far cry primal
News 22 Feb 2016

Far Cry Primal – Recensione

Like a Rollin’ Stone (Age)

Da quattro anni a questa parte, Far Cry lo conosciamo davvero tutti. Non che le avventure di Jack Carversiano passate inosservate la bellezza di dodici anni fa, o che l’esordio su PS3 e Xbox 360 del franchise di casa Ubisoft si sia tristemente spiaggiato nella baia delle aspettative deluse: al contrario, l’IP originariamente tenuta in mano da Crytek e passata interamente al Publisher d’oltralpe a partire dalla seconda declinazione è stata da subito capace di grandi cose, convincendo critica e pubblico per profondità di gameplay, per libertà di gioco e per un comparto tecnologico ragguardevole, tanto su PC quanto su console. Poi, un bel giorno arriva lui,Vaas Montenegro, e di colpo tutti i riflettori si accendono. L’apoteosi del successo di Far Cry 3, indubbiamente il capitolo più iconico e coinvolgente del franchise, è cosa nota: un punto di svolta epocale per la serie, giunta alla propria completa maturazione – narrativa, tecnologica e prettamente ludica – e, inesorabilmente, destinata a diventare un “appuntamento fisso” per milioni di giocatori, pronti a perdersi in quelle dinamiche squisitamente open world e in una quantità di contenuti, ancora oggi, riscontrabile in pochissime produzioni.

Più che naturale, dunque, proseguire nel solco tracciato da Far Cry 3: ed è quello che, poco meno di due anni fa, fece Ubisoft col quarto capitolo ufficiale della saga, una storia pregiata ad altissime quote che, tra un elefante da cavalcare e un’escursione in tuta alare tra i crepacci himalayani, dovette accontentarsi di un centro quasi perfetto. Bissare la popolarità di un antagonista del calibro di Vaas era impossibile, ma era altrettanto difficile non notare la parziale mancanza di “coraggio” dello sviluppatore, che al netto di un paio di introduzioni interessanti (rampino in primis) e di un cambio totale di location, non apportò sostanziali modifiche alla ricetta base: bello, ma davvero quel 4 non avrebbe potuto essere un 3.5?

Da oggi, a quanto pare, la musica è destinata a cambiare. Con l’ottava generazione di console ben avviata nella propria marcia, Ubisoft scende in campo senza quella logica numerica che aveva caratterizzato le precedenti produzioni. Il che, badate, non deve trarre in inganno: Far Cry Primal non è un episodio parallelo alla serie principale, o una sorta di transizione al quinto capitolo maggiore di cui, chissà, parleremo da qui a due anni. Primal è Far Cry al 100%, un open world nudo e crudo come non se ne vedevano da un pezzo. E, senza nemmeno troppi giochi di parole, il punto di svolta migliore a cui una serie con oltre dieci primavere sulle spalle potesse ambire.

Far Cry Primal

Piattaforma: PS4, Xbox One, PC

Genere: Action FPS

Sviluppatore: Ubisoft Montreal/Toronto

Publisher: Ubisoft

Giocatori: 1

Online: Assente

Lingua: Testi in Italiano, Audio in Wenja

Versione Testata: Xbox One

La narrazione di Far Cry Primal inizia lontano, molto lontano. Approssimativamente 10 mila anni prima della nascita di Cristo, quando un giovane cacciatore di nome Takkar assiste alla morte di alcuni membri della propria tribù nel mezzo di una battuta di caccia al mammut. Uno di questi, a cui l’eroe pare essere particolarmente legato, gli affida un’estrema missione: esplorare in lungo e in largo le pericolose terre di Oros, cercare tutti i sopravvissuti della leggendaria tribù Wenja e, con essi, dare il via ad una nuova civiltà. L’avventura di Takkar ha inizio con un braccialetto di pelle impreziosito da denti animali, segno distintivo dei Wenja, in un universo preistorico meraviglioso solo all’apparenza. Le terre di Oros nascondono infatti pericoli mortali: e alle belve feroci, che si muovono giorno e notte alla ricerca di cibo, si affianca il predatore più pericoloso di tutti, l’uomo. Le tribù degliIzila, signori del fuoco, e degli Udam, letali maestri della guerra, bramano con violenza gli ultimi Wenja rimasti per torturali o renderli schiavi: toccherà dunque a Takkar proteggere i propri compagni dalle numerose minacce di un mondo non ancora evoluto, ma già estremamente abile nell’arte dell’uccisione.

