Era chiaro sin dal titolo, da quel ribadire con forza il nome originale e da accompagnarlo a un termine così chiaro e perentorio, che tra le mani avremmo avuto qualcosa di ben diverso da operazioni simili che il “Remake” preferiscono ometterlo, come fatto da Capcom con Resident Evil 2 e 3. Qualcosa di, paradossalmente, fedele e contrastante, in umile e perenne debito con gli spiriti del passato, ma con la forza e il coraggio necessari a mantenere alta la testa e a guardare verso il futuro.
Lo potremmo descrivere così Final Fantasy VII Remake, un progetto ambizioso, mastodontico, che fa sognare e discutere, che strappa lacrime di nostalgia ma anche di incertezza, e che di incertezza riempie anche il cuore nel momento in cui si fanno scorrere i titoli di coda e si pensa a cosa ne sarà, a cosa diverrà, alla strada intrapresa da Square Enix, al plausibilmente “nuovo” volto di una pietra miliare, un’opera talmente immensa e sconfinata da poter quasi divenire a sua volta una saga a se stante.
Tale sensazione viene trasmessa da un finale che cambia le carte in tavola (non entriamo nel dettaglio per ovvi motivi, ma l’impatto che avrà sui capitoli futuri va necessariamente menzionato), che spaccherà in due i fan, tra chi non sentiva il bisogno di certi stravolgimenti, e chi non vede l’ora di scoprire come si evolverà questo nuovo corso. E che spalanca le porte a mille possibilità, a un’espansione tumultuosa di un universo da sempre esplorato attraverso mille altri media, ma finora intoccabile nella sua incarnazione principale.
Un colpo di mano che inizia piano piano a mostrarsi nelle prime battute di un’avventura sin da subito tremendamente familiare e confortevole, ma pronta a prendersi qualche rischio anche narrativo, inedito e non: l’ossatura principale resta perlopiù la stessa, con il già noto focus sulle sole vicende racchiuse nei limiti fisici di Midgar, la città/ghetto soggiogata dalla terribile Shinra, la classica, malvagia corporazione che pone il profitto al primo posto, a scapito della vita umana e persino del mondo.
Le sue estrazioni di mako, l’energia vitale del pianeta considerata come una fonte inesauribile di comodità e benefici per i cittadini e per gli avidi colletti bianchi dell’azienda, restano la causa scatenante degli attacchi di Avalanche, un gruppo di ribelli capeggiato dal burbero Barret Wallace, che si affidano ai servigi di Cloud Strife, un ex-Soldier (la milizia della Shinra) per ordire un attentato ai danni dei cattivi: l’epico assalto al reattore del Settore 7 resta l’indimenticabile e intoccabile incipit dell’avventura, ma le prime avvisaglie di novità si iniziano a percepire già dai primi contatti con un altro membro chiave, Tifa, proprietaria del Settimo Cielo, il quartier generale dei ribelli.
Final Fantasy VII Remake spalanca le porte a mille possibilità
L’introduzione di un nuovo, cruciale elemento narrativo (restiamo vaghi sempre per non rovinare troppo la sorpresa) che fa capolino in più occasioni, fino a svelare tutta la sua potenza proprio nel discusso culmine di una vicenda che, al netto di non poche novità, era comunque rimasta sostanzialmente fedele a quanto visto e vissuto nel 1997: sostanzialmente perché giocarla con in sottofondo un walkthrough del capitolo originale sarebbe inutile e degradante, vista l’importante operazione di restauro messa in atto da Square Enix con questo Final Fantasy VII Remake, merito anche e soprattutto della nuova veste grafica, e del respiro più ampio.
Vicende e personaggi, secondari e non, protagonisti di brevi intermezzi o fugaci comparsate ai limiti dell’opzionale, ora godono di espressioni facciali, voci, e veri e propri archi narrativi che ne tratteggiano personalità e caratteristiche, e gli donano una dignità semplicemente impensabile in un titolo che, nel complesso, durava a grandi linee quanto questa singola “prima parte”. Un modo per approfondire un background narrativo a volte solo abbozzato, per riscoprire le qualità di una figura tenuta un po’ in disparte (vi sfidiamo a non innamorarvi della nuova Jessie, ndr), o per collegare meglio alcuni eventi, magari trattati e legati in maniera frettolosa, e ora finalmente resi più armonici da nuove scene di raccordo, persino da personaggi inediti: alcuni risultano davvero funzionali e ben scritti, altri un po’ meno, e anche porzioni di capitolo, se non capitoli interi, sembrano più aggiunti per far numero e diluire l’esperienza complessiva che altro.
Un lavoro comunque monumentale in termini produttivi, forse non perfetto, con qualche forzatura e qualche spruzzata di fanservice troppo esagerata, ma assolutamente lodevole e perfettamente in grado, da solo, di giustificare un’operazione così imponente.
