La morte, nella stragrande maggioranza dei videogiochi odierni, è solo l’occasione perfetta per prendersi una pausa dalla propria sessione, andare in bagno, buttar giù qualcosa da mangiare o da bere. In un Dark Souls qualsiasi (o un Souls-like) è un calcio negli stinchi del giocatore, accompagnata da cori infernali e maledizioni di quest’ultimo per l’ennesima tonnellata di anime perse, e con esse qualche mezz’ora di gioco. Nei roguelike come Everspace, si trasforma invece in un simbolo, ed acquisisce un potere catartico tale da spazzar via (quasi) ogni accezione negativa, finendo col farsi accogliere a braccia aperte, o persino trasformarsi in brillante scelta tattica.
Ma come ha fatto RockFish Games, un team di Amburgo composto da sole 10 persone (tra cui veterani dell’industry, c’è da dire), a trasformare la nostra visione della morte, un traguardo inseguito da millenni da religioni e filosofie di ogni genere? Con un intelligente stratagemma: nel peregrinare cosmico dell’astronauta da noi controllato, dotato di nome ed identità differenti ad ogni nuova partita, sarà possibile trovare, nelle carcasse dei velivoli nemici abbattuti o in scatolette fluttuanti, dei crediti, volgarmente conosciuti come soldi. E un po’ come accadeva in Egitto ai tempi dei faraoni, Everspace permette al giocatore morente di portare con sé, nell’al di là, parte dei suoi beni terreni. Per far cosa, vi starete chiedendo? Potenziare la propria astronave, l’unica costante (insieme a pochi altri elementi) in questo ciclo infinito di morti, rinascite, e viaggi interplanetari. E l’unico modo per migliorarla, e sbloccare perk di ogni genere, è quello di gestire saggiamente i crediti trovati un po’ ovunque nell’universo generato proceduralmente di Everspace.
Urge però una precisazione, in quanto gli universi generati proceduralmente, negli ultimi tempi, non hanno avuto troppa fortuna: data la natura del progetto, piccolo ma che non rinuncia ad un’oncia di ambizione, il team ha ben pensato di ridurre al minimo i rischi dividendo questo suo universo in Settori, almeno per il momento senza nome, a loro volta suddivisi in singole porzioni di spazio, larghe giusto qualche chilometro quadrato. Per passare da un punto all’altro dovrete semplicemente puntare per qualche secondo verso il Jump Gate (il portale che vi proietterà in un nuovo settore), badando bene di avere sufficiente carburante con voi (pena: rischio esplosione e morte violenta), e di non trovarvi sotto l’incessante fuoco nemico. Capiterà anche di dover distruggere un qualche sensore (ovviamente ben protetto) che ne impedisce l’individuazione delle coordinate: fate sempre molta attenzione.
Ad ogni nuova partita, vi troverete al cospetto di paesaggi e situazioni differenti
Ad ogni nuova partita, vi troverete al cospetto di paesaggi e situazioni differenti: sciami di asteroidi nel nulla cosmico, aree de-militarizzate improvvisamente invase da pirati spaziali, strutture distrutte adombrate da un mastodontico pianeta dalle sembianze di Saturno, impianti di estrazione attivi 24 ore su 24 i cui precisi e letali raggi si confondono con il rosso del magma di qualche stella, o il bagliore di chissà quale corpo celeste, a chissà quanti anni luce di distanza. Cambiano gli sfondi (anche se la sensazione di déjà-vù vi accompagnerà a lungo), ma anche le cose da fare in ogni singolo “livello”, e in maniera totalmente casuale: passerete da scontri al fulmicotone con gli Outlaws, o con gli Okkar, dei pericolosi rettiliani armati fino ai denti, alla raccolta di risorse di ogni genere, come gas, cristalli e minerali; esplorerete i resti fluttuanti di battaglie tra civiltà diametralmente differenti, scoprendone via via più dettagli grazie all’entità che vi aiuterà e guiderà nel vostro peregrinare interstellare (con una voce davvero fastidiosa, purtroppo); farete scambi con volti (per modo di dire) amici presso stazioni di servizio, dove potrete barattare oggetti e risorse, ricaricare il vostro carburante, e persino riparare la vostra astronave mal ridotta dopo un combattimento (sempre che non vogliate ripararvela da soli).
