Da appassionato di city builder e survival, sono stato piacevolmente sorpreso di imbattermi in un progetto come Floodland. Il publisher Ravencourt ci vuole portare in un mondo devastato dai cambiamenti climatici, in un’ambientazione post-apocalittica che ci tocca particolarmente, essendo uno dei temi più importanti dell’ultimo decennio. Sostanzialmente in Floodland, tutte le peggiori e disastrose previsioni degli scienziati in merito al cambiamento climatico si sono avverate: la massa terrestre è stata invasa dall’acqua e si è notevolmente ridotta; la civiltà umana è stata presa d’assedio da tsunami, terremoti ed eventi catastrofici che ne hanno ridotto la popolazione e costretto i sopravvissuti a una vita di stenti, al limite della sussistenza.
Il nostro compito è quello di gestire un gruppo di sopravvissuti e iniziare a ricostruire la società, partendo dalle rovine della stessa. Floodland è questo, un ibrido fra un gestionale city builder e un survival: dopo il primo contatto ho pensato che questo tipo di gioco mi ricordava da vicino un altro grande titolo dello stesso genere, ovvero Frostpunk di 11 Bit Studios.
In effetti le premesse sono simili, il mondo è caduto in rovina dopo che il clima è impazzito, ma le differenze fra i due giochi ci sono e sono parecchie. Innanzitutto, Floodland è privo di quella visione nichilista che contraddistingue Frostpunk: i sopravvissuti hanno speranza e vogliono davvero vedere la civiltà umana rinascere. Non c’è solo il tema della sopravvivenza fine a sé stessa, bensì quello della crescita e dell’evoluzione.
Durante la mia prova con la versione demo di Floodland, ho deciso di iniziare con la fazione dei Good Neighbours (i buoni vicini, il gioco non è localizzato in italiano, n.d.r.) per cimentarmi in questa sfida di sopravvivenza. Il gioco mi ha subito messo a disposizione un settaggio della difficoltà altamente personalizzabile, che ci permettere di scegliere la quantità di risorse disponibile, la difficoltà di approvvigionamento eccetera. Credo sia un ottimo modo per convincere chi deve avvicinarsi al genere per la prima volta, invece del classico trittico “facile-medio-difficile”. Iniziamo con dieci lavoratori e un accampamento di stracci: i lavori da fare sono tanti e difficili, e iniziamo subito, con uno o due clic, a inviare i primi uomini e donne a esplorare il circondario e a restaurare il primo magazzino.
Non c’è solo il tema della sopravvivenza fine a sé stessa, bensì quello della crescita e dell’evoluzione.
Uscendo dai confini conosciuti i nostri scout amplieranno la mappa e dipaneranno la nebbia di guerra. Immediatamente uno dei nostri consiglieri ci darà delle missioni da portare a termine per ottenere punti risorsa e avanzare nel gioco e nella crescita della nostra civiltà. Ci vuole un attimo per abituarsi ai controlli e capire bene cosa bisogna fare: il seguito di azioni necessario per costruire un edificio o raccogliere risorse adatte (cibo, acqua, cibo raffinato, spazzatura, eccetera) non è così intuitivo come invece dovrebbe essere. Ci ho messo qualche minuto per ambientarmi nell’interfaccia utente e comprendere appieno cosa bisognasse fare per completare le missioni.
Come ho detto sopra, le risorse sono scarse e non sono di pratica raccolta. Certo, i nostri esploratori possono raccogliere bacche e frutta, ma sul lungo periodo questo non basterà. Bisognerà trattare le risorse, cacciare o pescare e per questo dovremo costruire edifici appositi, sbloccati con punti ricerca (che si ottengono inizialmente completando le missioni, in seguito da edifici come le accademie). Oltre a costruire di fatto un edificio o una struttura, possiamo anche recuperare le rovine delle costruzioni del vecchio mondo per trasformarle in rifugi, case o chissà cos’altro. In questo modo tutto si converte e torna utile alla nostra causa.
Chiaramente nulla di ciò è possibile se non bilanciamo correttamente la forza lavoro di cui disponiamo, la quale all’inizio sarà molto scarna. Ogni struttura controllata necessita infatti di un o più lavoratori per operare al meglio: toccherà a noi decidere quali e quanti uomini e donne destinare a questa o quell’altra attività in base alle esigenze del momento. Spesso si tratta di difficili scelte, che avranno comunque qualche conseguenza. Man mano che andremo avanti però, potremo espandere la nostra base grazie a strutture chiave come la radio (che ci permette di contattare altri sopravvissuti) o le barche (per superare il mare).
Più persone raggiungeranno il nostro accampamento, più questo dovrà rispondere ai loro bisogni, crescere, migliorare le condizioni di vita ed espandersi. Arrivati a questo punto, le somiglianze con Frostpunk aumentano, dato che potremo effettivamente legiferare per creare una comunità più giusta (risolvendo problemi che coinvolgono i diritti e le discriminazioni) o una piccola dittatura votata alla sopravvivenza (con la fondazione di corpi di milizia e censura). Chiaramente tutto porterà a un intreccio narrativo più complesso e sfaccettato, con ben più di un classico finale, il che è una nota positiva per chi cerca un po’ di rigiocabilità. Chiaramente non abbiamo ancora idea della durata finale del gioco, ma se le premesse sono queste, ci sarà sicuramente da divertirsi.
Anche a livello grafico, il titolo di Vile Monarch si distingue con una palette di colori decisamente autunnale e un tratto distinto e memorabile. Bella la resa del mondo in rovina, delle strutture e dei suoi abitanti, del mare e di ciò che riusciremo a creare. Anche la colonna sonora non è affatto male, anche se il tema del gioco è tutt’altro che memorabile, ma i temi calmi e gentili ben si sposano con l’atmosfera da “rebuild and chill” che Floodland mi ha ispirato. In conclusione ci troviamo di fronte a un titolo che promette bene, e che si è mostrato decisamente in forma prima della sua uscita, la quale è prevista il prossimo 15 novembre. Non è molta l’attesa, quindi e non vediamo l’ora di dirvi di più con la prossima recensione.