E ancora non abbiamo tirato in ballo le novità più evidenti, legate all’intero reparto grafico, e al nuovo, discusso combat system, che sin dalla demo ci aveva convinto, e che dopo oltre 40 ore di spadate e incantesimi ci fa ben sperare per i capitoli futuri della saga. Mutuato dal sistema visto in Final Fantasy XV e migliorato da una minor confusione e da una peculiare commistione con l’originale, è quel mix di azione e di strategia che forse la stessa Square Enix ha sempre cercato, ma ottenendo solo di rado i risultati sperati: battaglie in tempo reale, possibilità di muoversi liberamente sul campo, schivare, parare, e l’amata/odiata barra ATB, ora divisa in due, che una volta riempita (a metà o per intero) garantisce la possibilità di accantonare temporaneamente i due attacchi base (uno normale, eseguibile tenendo premuto il relativo tasto, e uno più potente e legato ai singoli personaggi e/o alle singole armi) ed eseguire azioni più complesse, come utilizzare un oggetto, sfruttare un’abilità (mosse offensive, curative o di supporto più potenti) o scagliare un incantesimo, legato alle indimenticate materie.
Il convincente combat system è frutto di quel mix di azione e di strategia che la stessa Square Enix ha sempre cercato, ma raramente con successo
La profondità tattica è garantita da un mix di fattori, a partire da un tasso di difficoltà generale al rialzo, con nemici mediamente più duri da battere e la necessità di sfruttarne le debolezze (elementali e non) fino a indurli in uno stato di stress tale da renderli vulnerabili agli attacchi del nostro party, ma anche da una preziosa pausa tattica che rallenta il tempo quanto basta per poter scegliere la prossima mossa (tanto del personaggio controllato direttamente quanto, tramite tasti dorsali, degli altri membri, sempre non scegliate di affidarli completamente all’IA) con tutta la calma del mondo.
Una volta presa confidenza, il nuovo combat system di Final Fantasy VII Remake funziona alla grande e inebria, soprattutto negli epici scontri con i boss, resi ora molto più dinamici e ostici, ma anche potentemente scenografici, con la frustrazione vagamente percepita nella demo riservata unicamente a qualche raro frangente, o a combattimenti affrontati senza la dovuta preparazione (materie elementali non equipaggiate, ad esempio, ma tranquilli, il gioco permette di ricaricare un attimo prima della battaglia e riaffrontare il tutto come si deve).
Un mix tra vecchio e nuovo che coinvolge anche la gestione dell’equipaggiamento, e nello specifico le materie e le armi. Il funzionamento delle prime è molto simile al Final Fantasy VII originale: vanno incastonate negli slot presenti sulle armi, e vengono potenziate accumulando specifici PA ottenuti dopo ogni battaglia. La nuova struttura di gioco ha richiesto però un più che sensato cambiamento, con tante nuove materie legate al combat system più action e dinamico, e vecchi capisaldi che finiscono nell’inventario molto prima rispetto alla tabella di marcia originaria (per ovvi motivi), così da non restituire un inevitabile senso di incompletezza.
Diverso il discorso delle summon, ora Esper: anche qui ne troveremo di vecchie e nuove, alcune ben prima del previsto, ma potranno essere evocate unicamente in combattimenti chiave, e non a nostro piacimento, ma data la loro rinnovata potenza e spettacolarità, è uno scotto da pagare comprensibile.
Più stimolante e intelligente è invece il nuovo peso dato alle armi: poche ma buone, salgono di livello parallelamente al personaggio che le equipaggia, e presentano un vero e proprio sistema di sviluppo indipendente che permette di potenziarne singoli aspetti investendo appositi punti di esperienza, andando ad ampliare gli slot materia disponibili, o sviluppando potere di attacco o magico, in base alla propria “build”.
Questa inedita e maggior libertà di personalizzazione offre infatti al giocatore tutto un nuovo set di variabili con cui creare il party dei sogni, e dare un tocco ancor più unico alla propria esperienza: Barret resta il tank per antonomasia, ma nulla vi vieterà di renderlo un abile mago, mentre la dolce e tenera Aerith dimostra di avere ben più di un asso nella manica, e saprà rivelarsi molto più letale di come ce la ricordavamo. E per trionfare, anche contro i mob più deboli, sarà necessario agire sinergicamente, sfruttando i punti di forza di ogni membro del party, e organizzando il proprio assalto senza lasciare davvero nulla al caso. Un tocco di soddisfazione in più che dimostra tutta la cura e l’intelligenza profuse da Square Enix in questo remake non perfetto, ma sicuramente eccezionale.
Tutte queste novità, sia ludiche che sì, anche narrative, non avrebbero potuto aver luogo senza delle fondamenta solidissime, garantite dal sontuoso comparto grafico nuovo di zecca, garantito da una versione pesantemente customizzata dell’Unreal Engine 4, che non si limita a dare una passata generale di stucco, ma ricostruisce ed amplia la Midgar originale un pixel dopo l’altro.