Il miglior punto di svolta a cui una serie come Far Cry potesse ambire

Già da questo abbozzo di sceneggiatura, che abbiamo volutamente lasciato nel vago non volendo rovinare nulla di quanto vi attende, possiamo intuire la prima vera novità di questo capitolo: l’assenza di qualsivoglia tipologia di arma da fuoco o automatica. In Far Cry Primal ci sono svariati modi di uccidere, ma tutti gravitano attorno al concetto violento e primordiale di arma bianca. Arco e frecce, lance con punta di selce, “coltelli” di pietra tagliente o clave più o meno avanzate frutto della combinazione di ossa di mammut e pietre: questi sono soltanto alcuni degli esempi dell’arsenale a disposizione di Takkar, destinato ad aumentare sensibilmente al progredire dell’avventura senza però mai tradire le proprie origini primitive. Origini da cui non può certo mancare il fuoco, “arma ma non solo” per i mammiferi a due zampe del tempo, e a cui si aggiungono diavolerie insolite come leBombe della Pazzia (che sfruttano piante dai peculiari effetti allucinogeni) o Pungenti (realizzate catturando piccoli alveari di api).

Checché se ne dica, insomma, nel mesozoico non ci si annoiava di certo. L’armamentario iniziale di Takkar,limitato ad un arco elementare e ad una clava d’osso piuttosto rozza, si dimostra velocemente inadatto alla missione cui è chiamato. Servono materie prime con cui forgiare frecce o punte da lancia, o altri materiali con cui migliorare la capacità offensiva di quanto già in possesso. L’esplorazione delle vaste terre di Oros rappresenta la soluzione migliore a tutti i “problemi” legati alle meccaniche del crafting: Takkar potrà infatti raccogliere svariate tipologie di legno secco, con cui creare frecce, muoversi alla ricerca di ardesia, Sangue di Oros o altri minerali da combinare in armi più efficaci. A questo vanno aggiunte le immancabili piante dalle foglie colorate, dalle cui misture derivano poteri curativi, energizzanti o in alcuni casi allucinogeni, e le pelli degli animali: che, inutile dirlo, in quel di Oros abbondano sia in quantità, sia – e soprattutto – in dimensione.

Che il crafting non sia una novità all’interno del franchise è cosa assodata: chiunque abbia provato gli ultimi due capitoli, ricorderà le abilità dei relativi protagonisti di preparare siringhe curative o borse porta-oggetti di capienza maggiore sfruttando il frutto dell’esplorazione degli scenari. In Far Cry Primal, tuttavia, il concetto di crafting viene spinto alla massima potenza: in un universo dove nulla è stato ancora “inventato”, se si vuole sopravvivere è fondamentale crearsi in autonomia non solo armi e munizioni, ma anche le risorse più elementari. Come il fuoco da appiccare ad una torcia, ricavandolo dal grasso animale raccolto dopo una battuta di caccia. Non è dunque un caso se le frecce a nostra disposizione siano sempre troppo poche, nonostante la possibilità di recuperarne alcune dai corpi uccisi, o se le lance si rompano rapidamente dopo un paio di utilizzi intensi. L’universo di Primal,vegetale e animale, è ritagliato attorno a questo concetto: il predatore più letale è quello che meglio riesce ad adattarsi all’ambiente, e sfruttare al meglio le risorse a propria disposizione trasformandole a proprio vantaggio è la chiave per la sopravvivenza.

