25 Feb 2019

Final Fantasy IX HD – Recensione PC & Switch

Final Fantasy VII, VIII o IX: qual è il migliore? Difficile, se non impossibile, dirlo. Le “fazioni”, una per ogni capitolo, sono pronte a difendere fino alla morte la loro opera preferita, ma si tratta oggettivamente di capolavori così mastodontici, dallo spessore artistico così imponente, e così diversi tra loro da richiedere uno sforzo sovrumano per giudicarli nella maniera più imparziale, attenta e puntigliosa possibile. La triade dell’era della prima PlayStation (senza stare a contare i “remaster” dei primi capitoli, una pratica all’epoca accolta a braccia aperte ma non ancora così comune), in sequenza uno dopo l’altro, resta un traguardo inarrivabile per qualsiasi altra saga videoludica, e con l’arrivo del nono capitolo su PC, lungamente atteso e preceduto dall’uscita mobile, è finalmente possibile rigiocarseli tutti e tre di un fiato, e magari continuare a protrarre il dibatto all’infinito. Di sicuro, a mettere tutti d’accordo è la qualità del porting: in tutti e tre i casi, “approssimativo” pare l’appellativo più calzante… ma con una materia prima del genere, è davvero difficile fare i pignoli e tenere chiuso il portafogli.

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Momento sincerità (breve preambolo di una recensione volutamente e nostalgicamente in prima persona): personalmente, Final Fantasy IX è quello al quale mi affezionai di meno, l’unico che completai una sola, misera volta, e anche un po’ a forza. Non so ancora spiegare il perché: non sentivo adatta ad un Final Fantasy quell’atmosfera così “medievale” (la mia connessione Internet, fonte di preziosissime informazioni sulla saga, arrivò solo dopo, così come i “remaster” dei primi, medievalissimi capitoli), e poi Gidan era un chiacchierone un po’ troppo spigliato per i miei gusti, un protagonista che tuttora impallidisce al cospetto di quei due misantropi avvolti da una fitta coltre di mistero di Cloud e Squall. Sia chiaro, frequentavo ancora la scuola media, avevo ancora il cervello e il cuore in pappa a causa delle milioni di ore passate su i due precedenti capitoli di quella saga così magica e per me, così unica, e il mio senso critico non era poi così sviluppato. Si cresce, si affinano i gusti, si iniziano a cogliere i dettagli, a mettere tutto quel che si vede/sente/gioca in parallelo, si riscoprono dettagli mancati in tenera età, si ribaltano le opinioni. E per fortuna, aggiungerei.

A restarmi impressa fu senza dubbio la localizzazione, a mio parere una delle più coraggiose, sperimentali ed uniche dell’intero panorama videoludico. A più di tre lustri di distanza mi suona ancora folle come un tempo (segno che forse, tranne rarissime eccezioni, ci si preoccupi più dell’etichetta e del rispettare dei noiosi e inossidabili paradigmi, che del valore artistico di un’opera), esagerata, anche se a dirla tutta, rigiocandolo ho trovato molto più forzate e imprecise le parti in italiano puro (tra traduzioni letterali maldestre e sonore cantonate). Lungi quindi dal considerarla ancora perfetta come un tempo, ma in assenza di un doppiaggio in lingua originale e di accenti di sorta, resta, a mio parere, la scelta più sensata per donare ad ogni personaggio la sua personalità, la sua dimensione, le sue radici esotiche, in un mondo che prende dei cliché e li contamina con personaggi buffi e antropomorfi, o dal carattere e dai modi decisamente sopra le righe. Quina, la golosa cuoca combattente celebre per i suoi “panini con la mortazza”, “Er Cina” con il suo fare da bagnino di Torvaianica, Marcus e il suo accento lievemente “tedeschen”, ma non mancano il sardo, il veneto, e altri dialetti italiani sfruttati per rendere unico anche comprimari apparsi in qualche scena. Una costruzione del setting e del mondo di gioco sapiente, con protagonisti dotati di profondità psicologica, dal maghetto Vivi al composto Steiner, che crescono nel corso del fitto susseguirsi di eventi, valorizzati dai “siparietti”, gli Eventi in Tempo Reale, che permettevano di approfondire parti di trama del tutto opzionali, ma preziose ai fini della composizione della trama e del carattere dei singoli personaggi, il tutto con un’unica grande metafora “ecologica” sullo sfondo, e tonnellate di cattivi carismatici (Kuja non è Sephiroth, ma è di sicuro meglio di Edea, ndr).

