A poco più di sette mesi dalla prima apparizione sulle nostre piattaforme di gioco, The Evil Within giunge al proprio capolinea con The Executioner, terzo DLC sviluppato da Mikami e dai ragazzi di Tango Gameworks a coronamento delle perigliose avventure del detective Sebastian Castellanos.
Dopo averci stupito positivamente con la precedente coppia di contenuti aggiuntivi (The Assignment e The Consequence), entrambi incentrati sulla misteriosa figura di Juli Kidman, il babbo di Resident Evil stravolge completamente le carte in tavola con un’avventura diametralmente opposta, dedicata stavolta ad uno dei personaggi più inquietanti e apprezzati dell’intera IP: il Custode.
Forte di una storia originale nuova di zecca e una rivisitazione a 360 gradi delle meccaniche di gioco, il canto del cigno di The Evil Within parrebbe partire da solide premesse, condite immancabilmente da quegli elementi ultra violenti e sadicamente gore a cui Mikami ci ha abituati. Peccato che le tre ore scarse di gioco che ci attendono sembrino vertere inesorabilmente verso un verdetto molto meno entusiastico e che, al netto di alcune trovate davvero brillanti, le avventure del mostro con la testa chiusa in una cassaforte lascino un deciso retrogusto amaro in bocca. E ora vi spieghiamo perché.
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Le premesse narrative di questo The Executioner sono estremamente interessanti. Il team di sviluppo opta per un brusco cambio del punto di vista, mettendoci nei pesanti panni del Custode – un personaggio che già nei precedenti excursus abbiamo imparato a temere, ma sulla cui verità non era mai stata gettata luce. Ebbene, sotto la “corazza” di uno dei nemici più pericolosi ed instancabili di questo universo macabro si nasconde un padre senza nome, entrato volontariamente all’interno del famigerato STEM per salvare la propria figlia, anch’ella vittima del diabolico sistema che collega più menti in un unico, terrificante incubo. Sistema che, progressivamente, sta logorando la mente della bambina condannandola senza pietà ad una lenta e folle morte. Non si tratta certo di un plot twist da poco: un terribile mostro che, nonostante le apparenze, così mostruoso non è ma che, al contrario, cerca di strappare con le unghie la propria creatura dal baratro di pazzia su cui volteggia inconsapevole. Per certi versi, potremmo quasi intravedere dei collegamenti narrativi al primo indimenticabile Silent Hill, laddove, nel capolavoro Konami, la ricerca della figlia portava alla materializzazione degli incubi e delle paure incontrollate del protagonista mentre qui è proprio l’alter ego a volersi far demone in un universo popolato di demoni.
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Superato il breve video introduttivo ci ritroviamo tra le mani il ben noto martello, sfruttando un’inedita inquadratura in prima persona che sembra voler immergere ulteriormente il giocatore nell’ultimo delirante tassello della lucida follia di Ruvik. Nonostante le fattezze del Custode sembrino affermare il contrario, i suoi movimenti sono complessivamente veloci: potremo scattare, accovacciarci, piazzare una discreta varietà di trappole (di cui parleremo a breve) e, cosa da non sottovalutare, sfruttare una sorta di scansione psichica tramite la quale individuare collezionabili altrimenti invisibili. Il tutto, ovviamente, senza dimenticare la forza fisica del nostro antieroe, abbondantemente superiore a quella di gran parte delle creature che andremo ad incontrare nelle tre ore circa di gioco. Sotto questa luce, la scelta della telecamera in prima persona è azzeccata: da un lato perché enfatizza ulteriormente una rinnovata tendenza allo splatter esasperato, una sinfonia di esecuzioni brutali, crani ridotti in frantumi e corpi scagliati contro enormi tritacarne che arricchiscono il design dei livelli. Dall’altro perché il senso di possanza e di brutalità del Custode permea senza filtri da questa inquadratura, rendendo il playthrough iniziale estremamente accattivante.
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Parlando di arsenale bellico, vista la natura del personaggio non si poteva che dare enfasi al combattimento melee. Che l’enorme martello basti da solo a spedire al mittente gran parte dei problemi ambulanti di The Executioner è abbastanza un dato di fatto, ma è bene ricordare che il Custode avrà dalla propria altri gingilli utili, come bombe molotov e dinamite, oltre che le immancabili trappole di filo spinato che tanto hanno fatto penare Castellanos. Ogniqualvolta un nemico cada vittima di una di queste, potremmo decidere se finirlo con un’esecuzione spietata o, qualora la stanza lo permetta, gettarlo contro uno dei già citati tritacarne. Il risultato, in ambo i casi, consisterà in una buona dose di sangue sparsa su tutto lo schermo e in un quantitativo variabile di monete (che vanno a sostituire il Gel Verde usato in precedenza) da investire per livellare il PG .