Sotto questa luce, viene naturale capire per quale motivo la caccia rappresenti uno degli aspetti principali di Far Cry Primal. Takkar è un cacciatore prima che un guerriero, dotato di una speciale abilità (la Visione del Cacciatore) che gli permette di individuare rapidamente animali, predatori e tracce di sangue abbandonate da nemici feriti. Non solo: grazie a questa dote, può anche individuare Udam o Izila nascosti tra le fronde, in modo da pianificare una strategia d’attacco ponderata (magari abbattendoli con un colpo alle spalle) o un’eventuale fuga strategica. L’alternanza giorno/notte di Far Cry Primal si sposa alla perfezione con questo universo: se alla luce del sole è più facile incontrare esponenti di altre tribù, alla ricerca di Wenja da catturare o intenti a procacciarsi cibo, al calare dell’oscurità la situazione cambia drasticamente. Gran parte degli uomini dorme, rendendo la conquista dei villaggi (l’equivalente dei vecchi avamposti) e delle pire (i punti di Fast Travel) leggermente più abbordabile: ma è l’esplorazione a diventare nettamente più pericolosa, data la presenza di feroci belve notturne (tigri dai denti a sciabola, lupi neri e quant’altro) particolarmente affamate.

In Far Cry Primal, il concetto di crafting viene spinto alla massima potenza

Muoversi per Oros in perfetta solitudine, insomma, può essere rischioso. Ecco che dunque torna comoda l’altra grande novità di Far Cry Primal, la possibilità di addomesticare alcune belve feroci e sfruttarle a proprio vantaggio, tanto nella caccia quanto nella lotta con le popolazioni avversarie. Il set di animali addomesticabili è quantomai variegato, e si passa dai classici canidi ai felini (lupi, leoni delle caverne, giaguari) senza tuttavia disdegnare feroci orsi o enormi tigri dai denti a sciabola. Ciascuna tipologia di animale addomesticato ha delle“skill” uniche, che vanno sfruttate con attenzione: i felini, ad esempio, sono predatori letali ma silenziosi, in grado di muoversi nell’ombra e colpire senza essere visti – l’ideale per eliminare la resistenza di un villaggio nemico senza dare troppo nell’occhio. All’antipode troviamo chiaramente l’Orso delle Caverne, un mostro di svariati quintali progettato per uccidere nel peggiore dei modi qualsiasi creatura gli si pari davanti.

Le nostre doti da Signore delle belve saranno inizialmente limitate alla gestione di un gufo, grazie al quale studiare da un punto di vista privilegiato il campo di battaglia, e permetteranno di addestrare quadrupedi di piccola taglia dalla resistenza limitata. L’energia dei nostri aiutanti non è infinita, e dopo un paio di colpi critici anch’essi stramazzeranno al suolo in attesa di essere rianimati (a patto di avere abbastanza cibo per farlo). Più ci si addentra nell’avventura più Punti Abilità verranno raccolti, fattore che permetterà sia di trasformare il nostro volatile in una macchina di morte, sia di ambire ad animaletti più letali affinando ulteriormente l’apposita dote dallo skill tree di Takkar. Anche quest’ultimo aspetto è stato parzialmente rivisitato in Far Cry Primal: il classico albero di progressione del protagonista, già curato in modo impressionante negli ultimi due episodi del franchise, viene ora “partizionato” in modo concorde all’arco narrativo dell’avventura, vincolando alcune tipologie di skill del protagonista (caccia, crafting, capacità di addomesticare, lotta) alla progressione del gameplay e all’aver “sbloccato” uno specifico Wenja speciale, nascosto in quel di Oros.

Takkar non è un lupo solitario, e sin dalle prime battute di gioco farà affidamento a due personaggi chiave nell’economia dell’avventura. La prima è Sayla, giovane Wenja dal carattere forte che colleziona orecchie Udam – rei di averne sterminato la famiglia; oltre a divenire rapidamente la figura di controllo del villaggio Wenja che il protagonista andrà man mano a creare, essa detiene la conoscenza delle piante e delle pozioni. Poi c’è Tensay, il folle sciamano del villaggio specializzato nell’arte di addomesticare bestie. Non solo, è proprio attraverso Tensay che si manifesta il tipico elemento visionario del franchise: lo sciamano è solito preparare invitanti cocktail a base di sangue umano o animale dai forti poteri allucinogeni, in grado di scatenare visioni lisergiche nella mente di Takkar. Grazie ad una di queste, ad esempio, verrà alla luce il legame dell’eroe col proprio totem, il Gufo. Altre, invece, saranno fondamentali per procedere nel playthrough e per accedere a nuove aree: ma non è il caso di anticiparvele oggi e rovinarvi la sorpresa.

