È sempre un peccato quando sono le logiche commerciali a compromettere la qualità di un prodotto, o comunque la percezione della stessa. Perché Fortnite, titolo dalla lunghissima gestazione per PC, PS4 e Xbox One firmato Epic Games (sì, quelli dell’Unreal Engine, di Gears of War, di Unreal prima, e Unreal Tournament dopo) e People Can Fly (sì, quelli di Painkiller e del mai troppo amato Bulletstorm), mette sul piatto tante buone idee, e sa benissimo come tenere impegnato a lungo il giocatore, anzi, potenzialmente all’infinito, con un affiatato gruppo di amici. Al contempo, fa di tutto per ricordargli che, nonostante il prezzo (il pacchetto standard costa 39,99€), è in realtà un Free-to-Play duro e puro, con tanto di valute in-game multiple, confusione da gioco delle tre carte, piñata a forma di lama da scassare nella speranza di trovare l’ennesimo (inutile) oggetto. E per tutto il resto, ci sono le microtransazioni.
Ma facciamo un passo indietro e spieghiamo perché è un peccato che simili dinamiche vadano a compromettere la qualità di un gioco dal buon potenziale.
La formula con cui Epic Games ha deciso di lanciare il suo Fortnite, in sviluppo da più di un lustro (il primo teaser risale al 2011), è più o meno in linea con quanto sta accadendo da anni su PC a sorti alterne, mentre su console è decisamente atipica: dopo anni di test su test, il momento per pubblicarlo (ma non ancora in forma definitiva) pareva propizio. Si è quindi optato per la strada dell’Early Access: di fatto, una beta pagata, in questo caso a prezzo quasi pieno, con cui assicurarsi l’accesso sin da ora, per quello che nel 2018 sarà a tutti gli effetti un gioco gratuito aperto a tutti, più completo, con meno problemi, smussato dai feedback di chi ha deciso di accettare di buon grado questo “salto della fede”. Una strada azzardata, che porterà l’esperimento di Epic Games chissà dove, e che va giudicata per quello che è al momento, non senza aver correttamente assimilato questa lunga ma doverosa premessa. Tolta la burocrazia di mezzo, passiamo a ciò che forse interessa principalmente ai lettori: cos’è Fortnite, e soprattutto, com’è?
Fortnite è un curioso mix di sparatutto in terza persona, tower defense e dinamiche rese celebri da Minecraft e compagnia craftante, il tutto con un taglio fortemente cartoonesco
È un curioso mix di sparatutto in terza persona, tower defense e dinamiche rese celebri da Minecraft e compagnia craftante, il tutto con un taglio fortemente cartoonesco, tanto nella pregevole grafica quanto nella caratterizzazione dei personaggi, a partire dai simpatici robot (di claptrap-iana memoria) che assistono il Comandante, il giocatore. Il suo compito è quello di recuperare e salvare gli ultimi superstiti di un disastro ambientale abbattutosi sull’umanità, conosciuto come “Tempesta”, portatore di distruzione e di un’invasione di disgustose creature chiamate Abietti, simili a zombi e dotati della stessa (scarsa) mobilità e fame di carne fresca. Una blanda scusa per spingere il giocatore, in primis, a raccattare superstiti sparsi qua e là nei campi di battaglia generati proceduralmente, ovvero piccole porzioni (alla lunga un po’ troppo simili tra loro) di quattro grandi mappe/aree, ma anche per gestire ed espandere la propria base, al cui cuore è presente un generatore che alimenta un immenso scudo entro il quale racchiudere gli ultimi sopravvissuti rimasti.
La “campagna” (comunque always online), se proprio così la si vuol chiamare, verte proprio su quello, ponendosi più che altro come un lento, lungo e denso tutorial col quale spiegare le tantissime meccaniche e nozioni che regolano il mondo di Fornite, complesso e difficile da digerire, soprattutto al primo impatto. Alcune informazioni vengono del tutto omesse, altre sono nascoste da una localizzazione a tratti approssimativa e scadente (che spesso non tiene conto nemmeno dello spazio a disposizione nei menu e nelle finestre di dialogo, con tanto di parti di testo che finiscono fuori campo), ma partita dopo partita diviene tutto un po’ più chiaro, e le decine di statistiche, così come le “carte” di eroi (ognuno con una classe, abilità specifiche – generate casualmente anch’esse – e persino un sistema di crescita e punti di esperienza ad hoc), armi (idem) e superstiti (idem pt. 2, utili, quest’ultimi, ad offrire preziosi potenziamenti passivi alla squadra), iniziano ad incutere molto meno timore, e a trasformare la confusione in una diabolica droga.
Che ci sia un po’ di malafede in questa impressionante mole di variabili e valori più o meno nascosti è lecito sospettarlo: al di là dell’informazione legata alla trasformazione in Free-to-Play nel giro di un anno, la sezione “Bottino”, con le sue inebrianti piñata da massacrare in cambio di una pioggia di oggetti da accumulare, riciclare, “collezionare” (in una sorta di album di figurine, altro ingranaggio di questa complessa “macchina da dipendenza”), fa il paio con la vicinissima “Negozio”, in cui è possibile rimpinguare la propria scorta di V-Buck (accumulabili portando a termine le decine di sfide ed incarichi, giornalieri e non, proposti da Fortnite) spendendo (vero) denaro sonante, da scambiare con altre auto-ironiche (le loro battute sono irresistibili, ndr) piñata tutte da sventrare, nella speranza di trovare quel ninja, quel costruttore, quel soldato, oppure quel progetto di quell’arma che tanto ci piace, da craftare in gioco.
