Posizione n°2: Metal Gear Solid 5: The Phantom Pain
Si possono riconoscere limiti e difetti di un titolo e poi posizionarlo lo stesso al secondo posto? Sì, si può e lo sto facendo. Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è un’immensa opera incompiuta, figlia di un rapporto travagliato tra Konami e Kojima, eppure in mezzo a tutto questo sterco mediatico è nato un fiore stupendo, che probabilmente (anzi, sicuramente) costituisce il canto del cigno della serie, il punto di contatto tra due epoche narrate in 30 anni e che chiude quindi il cerchio.
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Al di là del contorno è ovviamente la sostanza ad avermi colpito: Metal Gear Solid V: The Phantom Pain e il suo autore possono essere trattati come un film di Tarantino. In entrambi i casi ci troviamo infatti di fronte a dei prodotti dotati di più livelli di lettura (per un pubblico più ampio e per uno più raffinato), stracolmi di citazioni e che sprizzano autorialità da tutti i frame. C’è chi dice che per il mondo dei videogame sia un vantaggio non avere divismi imperanti come accade nel mondo del cinema: io non sono del tutto d’accordo. Ci sono delle volte in cui vedere una personalità così chiaramente riversata in un videogioco non può che fare piacere. Grazie Kojima per tutto il Metal Gear che ci hai donato, ora è il momento di voltare pagina.
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