Sayla e Tensay rappresentano il nucleo base del villaggio Wenja, destinato ad essere ampliato andando a recuperare un gruppetto di Wenja “speciali” tramite apposite quest. Tra questi c’è Karoosh, un bestione guerraiolo particolarmente scaltro nel corpo a corpo, Wogah, un vecchietto privo dell’avambraccio sinistro e ancor più impazzito di Tensay, maestro nel craftare oggetti, o Jayma, cacciatrice provetta custode di preziosi segreti sull’arte venatoria. Una volta arruolato ciascuno di questi specialisti e costruita una dimora consona all’interno del villaggio (mettete da parte una buona quantità di legno, ardesia e canne: ne avrete disperato bisogno), dal nostro hub sarà possibile accedere ad una pletora di missioni secondarie commissionate dal Wenja di turno. Jayma, ad esempio, ci spedirà in epiche Battute di Caccia alla ricerca di animali leggendari (e dannatamente feroci), mentre per assecondare le follie di Wogah ci ritroveremo sul bordo di un picco altissimo a recuperare piume di aquila, con tanto di volatile furibondo a pattugliare la zona.

Ciascuna di queste missioni speciali non ha influenze dirette sulla narrativa principale di Far Cry Primal, anche se le ricompense o gli item raccolti nel loro corso permettono a Takkar di evolvere più rapidamente, di avvalersi di belve domate più feroci o di craftare oggetti più utili e letali. Non solo: accogliere nel villaggio uno specialista dà accesso istantaneo ad armi o a ricompense speciali, alcune delle quali fondamentali: Karoosh, ad esempio, premia la nostra generosità con un una giacca di pelle pesante, imprescindibile per sopravvivere al gelo delle regioni settentrionali di Oros; Wogah, tra un insulto e l’altro, saprà dirci invece qualcosa di utile sul prezioso Sangue di Oros. La presenza di queste personalità illustri, inoltre, farà approdare al nostro villaggio nuovi Wenjasuperstiti, che pianteranno dimora attorno alla nostra caverna dando vita ad un nucleo stabile. Maggiore il numero dei nostri “concittadini”, maggiore la quantità di risorse (cibo, legname, pelli) che essi produrranno quotidianamente e a cui Takkar potrà accedere da apposite Sacche Ricompensa. Voleste incrementare in modo sensibile la popolazione Wenja, le lande di Oros mettono a disposizione di Takkar una lunghissima serie di eventi casuali a cui prendere parte: assistere un gruppetto di Wenja durante un attacco nemico, liberare i prigionieri catturati da Udam o Izila, scortare alcuni Wenja dispersi nei boschi rappresentano soltanto alcune soluzioni per garantire prosperità al proprio villaggio. E, a dirsela tutta, per non ritrovarsi a corto di viveri e legno proprio nel mezzo di una battuta di caccia grossa.

Questi eventi “flash”, come da tradizione Far Cry, rappresentano soltanto una fetta esigua delle possibilità offerte al giocatore, che oltre alle missioni principali, alla pletora di side quest (delle cui icone arancioni perderete rapidamente il conto ad ogni accesso alla mappa) e alle bizzarre richieste di aiuto degli abitanti del villaggio potrà sbizzarrirsi per Oros alla ricerca di collezionabili (pitture rupestri, artefatti primitivi, mani magiche) o girare l’enorme mappa di gioco in lungo e in largo stanando tutti i punti di interesse disponibili. Può sembrare retorica, ma di cose da fare in Primal non ne mancano affatto: e al netto di una main story appassionante nonostante una longevità tutto sommato minore rispetto a quella dei più recenti capitoli passati, è difficile, se non impossibile, resistere alle lusinghe di Oros e gironzolare senza meta, perdersi a vagare nelle aride zone meridionali o nel gelo del nord mettendo in saccoccia legna e minerali preziosi, cacciando qualche grosso predatore nel mentre.