Non è semplice districarsi in questa impressionante mole di variabili e valori più o meno nascosti
Abbiamo infatti bisogno di risorse di ogni genere, da quelle più comuni (come i materiali necessari alla costruzione, ovvero legno, pietra e metallo) a quelle più particolari (spago, nastro adesivo e così via) per costruire l’arma dei nostri sogni. Si parte da carte/progetto, ognuna con buff e livelli specifici, si accumulano materiali, e la si crea con qualche delicato tocco di pad, così da customizzare al massimo l’esperienza, badando bene di sfruttare gli attributi e le inclinazioni degli eroi, tutti diversi e dotati di speciali abilità (cariche devastanti, granate a frammentazione, ma anche potenziamenti per le strutture, per citarne alcune).
E le armi che ci mancano vanno cercate portando a termine le decine di quest e sotto-quest disseminate anch’esse nelle mappe, da portare a termine tra un obiettivo e l’altro, o meglio, ancora, prima che la partita entri nel vivo, sperando che qualche imbecille non dia inizio al match proprio mentre si sta per distruggere quell’altalena mancante per il completamento dell’incarico giornaliero, o quando ci si trova al cospetto di un ricco giacimento di quarzo dentro una caverna sperduta, scovata dopo un lungo peregrinare (Fortnite favorisce anche l’esplorazione prima e durante ogni singolo match). In alternativa, c’è sempre il fido piccone: l’unica arma (sì, può anche essere usata per massacrare i nemici) indistruttibile del vastissimo inventario, permette di distruggere praticamente qualsiasi elemento presente su schermo, il quale dà in cambio risorse ed elementi di ogni genere.
Una volta accumulato un certo numero di risorse (da monitorare costantemente insieme a qualsiasi altra cosa craftabile, come i proiettili: sia nella propria che nell’altrui partita, anche giocando insieme ad altri 3 amici o sconosciuti, si consuma permanentemente ogni singolo oggetto in proprio possesso), si può finalmente dare il via alle danze e partire con la costruzione. Che, sia chiaro, non gode della stessa libertà (in realtà relativa) di un Minecraft: le strutture di Fortnite hanno un aspetto standard (differisce solamente la tipologia di materiale), e all’infuori della pura e semplice disposizione dei singoli elementi (pareti, pavimenti, scale e soffitti), l’unico intervento da parte del giocatore riguarda la dimensione di tali elementi (ma la community, nonostante tutto, si sta già sbizzarrendo, ndr).
Si può ridurre una parete fino a farla diventare un muretto difensivo dietro il quale proteggersi e sparare alle orde di nemici (e se ve lo state chiedendo, il feeling delle armi non è niente male, e buttar giù qualche decina di abietti risulta molto più soddisfacente di quel che sembra, ma la noia, alle lunghe, prenderà giocoforza il sopravvento), oppure seguire le indicazioni su schermo per realizzare strutture più complesse, come delle torri radar, ma assolutamente predefinite. Non che si possa, né debba costruire qualcosa in funzione dell’obiettivo principale, da proteggere da questa o quella orda: piattaforme, scale e quant’altro potranno essere posizionate un po’ ovunque, magari per raggiungere forzieri in posti impensabili, o per creare scorciatoie con le quali fiondarsi a salvare un superstite. O per sfidare gli alleati a creare una vera Torre di Babele (in miniatura) e a sfiorare il cielo.
Il bello della costruzione di Fornite non sta nel fine estetico, quanto più in quello strategico e tattico
Il bello di Fortnite, semmai, sta nell’escogitare trappoloni per gli abietti (dall’IA relativamente astuta), farli magari confluire in un unico punto e riempirli di gas dal soffitto, dardi e scariche elettriche, o fargli attraversare veri e propri labirinti del terrore. Sempre che non arrivi qualche bestione (di mob ne esistono vari tipi, da quelli base a quelli specializzati nelle armi da lancio, tra ossa, teschi, api killer e barili esplosivi) a fracassare tutto e a mandare all’aria decine di minuti di duro lavoro. Poco male: ad ogni match verrà tutto azzerato, e soprattutto, più ci si dedica al combattimento, al crafting/farming e alla costruzione, più medaglie (e punti) si ottengono, utili sia ad ottenere un bottino più succulento, sia ad aumentare il “livello comandante”, l’unico generale ed univoco in una miriade di livelli (e XP) individuali. Ogni livello porta con sé un punto abilità, con il quale avanzare nello skill-tree e sbloccarne di nuove, così da poter espandere le proprie squadre di supporto – e i bonus annessi – ma anche di specializzarsi nelle singole classi a disposizione, spronati peraltro dal gioco stesso che propone continuamente incarichi con classi specifiche: una trovata con cui ruotare di volta in volta eroe e trovare quello più affine al proprio stile di gioco, su cui poi investire il più possibile.
Con Fortnite non resta altro che fare un vero e proprio salto della fede: il suo mix di meccaniche è irresistibile, ed è in grado di divertire ed intrattenere potenzialmente a lungo, nonostante l’inevitabile fattore noia, impossibile da sconfiggere con la sola generazione procedurale, o l’impatto iniziale devastante, per via di una mole di informazioni, statistiche e valori troppo complessi, che vengono via via assimilati una partita dopo l’altra. Che senso ha, però, spendere soldi ora per un prodotto scevro da meccaniche pay-to-win (l’anima è unicamente cooperativa, mai competitiva) ma non da microtransazioni, e destinato a migliorare quando diventerà ufficialmente gratuito e aperto a tutti? Difficile dare una risposta a questa domanda. Ma se le peculiarità di Fortnite vi hanno incuriosito, forse la risposta sta nella volontà di salire a bordo di un’esperienza sicuramente peculiare, e di contribuire alla sua creazione ed espansione. Filantropia? Pazzia? Chiamatela come vi pare. Con tutte le sue imperfezioni, il gioco di Epic Games e People Can Fly ha saputo stregarci. |