Los Angeles – Ogni tanto la fortuna guarda dalla nostra parte. Oggi in special modo. Ed ecco che, per qualche assurda coincidenza, mi ritrovo qui in prima fila, sotto il palcoscenico dell’Orpheum Theater dove Ubisoft si appresta a presentare la propria attesa Press Conference 2014. Circondato da misteriosi individui di Ubisoft (che lo ammetto, stanno guardando il sottoscritto con espressioni non proprio amichevoli) tiro fuori con savoir faire il fido portatile e butto giù queste righe introduttive, cercando di darmi un pizzico di tono quando invece potrei benissimo essere una sardina in un oceano di squali. Via con l’immancabile check: batteria, ok. Foto, ok. Titoli? Beh, per scoprirli dovete portare ancora un pizzico di pazienza, anche perché mancano 27 minuti all’inizio dell’evento. E se voglio rimanere in prima fila fino alla fine, qualcosa lo dovrò pure scrivere, no?
… 1 ora e 57 minuti dopo….
Ok, ce l’abbiamo fatta, siamo sopravvissuti anche alla conferenza di Ubisoft. Dopo una conferenza 2012 passata alla storia per annunci gargantueschi (ve lo ricordate Watch Dogs?) e introduzioni ballerine firmate Flo Rida, seguita da un’edizione 2013 nettamente sotto tono pur confermandosi generosa in quanto a titoli, il Publisher francese quest’anno non si è certo tirato indietro, anzi, ha affilato le proverbiali unghie portando sul palco quei classici pezzi da 90 che in tanti, se non tantissimi, attendono dalla genesi di questa next generation. La line up c’è ed è di sostanza, ma se anche voi appartenete a quel gruppetto di irriducibili sognatori in costante attesa dell’annuncio bomba che non ti aspetti beh, forse proverete un pizzico di delusione.
Sì, perché a conti fatti in una conferenza fatta di triple A massicce e, con buona probabilità, destinate a portarsi a casa una sana manciata di premi, l’unico fulmine a ciel sereno arriva soltanto alla fine, quando un timido Guillemot si presenta quasi incerto sul palcoscenico, mastica qualche parola in inglese e via, lascia spazio al footage di Rainbow Six: Siege. Un titolo che ammettiamolo, spalanca le mascelle degli astanti vuoi per un grado di realismo davvero incredibile, vuoi per un coefficiente di distruttibilità ambientale inedito per il publisher francese. Il concetto di mappa, almeno in un contesto interno, pare quasi arcaico: esistono le pareti e le porte chiuse, ma basta una carica controllata di C4 per creare nuovi ingressi, diversivi o perché no, creare una trappola mortale per i nostri avversari. E il 5 vs 5 tra “buoni” e “cattivi” a cui abbiamo assistito incarna forse la scelta migliore per dare sfoggio della fisica di nuova generazione del nuovo tassello del franchise, assente dagli schermi da quasi 6 anni e già accattivante nonostante il codice pre-alpha.
Il resto della conferenza, duole un po’ doverlo ammettere, è nello stile (troppo) classico di Ubisoft: una Aysha Tyler bella come il sole (ancor più bella vista la nostra posizione privilegiata) che spara a zero su tutto e tutti, ammiccante persino nelle battutine scorrette ma che ci volete fare, a lei qualche “fuck” qua e là lo si può concedere. Una intro esilarante dei Raving Rabbids, che sembrano volerci spiegare la magia dietro al fenomeno dei braccialetti luminosi (una costante dell’E3 2014, a quanto pare) senza però dare spazio ad un nuovo episodio della saga lascia rapidamente spazio a FarCry 4: nuovo trailer, nuovo cattivo fuori di testa almeno quanto il vecchio Vaas e una location che toglie il fiato, quell’Himalaya bello e maledetto allo stesso tempo. Quattro o cinque minuti di tripudio per gli occhi con un trailer dove la follia ne fa da padrona e culmina nell’ancor più immancabile “selfie” con protagonista e antagonista riuniti per chissà quale motivo. Bello, bellissimo, ma chi non si aspettava FarCry 4 all’Orpheum?
