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Etherborn – Recensione

Piuttosto che concentrarsi nell’intrattenere, Etherborn sembra preoccuparsi quasi esclusivamente di intavolare con l’utente un dibattito filosofico, quando non politico. La particolarissima creatura di Altered Matter, figlia di un crowdfunding andato a buon fine, non può prescindere dalla pretesa di indagare sull’origine dell’umanità, intesa come civiltà, come società in costante mutamento che pur si sforza in ogni modo di ingabbiare l’esistenza entro concetti, formule, parole. Scindere le ambizioni ludiche da quelle antropologiche, disciolte in una trama quantomai evanescente ed in un art design fecondo di suggestioni, è un errore da non compiere, discriminante non da poco che per forza di cose taglierà fuori una buona fetta di pubblico, poco incline a produzioni proiettate ad offrire un’esperienza, piuttosto che una sfida da completare facendo affidamento a riflessi e materia grigia.

Il titolo di Altered Matter, in breve, va vissuto come un viaggio interiore, intimo e disorientante non solo perché gioca con la prospettiva, proponendo puzzle ambientali in cui modificare la forza di gravità per superare gli ostacoli.

Etherborn, come il titolo lascia presupporre, è una gigantesca e vibrante allegoria, una cosmogonia lisergica che sviluppa e rilegge in parallelo nascita e crescita dell’uomo e della civiltà.

In un rassicurante e stilizzatissimo utero materno, prenderete confidenza con i controlli e con le regole di base che dominano questa onirica realtà totalmente aliena, dominata da colori tenui, da una natura schiva e da costruzioni architettoniche prese in prestito da un quadro di De Chirico.

L’obiettivo è raggiungere di volta in volta la meta, nel tentativo ultimo di conquistare la sommità di un gigantesco albero, metafora del progressivo incatenamento dell’uomo a precetti e assiomi che imbrigliano la nostra conoscenza e percezione.

Una voce narrante, guiderà costantemente i vostri passi. Al contrario di altri giochi, come Bastion per esempio, non si tratterà di una sorta di cicerone, intento a descrivere le vostre azioni e i luoghi che esplorerete. L’osservatrice onnisciente, al contrario, si limiterà a palesare le allegorie, introducendo ed accennando tematiche esistenzialiste, cosmogoniche, antropologiche.

Il trial and error è caratteristica indivisibile da Etherborn

Sullo sfondo di un’esplorazione dai ritmi blandi, fortunatamente animata dal fascino che scaturiscono i paesaggi e gli scorci di cui sarete spettatori, si sviluppa il gameplay dell’opera, anch’esso piuttosto evanescente e regolato da pochissime meccaniche.

Ogni enigma, per essere risolto, prevede la raccolta ed il corretto posizionamento di un monolite all’interno di marchingegni che attivano ponti, ricreano sentieri, sgomberano la strada da eventuali ostacoli. Per farlo, come già anticipato, dovrete giocare con la prospettiva, correndo lungo le pareti curve dello scenario, al fine di modificare il verso della forza di gravità. Fondamentali, insomma, colpo d’occhio, intuizione, ragionamento, strumenti imprescindibili per risolvere un puzzle dopo l’altro.

Il trial and error, dovuto spesso e volentieri alla non sempre corretta identificazione delle pareti su cui è effettivamente possibile effettuare lo switch della gravità, è caratteristica indivisibile da Etherborn, che solo nella parte finale dell’epopea propone schemi davvero complessi, che impegneranno anche gli esperti del genere per più di una manciata di minuti.

Conclusioni

Etherborn non è un gioco per tutti. Ludicamente interessante, ma tutt’altro che graffiante, è un puzzle game dal level design certamente soddisfacente, per quanto non certamente indimenticabile.

Anche la longevità piuttosto contenuta, parliamo di un’avventura che si consuma nel giro di tre, quattro ore al massimo, fa si che il focus della produzione risieda altrove, nelle innumerevoli suggestioni veicolate sia da un art design tanto delicato, quanto alienante, sia dalla voce narrante che dischiude e al tempo stesso innesca allegorie che tirano in ballo la storia evolutiva dell’umanità.

Un titolo più da vivere che da giocare, rivolto ad una ristretta cerchia di utenti, attratti da un certo tipo di esperienze.