A restarmi impressa fu senza dubbio la localizzazione, a mio parere una delle più coraggiose, sperimentali ed uniche dell’intero panorama videoludico

A portarmi a considerarlo di valore inferiore rispetto ai due capisaldi fu probabilmente il sistema di crescita dei personaggi, sorta di ibrido tra le materia del VII e l’apprendimento di abilità tramite Guardian Force dell’VIII, che ad oggi, soprattutto se paragonato a tanti RPG recenti, pare comunque fantastico e godibilissimo: ad ogni pezzo di equip, come armature e guanti, è associata un’abilità, passiva o attiva, da apprendere permanentemente conquistando AP, punti ottenuti al completamento di ogni battaglia oltre ai classici EXP (che regolano il livello del personaggio). Non è però possibile sfruttare tutte le abilità in contemporanea (la cosa non vale però per magie ed incantesimi, tranquilli): potranno infatti essere attivate tramite speciali pietre (di fatto, un sistema a base di slot, ma lievemente più libero), portando così il giocatore a dover gestire al meglio le “build” dei personaggi (badando bene di valorizzare i punti di forza e le predisposizioni naturali di ognuno), e al contempo a stravolgerle di volta in volta in base al nemico che ci si trova davanti. Il ritmo delle battaglie è invecchiato male, in quanto si protraggono forse troppo a lungo, ma in compenso il combat system, detto Active Time Battle, risulta a distanza di anni una più che buona intuizione, in quanto offre al giocatore la possibilità di effettuare scelte tattiche, ma lo tiene costantemente sulle spine, col timore che il nemico possa attaccarlo da un momento all’altro. Nulla da dire sulla spettacolarità delle battaglie stesse, tra abilità uniche dei vari personaggi (come Gidan che poteva rubare oggetti ai nemici), incantesimi (neri, offensivi, e bianchi, curativi/difensivi, con tanto di animazioni e relativi “fuochi d’artificio”) e invocazioni, gli Eidolon, vero marchio di fabbrica della serie, tra la caratterizzazione degli stessi dei ed entità mistiche, e le loro coreografiche entrate in scena.

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Ma Final Fantasy IX non era solo esplorazione e battaglie: c’erano tanti, tantissimi minigiochi, alcuni nascosti, altri semplicemente irresistibili, come quello legato ai Chocobo, che, come accaduto in altri capitoli, strappava via buona parte del monte ore già non indifferente del gioco base. Ma a farla da padrone era Tetra Master, che accantonava i deliri delle regole del Triple Triad di Final Fantasy VIII (regionali, stravolte dalla perdita calcolata di speciali carte nei duelli contro specifici NPC), e proponeva un gioco di carte più diretto e meno cervellotico, non senza però alcune dinamiche sin troppo fumose, e tuttora di dubbio senso. Mi risulta ancora difficile comprendere se ci sia un criterio preciso dietro ogni carta conquistata, o se è puro caso, ma devo dire di essermi divertito come ai vecchi tempi (forse anche di più) a sfidare ogni singolo NPC a singolar tenzone “cartaceo”, oggi ancor più semplici da individuare grazie agli indicatori “!” (meno “ermetici” rispetto al passato), e a passare quasi più tempo nelle taverne o in città a raccogliere carte mancanti, che in giro a massacrare nemici o nella vasta mappa di gioco.