Pausa veloce ed è il turno di Just Dance 2015, che tradizionalmente significa una buona dozzina di ballerine gnocche e ballerini muscolosamente imbarazzanti che muovono il culo a ritmo di Lady Gaga. Jason Altman, producer del titolo, parlotta un po’ e si mette a ballare, ma la sua performance è disastrosa. Nettamente meglio come oratore, specie nello spiegare la componente mobile del gioco legata all’oramai imprescindibile Companion App: interessante, per carità, ma se in Ubisoft pensano che basti un’app per farmi ballare come un indemoniato, forse devono rivedere i propri piani. Shape Up, quantomeno, cerca di rendere la ginnastica meno faticosa e più divertente, contestualizzando flessioni, step e diavolerie simili da palestra in uno scenario ridicolo e, più precisamente, in una sorta di missione sfida 1 contro 1. Una corsa sul posto diventa una gara di velocità sul tetto di un treno, una sfida di flessioni diventa una gara paradossale dove sulla schiena dei contendenti appaiono macigni, elefanti, balene o ciambelle mastodontiche. Si ride molto, Charles Huteau (Executive Producer) si scanna come un matto e ci mette del proprio, e la platea sembra approvare. Non sarà la cosa più memorabile, ma almeno si ride di gusto. E qui finisce la conta dei giochi Kinect made in Ubi.
E poi ci sono loro, le cartucce migliori del cannone. C’è The Division, annunciato in modo esilarante dall’istrionica conduttrice che si chiedeva come avrebbero potuto ballare in una New York debellata da un’epidemia, e il Producer di Massive, il bravo Peter Mannerfelt. Sulle note di Silent Night (Astro del ciel, per i meno anglofoni) si snoda la tragedia invisibile del poveretto di turno, braccato da due sciacalli armati di tutto punto e prontamente salvato dalla “divisione Clancy”. Coinvolgente, emozionante, bello: ma dell’effetto sorpresa, non si vede proprio l’ombra.
Effetto sorpresa che latita anche nella presentazione del single player di Assassin’s Creed Unity, con tanto di Alex Amancio sul palco che mostra come ammazzare il Capitano Xavier in pieno regime di Terrore, nella lontana Parigi del 1793. Tranquilli, avrete maggiori dettagli da Dixan già a partire da domani (idem per The Division e FarCry 4, ma di quelli me ne occuperò io), ma se da un lato le premesse per un buon titolo ci sono tutte, dall’altro basta poco per accorgersi di come la magia dell’E3 non basti a nascondere alcuni difetti anacronistici che speravamo di vedere cancellati. Ma basta parlare, voglio tenervi ancora sulle spine.
Ah sì, amanti delle quattro ruote, mi stavo scordando di voi. The Crew era dove tutti ce lo aspettavamo, con un footage in game di qualità indiscutibile presentato da Julian Gerighty. L’America a portata di ruota, un titolo next gen only disponibile dall’11 Novembre e che, “stupore degli stupori”, sarà disponibile in beta dal prossimo 23 Luglio. Con tanto di contest internazionale su 7 locations di tutto il mondo che convergono su New York. A quanto pare, la Grande Mela sta parecchio simpatica a Ubisoft, che si avvia verso la conclusione della conferenza confermando una line up robusta ma quasi impaurita dal voler osare, dal voler mostrare qualcosina in più rispetto a quanto tutti (o quasi) già sapevano.
Ma nonostante questo, dovessimo assegnare la mela d’oro al miglior titolo Ubisoft non c’è storia: Valiant Hearts vince a mani basse su tutto e tutti, con un teaser trailer che tocca le corde più remote del nostro cuore e riesce a far piangere giornalisti dall’esperienza pluriennale come dei poppanti alla prima fiera. Il titolo di Ubisoft Montpellier viene raccontato attraverso gli occhi fedeli di un cane, legato al proprio padrone da un rapporto che va ben oltre quello della reciproca coesistenza bellica: un amore fedele, totale, incondizionato che non può far sussultare il giocatore nella scena finale, quando il “non più cucciolo” guaisce e si accovaccia sulla bara del proprio migliore amico.
E dunque brava Ubisoft, non sarai riuscita a stupirmi come facesti due anni fa, ma sei riuscita a farmi scendere qualche lacrima copiosa proprio lì, dalla prima fila. E passi pure una press conference nella media, con pochi acuti e tante conferme: per un paio di minuti mi hai fatto riflettere, mi hai strappato il cuore dal petto e mi hai sbattuto in volto come, alle volte, anche in un videogioco sia possibile trovare dignità, emozione, passione. Anche quando a narrare questi concetti è un cane malinconico che piange il ricordo dell’amato padrone.
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