveremo in eterno con la nostra postazione ambulante (a proposito, potremo anche cambiare i colori dell’ambiente che ci circonda). I comandi, precisi e rapidi, ci permettono di controllare pienamente i nostri “strumenti”, che hanno una forma più digeribile, proprio per chi non ne ha mai impugnato realmente uno. Si seleziona l’effetto sonoro, dalla forma di un cubetto, e lo si inserisce nel pannello principale, da cui emergono sette sfere, a cui corrisponde la classica scala musicale che già conosciamo. La semplicità e l’immediatezza, complice la forma dei controller (nel nostro caso, gli Oculus Touch del Rift, ma uscirà anche su HTC Vive, e in futuro, forse, anche su PSVR), sta nel “suonare” colpendo ogni sfera con le bacchette impugnate dal nostro alter ego, creando melodie sempre diverse, oppure pattern da far ripetere all’infinito, su cui poi elaborare il nostro arrangiamento. Alla nostra destra (nell’ambiente virtuale) avremo a disposizione delle “granate”, al cui lancio corrisponderà un suono o un rumore con cui arricchire, sempre in maniera molto ludica, la nostra traccia, mentre a sinistra potremo impostare la drum machine, scegliendo tra varie tipologie di batteria, e quale parte della stessa riprodurre, così come dei pattern (intro, drop, verse) da pre-programmare, con cui dare una forma più definita e classica alla nostra traccia, nel caso in cui volessimo eseguirla nella sua interezza (magari durante una esibizione, o un live streaming). Potremo anche attingere da linee vocali pre-registrate, rumori random (come versi di animali), effetti sintetici classici tra i vari proposti dal team, ma anche campionarne di nostri, e persino modificare l’onda sonora per creare momenti di vuoto prima dell’esplosione, il tutto, merito della realtà virtuale, senza il classico, noioso, limitarsi a pigiare tasti senz’anima (o meglio, non del tutto).
Il nostro primo impatto non ci ha però lasciato unicamente sensazioni positive: il poco tempo a disposizione e il breve “tutorial” offertoci dai membri del team non ci ha permesso di padroneggiare come si deve l’intero “arsenale” a disposizione del nostro DJ digitale, lasciandoci in più occasioni in balia di noi stessi, ma senza però riuscire a cavare un ragno dal buco. Il caos della fiera, inoltre, non ci ha permesso di godere pienamente di ogni sfumatura sonora, al punto da non riuscire nemmeno a percepire gli effetti generati dalle “granate”, il che ci ha impedito di godere al massimo di Electronauts. Abbiamo comunque apprezzato alcune soluzioni legate alla UI, a partire dalla semplicità con cui è possibile “suonare” gli strumenti e gli effetti, ma in fase di selezione degli stessi ci si deve pur sempre confrontare con un discreto numero di tasti e menu: la musica che si adatta al ritmo del giocatore, anche impreciso, potrà anche permettere a chi non ha mai visto un metronomo di creare qualcosa di decente, ma in assenza di una minima infarinatura, dovrà comunque impiegare non poco tempo per prendere confidenza con la “console”.
Electronauts non è un rhythm game, e a dirla tutta non vuole nemmeno essere un “game”: preferisce infatti offrire un vero e proprio software musicale, e renderlo adatto a tutti dandogli un aspetto ludico e intuitivo. La missione, per ora, pare però riuscita solo a metà: se la potenza del software è infatti palese, al punto da riuscirsi ad adattare in maniera naturale al flow del giocatore, nascondendo i suoi errori sia di ritmo che tonali, richiede non tanto un’infarinatura musicale, quanto una certa dose di tempo per prendere dimestichezza con la sua interfaccia, in parte molto intuitiva, ma che nasconde alcune funzionalità dietro qualche menu e bottone di troppo. Una critica che però ci sentiamo di congelare temporaneamente, in attesa di provarlo con più calma e con meno confusione nei paraggi, e possibilmente con un paio di cuffie indosso, cosa che non ci è stata possibile fare alla GDC.