Ad essere ancora molto godibile è la trama, nonostante gli anni sul groppone, che prende il via con i Tantarus, banda di furfanti scalmanati di cui fa parte il protagonista Gidan, incaricata di rapire Garnet, la principessa del Regno di Alexandria. Peccato che la giovane si riveli sin troppo collaborativa: la crudele regina Brahne, sua madre, non deve essere proprio il genitore perfetto… e in breve ci si rende conto che forse le prime, pessime impressioni sull’orripilante sovrana non solo siano fondate, ma rappresentino anche la punta dell’iceberg di un complotto semplicemente inumano. Il viaggio che ne consegue, porterà i nostri eroi a legarsi ad altre figure uniche, ovvero l’intero cast che unirà le forze per contrastare i malvagi di turno, e a raggiungere le location più disparate, come da tradizione della serie sempre in grado di lasciare un segno nella memoria e nel cuore di ogni giocatore. Castelli, deserti, caverne di ghiaccio, città/bomboniera dall’atmosfera unica, tutte ricche di segreti, minigiochi e punti di interesse da scovare (fu proprio Final Fantasy IX a trasmettermi quell’insano vizio di premere il tasto X in ogni angolo di ogni santo videogioco apparso sulla faccia della terra, Call of Duty incluso, ndr). Un’esperienza, di fatto, lineare, complici delle battaglie sicuramente memorabili non proprio per il tasso di difficoltà, e ben lontana da molti RPG moderni, ma che, a distanza di tre lustri, continua a sorprendere e colpire per la sua fantasia.

Ad essere ancora molto godibile è la trama, nonostante gli anni sul groppone

Per farla scorrere più fluidamente, Square Enix ha riproposto i booster, già visti nelle altre due conversioni PC, con i quali eliminare il processo di grinding potenziando istantaneamente tutte le abilità e donando il massimo dei PV ai personaggi, o persino gli incontri casuali (vera croce e delizia della serie), alcuni temporanei, altri permanenti e sin troppo “drastici”. Modalità “godlike” con le quali dimezzare i tempi, e godersi l’esperienza impiegando il minor tempo possibile, alla stregua di un film, pensata appositamente per quei fan di vecchia data che, tra lavoro, vita coniugale e persino pargoli a cui badare, devono ridurre all’osso ogni partita. In tal senso interviene anche l’autosave, che bypassa, di fatto, i teneri Moguri, punto di salvataggio fedelmente riproposto ma ormai inutile, e che ci ricorda quanto si siano rammolliti i giochi di oggi, e con loro, noi giocatori. Con il supporto alle carte di Steam, gli achievements nuovi di zecca, e la possibilità di giocarlo sia con mouse e tastiera (alla stregua di un’avventura punta e clicca, potendo muovere il party cliccando sul punto dello schermo verso il quale lo si vuole indirizzare) che con un controller liberamente mappabile, si chiude l’elenco dei bonus di questa modernizzazione di Final Fantasy IX, riesumato sia su PC che su mobile.

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Spostandoci sul lato puramente tecnico, il tempo bussa alla porta a chiedere il conto, ma non è solo una questione di “vecchiaia”. In primis, il gioco supporta le risoluzioni moderne (inclusi i 2560×1080 da me testati), ma oltre a presentare delle poco piacevoli bande ai lati (anche sui monitor non 21:9), per via della risoluzione originale 320×240 della prima PlayStation, offre un impatto visivo poco piacevole. Il team ha infatti lavorato sui modelli dei personaggi, ora più ricchi di poligoni e con texture più curate (almeno di quelli principali), ma avendo perso i fantastici fondali originali in 2D e non potendo di conseguenza lavorare direttamente sugli asset in alta definizione, hanno dovuto “stiracchiare” quelli a loro disposizione, con un effetto a dir poco contrastante. Il risultato è uno stacco impietoso tra i PG, brillanti e dettagliati, e gli sfondi opachi e slavati, che non rende minimamente giustizia al comparto tecnico, ispirato e dalla direzione artistica stellare, e che su PC non può che far storcere il naso ai giocatori odierni dal palato “raffinato”, soprattutto nella world map, ancora minata da un framerate bloccato al ribasso.