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Le armi a nostra disposizione non finiscono comunque qui: prima di mettere le mani sul boss finale dovremo infatti abbattere cinque “creature” speciali, ciascuna delle quali – a trapasso eseguito – lascerà in eredità succulenti gingilli quali una motosega o un lanciamissili. Non che quest’ultimo sia inutile, per carità, forse un pizzico fuori luogo. Qualora le munizioni sparse per la celebre Magione Vittoriana non dovessero bastare, sarà possibile far scorta spendendo le citate monete; lo stesso dazio ci verrà richiesto per aumentare specifiche caratteristiche del Custode (quali Forza, Difesa, Velocità o Resistenza) o per massimizzare la capienza di quest’ultimo in modo da portare con sé un numero maggiore di oggetti. Gli investimenti possibili sono numerosi, ma chiunque abbia già sconfitto Ruvik una volta non avrà problemi a venirne a capo.
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Quanto esposto sino a questo momento lascerebbe presagire una conclusione col botto per la creatura del terrore di Mikami: sceneggiatura interessante, cambio di prospettiva azzeccato, fighting schema semplice ma violento e soddisfacente. La realtà dei fatti, purtroppo, è ben altra, e la festicciola organizzata da Tango Gameworks nella Magione di The Evil Within parte sì col botto, ma esaurisce rapidamente il proprio mordente. Il primo campanello d’allarme lo fa suonare proprio il sistema di combattimento, superficiale tanto all’apparenza quanto alla prova dei fatti visto che, in gran parte delle occasioni, si ridurrà ad un button mashing forsennato contro qualsiasi cosa si muova in nostra prossimità. Lo scarso peso dato alle armi non aiuta certo la soluzione: la motosega regala emozioni sadiche indimenticabili, non lo mettiamo in dubbio, ma visto che gran parte dei problemi si risolvono comodamente col martello perchè complicarsi eccessivamente la vita? La superficialità della componente offensiva trova parziale riscontro anche in quella “semi-rolistica”: è vero che il Custode è potenziabile sotto numerosi aspetti, ma basta portare al massimo danno offensivo e salute per trasformarsi in degli Hulk del terrore che non temono rivali. E vincere facile è bello soltanto i primi minuti: poi ci si annoia in fretta.
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Se sul versante tecnologico possiamo dirci complessivamente soddisfatti, seppur non vi siano evidenti segni di miglioramento rispetto al materiale del titolo principale, fa storcere il naso l’evidente riutilizzo di gran parte degli asset. La location di questo terzo DLC (la citata villa tanto cara a Mikami, teatro del nono capitolo di The Evil Within) è riproposta senza alcuna novità, sia questa una sezione precedentemente inaccessibile o una semplice stanza segreta. Non che potessimo pretendere stravolgimenti brutali nel level design, ma un pizzico di diversificazione in più avrebbe reso più memorabile l’avventura del Custode. Lo stesso discorso si applica al design dei nemici, vincolato a doppia mandata all’episodio principale in modo ancor più evidente rispetto alla coppia di DLC precedente. The Executioner resta ancora sporco, ruvido e sanguinolento agli occhi, ed è assolutamente un bene: peccato che, superata la prima mezz’ora, finisca implacabilmente di stupire.
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In conclusione…
Stravolgere le carte in tavola non porta sempre a risultati eclatanti. Non che Tango Gameworks debba dimostrar ulteriore coraggio, dopo quanto fatto dallo scorso ottobre ad oggi. Ed è abbastanza oggettivo l’impegno del team di sviluppo nel cercar di proporre un gameplay rivisitato sin nelle fondamenta, condito da un tessuto narrativo interessante che getta luce su particolari ad oggi rimasti colpevolmente nell’ombra. Tuttavia, se è ancora vero che “la mela non cade mai troppo distante dall’albero“, qualcosa dev’essere andato storto durante la gestazione di questo DLC. Vuoi per un gameplay superficiale e sbrigativo, che per gran parte del tempo si riduce a premere compulsivamente il tasto associato all’attacco, vuoi per un riciclo esasperato di scenari, situazioni e nemici e per l’assenza di qualcosa di davvero memorabile, delle tre ore circa necessarie a raggiungere i titoli di coda definitivi soltanto le prime riescono a veicolare emozioni forti. Tutto il resto finisce per scivolar via senza lode né infamia, trascinandosi ripetitivamente sino alla boss fight finale. La partita contro il Male sarà anche stata vinta, ma la gara avrebbe potuto essere nettamente migliore.
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