Oppure niente di tutto questo. Nel senso che un’intera run potrebbe svolgersi più o meno così: livello 1, nulla cosmico; livello 2, imboscata di Okkar potentissimi, zero drop; livello 3, un singolo asteroide con giusto qualche cristallo al suo interno; livello 4, un nuovo nulla cosmico; livello 5… boom, esplosione, perché nel serbatoio non c’è nemmeno una goccia di carburante. Un problema comune alle esperienze che puntano tutto (o quasi) sulla generazione procedurale, che se, da una parte, permette di protrarre realmente all’infinito un gioco, al contempo, oltre a renderlo ripetitivo, rischia di spaccare in due il pubblico e l’esperienza di ogni singolo giocatore: ci sarà quindi la fazione di chi si è trovato al cospetto di partite genuinamente divertenti e piacevoli, opposta a quella di chi ha assaporato nient’altro che morte, distruzione e miseria.
Everspace ripudia il realismo estenuante di tanti altri colleghi a tema spaziale a suon di controlli intuitivi e immediatamente digeribili
Allo stato attuale delle cose (Everspace è ancora fresco di Early Access, quindi ben lontano dal completamento, ndr), non possiamo però lamentarci di come ci è andata, finendo quasi sempre malissimo dopo qualche settore, ma vivendo dei playthrough variegati e divertenti. Merito sicuramente dell’ottimo comparto tecnico (della versione PC), che si è dimostrato sempre solido e mai avaro di dettagli ed elementi su schermo, ma anche delle buone intuizioni alla base del gioco, che ripudia il realismo estenuante di tanti altri colleghi a tema spaziale a suon di controlli intuitivi e immediatamente digeribili (quelli su mouse tastiera, un po’ meno quelli via controller), combattimenti veloci e coinvolgenti, difficili al punto giusto, ma leggibili ed immediati (merito del comodo lock-on), movimenti dell’astronave innaturalmente fluidi e scattanti (preparatevi a manovre funamboliche attraverso fessure di ogni genere), e un sistema di crafting indubbiamente esoso (e anch’esso regolato dal caso), ma che permette in qualsiasi momento, anche nel bel mezzo di uno scontro, di potenziare le armi primarie (mitragliatrici, raggi laser e spara-proiettili di ogni genere), rifocillare quelle secondarie (missili, perfetti per azzerare gli scudi nemici), e creare al volo qualche prezioso oggetto, come sonde che scansionano l’ambiente circostante e mettono in risalto i preziosi (ma minuscoli) container (che contengono armi e utili risorse) o boost di energia.
Scordatevi quelle sensazioni sognati ma agrodolci di un No Man’s Sky o di un Elite Dangerous (e non solo perché non è contemplata l’esplorazione dei singoli pianeti): almeno per il momento, vi ritroverete a fare più o meno le stesse cose di partita in partita. Ma il team ha in serbo una campagna con tutti i crismi (dalle 20 alle 40 ore di gioco), che, sempre a loro dire, gli permetterà di sperimenterà pesantemente con la narrazione e la natura procedurale dell’esperienza, con l’obiettivo di ottenere qualcosa di fresco ed innovativo. Per ora ci facciamo bastare e non poco quel lento, progressivo, e per certi versi “bastardo” sistema di crescita, che trasforma ogni morte ed ogni infimo passo in qualcosa di elettrizzante, perché potrebbe aumentare di qualche minuto la nostra sopravvivenza nella prossima partita, e nessuno sa come sarà questa prossima partita: dove andremo a finire, come finirà il nostro viaggio, di quale orribile morte moriremo?
Insomma, Everspace, al momento disponibile in Early Access su PC e nel Preview Program di Xbox One, promette davvero tanto. Il team ha ancora molto su cui lavorare, ma pare avere le idee molto chiare. Tra bilanciamenti vari dell’esperienza, ripetitività da sventare con qualsiasi mezzo a disposizione, e alcuni dettagli da rivedere totalmente (a partire dal comparto sonoro, tra soundtrack totalmente fuori contesto e un pessimo voice acting), RockFish Games avrà il suo bel da fare da qui al Q1 2017, ma ha il vento (solare) in poppa. Già da ora (quasi) perfetto per chi non vede l’ora di intraprendere un bel viaggio interstellare senza però aver bisogno di un reale brevetto di volo, o per chi è pronto a rinunciare a molte feature e ad affrontare un tasso di difficoltà comunque punitivo, in cambio di un’esperienza (tipica di ogni roguelike ben fatto) piacevole e in grado di soddisfare la propria sete di spazio.