Già, perché ora i Bassifondi del Settore 7 non sono due o tre schermate immobili di passaggio ma un vero e proprio mini-hub brulicante di vita in cui svolgere missioni secondarie (niente di eclatante, ma donano colore a vicende e personaggi), fare shopping, origliare le conversazioni dei cittadini, la cui condizione disperata viene resa dalle loro catapecchie e dalle preoccupazioni che non tengono minimamente nascoste, e i lunghi corridoi, sotterranei e non, che collegano tra loro le varie zone della città, in orizzontale e soprattutto in verticale, ora hanno una fisicità, una spazialità semplicemente impensabili nel capitolo originale.
I modelli poligonali dei personaggi sono sì splendidi e super-dettagliati, e donano forma e personalità ai muti e sgradevoli cubettoni di un tempo, ma ci eravamo già abituati tra film e spin-off vari; la possibilità di esplorare di persona pressoché ogni anfratto, ogni angolo di Midgar, setacciare ogni area alla ricerca di casse o materie nascosti (l’esplorazione, per quanto non così appagante o complessa, viene sempre e comunque premiata), o di ruotare liberamente la telecamera e godersi l’abbacinante “tetto” che separa gli slum dai quartieri ricchi, è invece una novità che lascia letteralmente a bocca aperta, e non solo nei primi momenti in cui l’impatto sarà davvero devastante.
Anche dopo ore e chilometri macinati, coglierete ogni occasione per muovere qualche altro passo in luoghi originariamente inaccessibili o inesistenti, solo immaginati, dal team di sviluppo e dal giocatore stesso: una realtà digitalmente tangibile, che spazza via la suggestione, ma la rimpiazza con stupore e lacrime di commozione.
Final Fantasy VII Remake è la prima, splendida tappa di un nuovo viaggio verso una meta incerta
Un lavoro mostruoso anche da questo punto di vista, macchiato da qualche sbavatura che, confidiamo, verrà sistemata via patch (texture che faticano a caricare, collisioni non sempre perfette, e un sistema di illuminazione che, con l’HDR attivo, fa un po’ le bizze), ma che non inficia un colpo d’occhio semplicemente pazzesco, salvo alcuni fondali non proprio in alta qualità, e delle texture che vengono caricate, ma non risultano così piacevoli alla vista.
E la colonna sonora? La magia dell’originale resta inscalfibile, con gli scarni brani di un tempo ancora in grado di emozionare, anche dopo 23 anni. Ma quelle splendide melodie trovano una nuova dimensione in questo Remake: i brani della colonna sonora sono assolutamente riconoscibili e familiari, e i nuovi arrangiamenti orchestrali gli donano ancora più pathos e dinamicità, complice un sound design che non interrompe in alcun modo il flow anche passando da un’area all’altra, o dall’esplorazione al combattimento, in un mix unico e ben congegnato. Ma il team si è sbizzarrito, offrendo anche dei collezionabili “musicali”, sotto forma di bonus track da acquistare o raccogliere in giro per la città: cover di generi completamente casuali dei brani più celebri, una vera chicca per gli appassionati di vecchia data.
Ottimi sia il doppiaggio inglese che quello giapponese, ma è bene precisare che i sottotitoli in italiano seguono quest’ultima versione (scelta fatta per accelerare i tempi): non sorprendetevi, insomma, se noterete una discrepanza tra quanto leggerete in italiano e quanto ascolterete in inglese. Per chi scrive, l’adattamento inglese risulta molto più moderno e convincente, più affine all’originale e alla caratterizzazione suggerita da dialoghi e modus operandi di ogni personaggio. La traduzione italiana lascia il segno, ma in negativo, risultando a volte davvero troppo formale (basti pensare alle perk tradotte come un esageratamente scolastico “prerogative”), a tratti persino confusionaria (nei menù e nei tutorial).
A scapito di ogni previsione, Final Fantasy VII Remake è l’inizio di un nuovo viaggio. Una scommessa, un salto della fede, un imbarcarsi in un mare in tempesta che può portare verso una nuova terra promessa, o infrangere la nave su qualche scoglio imprevisto. La rotta è stata impostata, ma la meta è ancora lontana e, soprattutto, ignota. Ma dopo aver passato più di 40 ore in questo mare, non c’è dubbio: restare comodamente a casa avrebbe tolto tutta la magia, tutta l’eccitazione che ogni nuova impresa porta con sé. In attesa di scoprire se la scommessa di Square avrà successo o meno, quel che possiamo affermare con certezza è che questa prima tappa è stata sublime: non perfetta, è bene ribadirlo, e qualche stortura (alcune risolvibili, altre meno) spezza parte dell’incantesimo, ma merita le attenzioni tanto dei fan di vecchia data, quanto di nuove generazioni il cui sangue non è ancora stato raggelato dalla sagoma di Sephiroth e dalle terrificanti note di One Winged Angel. |