Da un punto di vista tecnologico, il lavoro svolto dai team canadesi di Ubisoft (Montreal e Toronto) è di altissimo livello. La versione Xbox One da noi provata non ha dato segno di incertezze anche nei frangenti più delicati: e considerando la vastità degli ambienti che caratterizzano Far Cry Primal e la mole di poligoni mossa (immaginate un branco di una dozzina abbondante di mammut al pascolo), c’è davvero da rimanere soddisfatti. Complice un frame rate capace di dar prova di stabilità anche nei momenti più delicati, Primal vanta un charachter design – almeno nella modellazione dei personaggi primari – encomiabile: da Wogah a Karoosh, da Urki alle due donne della squadra, Jayma e Sayla, passando per l’iconico Tensay, l’ultima creatura Ubisoft è la Sagra del dettaglio. Volti, abiti e fattezze corporee sono ricreati con una cura certosina, seconda soltanto alla fortissima carica emotiva che traspare dalle espressioni dei citati primari. Mettici una recitazione di alto livello, mettici un Dunia Engine finalmente ottimizzato e sfruttato come si deve e i risultati parlano da soli.

Coraggio, volontà di osare e un pizzico di follia: questo è Far Cry Primal

Se nulla possiamo dire sul level design e sulle scelte artistiche alla base della creazione dell’universo di Oros, risulta quasi difficile trovare il proverbiale pelo nell’uovo: potremmo lamentare una differenziazione dei modelli nemici non sempre così evidente tra appartenenti alla stessa tribù, o delle animazioni non fluidissime per gli animali di taglia maggiore (orsi e mammut). Ma sono dettagli che passano in secondo piano di fronte al lavoro complessivo del team di sviluppo, così enorme da trasparire anche da dettagli marginali solo all’apparenza, come l’intelligenza artificiale degli animali. Provate ad andare a caccia di giaguari in compagnia di un banale lupo o di un orso delle caverne, e vedrete da soli la differenza. Per quanto riguarda l’aspetto sonoro, impossibile non plaudere all’idea, davvero geniale, di creare una lingua quanto più simile possibile ai prototipi linguistici usati dai primi “mammiferi a due zampe” per comunicare: in Far Cry Primal, l’italiano sarà relegato ai soli sottotitoli, che tradurranno peraltro in modo elementare i concetti espressi a stento nella cosiddetta lingua Wenja. Un linguaggio studiato da Ubisoft e esperti linguistici di formazione universitaria, che gli stessi attori hanno dovuto poi assimilare al meglio per poi procedere nella recitazione. Una faticaccia enorme, ma il risultato “parla” da solo.

Il trailer di lancio di Far Cry Primal.

In conclusione…

Coraggio, volontà di osare e un pizzico di follia: questo è Far Cry Primal. Un titolo di cui sentiremo parlare ancora per parecchio tempo, che dopo le incertezze cross-generazionali della passata declinazione riesce in un sol colpo a spazzar via ogni ragionevole dubbio sulla salute della serie. Alla prova dei fatti, il primo capitolo davvero current gen del franchise di casa Ubisoft non sbaglia un colpo: e l’assenza di una componente online imprescindibile nel mercato delle tripla A viene sopperita perfettamente da una narrativa appassionante e un comparto tecnologico delle grandi occasioni, a braccetto con un gameplay rinnovato che pur senza tradire i propri illustri natali si reinventa e si ri-ammoderna con un tuffo carpiato di oltre 12 mila anni nel passato. Un mondo puro e incontaminato, dove ogni passo potrebbe essere l’ultimo e in cui, ieri come oggi, non esiste pericolo maggiore dell’essere umano. Sia esso travestito da Udam, Izilao addirittura Wenja.

Violento come il cacciatore che affonda gli artigli nella carne della preda e ne assapora il sangue sulle labbra: Far Cry Primal è primitivo, selvaggio, brutale come il suono del cranio fracassato sotto il colpo di una clava, letale come quell’ombra sinuosa che ti sembra di intravedere pochi istanti prima di ritrovarti senza giugulare nel collo. Un’esperienza da vivere tutta d’un fiato, cruda e senza freni sociali che possano minare il nostro unico obiettivo; la sopravvivenza, nostra e del nostro villaggio. Perché Oros non è abbastanza grande per ospitare tutti quanti: e in un mondo dove solo chi sa adattarsi sopravvive, non c’è spazio per i sentimentalismi.

Voto: 9/10

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