Ad aver tratto maggior giovamento dal restyle sono le battaglie, che presentano meno incertezze dal punto di vista della fluidità (rimaste però ai 30fps dell’epoca), e i cui sfondi 3D hanno avuto una minima rinfrescata, e le sempre maestose FMV, altro marchio di fabbrica della serie. Non del tutto promosso l’audio, che in alcuni casi risulta compresso (ma che non scalfisce minimamente il valore della splendida OST), così come la rivisitazione della UI, presa palesemente di peso dalla versione mobile, supposizione evidente in particolare nelle battaglie, con le sue finestre di comando più grandi e ingombranti delle originali, più asettica e non priva di sbavature. L’assenza di personalizzazione delle impostazioni grafiche, e la misteriosa scomparsa del controllo analogico del personaggio a 360°, risalente all’epoca PS1, qui limitato a sole 8 direzioni, sono le “ciliegine sulla torta” di un porting non proprio stellare, salvato solo dalla qualità strabordante della materia prima.

Versione Nintendo Switch

Meglio togliersi subito il sassolino dalla scarpa: Square-Enix è un po’ pigra con i suoi porting, questo è ormai assodato. Il che significa che il Final Fantasy IX che giocherete su Nintendo Switch è lo stesso visto su PC (e PS4), con gli stessi problemi: i (pochi) nuovi modelli poligonali migliorati che stridono pesantemente con i fondali vecchi, la gradita possibilità di velocizzare i tempi morti (resa però macchinosa dalla necessità di mettere in pausa per farlo), un’interfaccia messa lì in maniera un po’ sbrigativa, i caricamenti, i cali di frame-rate. Sotto questo punto di vista, si poteva e doveva fare di più, in tutte le versioni su cui è stato riportato questo capolavoro.

Solo la sua natura di capolavoro, appunto, compensa questi difetti, alcuni soggettivi, altri oggettivi e fastidiosi, ma nulla in grado di rovinare l’impagabile piacere di rigiocare uno splendido capitolo della saga. E la possibilità di farlo ovunque, grazie alla versione Switch, aggiunge un motivo a quelli già ampiamente indicati nella recensione originale. All’atto pratico, è l’unica differenza con le altre versioni PC e console già pubblicate, quindi se le avete già comprate potete tranquillamente farne a meno. Se invece avete rinviato l’acquisto, magari per mancanza di tempo, questa versione potrebbe davvero fare al caso vostro.

E se non lo avete mai giocato… beh, cosa state aspettando?

Conclusioni

Final Fantasy IX è un capolavoro, e ho impiegato ben 16 anni per ammetterlo. Ma questo porting PC non gli rende minimamente giustizia. Un po’ per pigrizia, un po’ per effettivi limiti tecnici, il team non ha potuto far molto, limitandosi a dare una rinfrescata ai modelli dei personaggi, e solo a quelli, proponendo così un perenne stacco grafico tra elementi 3D e i fondali 2D, splendidi ma sepolti sotto un fitto strato di polvere.

Non aspettatevi esagerate migliorie, o stravolgimenti: è la stessa gemma pubblicata nell’epoca d’oro del gaming, in grado però di girare sui PC (e gli schermi) moderni, arricchita da qualche booster per semplificare la vita e far risparmiare il tempo ai nostalgici che non possono più permettersi di passare un’intera estate nei panni di Gidan e co.

Di positivo, c’è soltanto che il gioco, chiudendo più di un occhio sul lato tecnico, è ancora godibile (a quello è dovuto il voto che vedete in basso, ndr), e lo stesso vale per l’affascinante trama, per i dialoghi, per i curiosi personaggi, tra quelli principali e i numerosi comprimari, il cui sapiente mix non ha perso un’oncia di qualità e classe, a testimonianza della lungimiranza e dell’innato talento della Squaresoft, quella che, come un Re Mida nerd, trasformava in oro tutto quel che toccava.