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Freud’s Bones – The Game – Recensione

Giocare a Freud’s Bones – The Game richiede coraggio. Non è facile approcciarsi ad un titolo che tenta continuamente di psicanalizzarti, che in qualche modo ti spinge a fare i conti con te stesso, alludendo a situazioni scomode e sfiorando nervi scoperti, qualche trauma o rimorso non ancora superato o mai realmente affrontato.

L’opera prima dell’autodidatta Axel Fox, alias dell’italianissima Fortuna Imperatore, non fa sconti a nessuno, nemmeno alla stessa sviluppatrice, forse prima (ed unica?) paziente del nevrotico Sigmund Freud, protagonista di questa bizzarra, affascinante, originale avventura grafica.

Sì, perché approcciandosi a Freud’s Bones – The Game si ha la netta sensazione di essere prima di tutto dei guardoni, sorpresi nell’atto di spiare una singolare seduta psicoanalitica tra il gioco e la sua creatrice, e solo in un secondo momento ci si scopre videogiocatori e anche pazienti, ignari prede a cui è stata chiaramente tesa un’ingegnosa trappola.

Chi segue il gioco da un po’, del resto, sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro: una sorta di autoanalisi di Axel Fox che, con ambizioni faustiane, diventa anche quella dell’utente, posto nel già incerto ruolo, molto meta tra l’altro, di presenza onnisciente che controlla, controbatte, consiglia, contrasta Freud, avatar consapevole dell’invasione sovrannaturale, ma non per questo disposto a collaborare.

L’obiettivo dichiarato, difatti, è quello di salvare lo psicanalista dall’esaurimento nervoso, aiutandolo nelle sedute con i suoi clienti, ma soprattutto nel privato, scavando alla ricerca di ciò che lo sta conducendo verso l’abisso.

Sulle prime, tutto sembra risolversi in modo piuttosto classico. Ci sono una manciata di scenari esplorabili, lo studio di Freud in primis, ma anche il caffè che pur malvolentieri frequenta spesso; c’è un cursore con cui interagire con l’ambiente e con cui farsi strada tra i vari menù; nei panni di questo essere intangibile ci sono scelte da prendere nel tentativo di entrare in empatia con il noto fondatore della psicoanalisi.

Tutto sembra filare abbastanza liscio lungo un copione ampiamente già visto, quando si comprende che Freud’s Bone – The Game pretende un’applicazione più intensiva rispetto al solito, di quelle a cui ormai è abitato chi, per esempio, in questi mesi si sta sollazzando con Elden Ring.

Non fraintendete, non ci sarà alcun essere mostruoso, figlio di qualche subconscio malato, a sfidarvi a singolar tenzone. Semplicemente, un po’ come chi vuole capirci qualcosa della lore dell’ennesimo Soulslike di Miyazaki e soci, tocca armarsi di taccuino e penna, se si vuole veramente venire a capo della faccenda.

La creatura di Axel Fox può definirsi ipertestuale

Sebbene in certi casi l’interfaccia mostri il fianco a qualche incertezza nell’indirizzare l’operato dell’utente, peccato veniale che non influenza più del dovuto l’esperienza, è il gioco stesso a non tendere mai del tutto la mano verso il videogiocatore, costretto a soffermarsi sui documenti, sui dialoghi con i pazienti e con Freud stesso, a caccia dell’elemento rivelatore delle ansie e delle tensioni nervose che asfissiano lentamente l’anima.

Tra gli appunti che potrete continuamente consultare, ce ne sono anche alcuni di natura tecnica, che spiegano a grandi linee il funzionamento della psicoanalisi, testi imprescindibili per tracciare una diagnosi dei pazienti e, soprattutto, per fare breccia, a poco a poco, nella coscienza di Freud.

In termini di puro gameplay, si tratta insomma di effettuare continuamente scelte, scandagliare gli scenari in cerca di oggetti con cui interagire, leggere attentamente i documenti a caccia di parole chiave da sottolineare. La parte ludica vera e propria, tuttavia, non si consuma qui, estendendosi al di là dello schermo, in un continuo gioco di analisi e confronti con gli appunti presi e le annotazioni fatte continuamente.

Ovviamente, nulla vi vieta di limitarvi a ciò che accade nel titolo vero e proprio, imboccando i bivi narrativi assecondando il proprio istinto o affidandosi alla propria memoria. Anche in questa modalità, Freud’s Bones – The Game ha tantissimo da offrire, tra citazioni, rimandi, dialoghi e scene d’intermezzo particolarmente toccanti.

La creatura di Axel Fox, infatti, può definirsi ipertestuale, quasi fungesse da spunto per ulteriori indagini non solo su sé stessi, come abbiamo già accennato, ma anche alla psicoanalisi stessa, una sorta di bignami che incuriosirà i palati più sensibili sull’argomento.

Certo, indispettisce e non poco il rendersi conto che l’avventura si consuma in cinque, sei ore al massimo, ma in questo senso viene in aiuto il relativo replay value dell’opera, grazie ai diversi finali a cui è possibile accedere. Relativo, dicevamo, perché Freud’s Bones – The Game è così onesto, sincero, diretto, che quasi non si merita una seconda run influenzata da scelte “pilotate”.

Anche nel totale fallimento, sia come psicoterapeuti nei panni di Freud, sia come ancore di salvezza per lo stesso studioso, il gioco ha qualcosa da insegnare ed insegnarvi, per quanto la “diagnosi” potrà apparirvi spietata e desolante.

Caratterizzato da uno stile grafico funzionale e da una piacevolissima soundtrack, anche sul fronte artistico Freud’s Bones – The Game mostra carattere, un ulteriore pregio che arricchisce ulteriormente l’esperienza.

Conclusioni

Classico nell’approccio, a suo modo rivoluzionario e unico nella sostanza, Freud’s Bones- The Game non è certamente un titolo adatto ad ogni palato, per quanto, un po’ come la psicanalisi, tutti dovrebbe giocarlo almeno una volta nella vita.

Grazie ad una scrittura sopraffina, alla chiara tendenza ipertestuale, alla capacità di guardare e scavare dentro ognuno di noi, l’opera prima di Axel Fox non può che ritenersi un grande e promettente successo.

Non si tratta di un gioco privo di difetti, su tutti la contenutissima longevità e un’interfaccia non sempre intuitiva, né di un progetto che tutti apprezzeranno. Bisogna tendere le orecchie e avere fede, consapevoli che non è detto che tutto venga capito e compreso, ma che senza alcun dubbio qualcosa resterà nel fondo della propria coscienza.

Perché, tirando le somme, il compito dei videogiochi, dell’arte in generale, è proprio questo: cambiarci un po’, spingendoci ad una profonda introspezione e, da questo punto di vista, cosa ci può essere di meglio che un gioco con protagonista il padre dalla psicoanalisi?