Generation Zero – Anteprima E3 2018

Los Angeles – Quanto ne sapete di Stranger Things? Avete consumato la vostra videocassetta di E.T.? Cosa ne pensate di Alba Rossa, l’originale del 1984 e non il remake? Soprattutto, conoscete il gioco di ruolo da tavolo Tales from the Loop? Se avete risposto sì ad almeno tre di queste domande, allora non avrete problemi a ritrovarvi nell’atmosfera del titolo in sviluppo da parte di Avalanche Studios. Avete capito bene, lo stesso studio che sta lavorando a Just Cause 4 e Rage 2 aveva da parte una terza cartuccia nel caricatore e abbiamo avuto la fortuna di assistere a un hands-off demo in una delle salette del Microsoft Theatre. Se volessimo trovare una definizione immediata e basilare, potremmo definire Generation Zero come un “Horizon Zero Dawn in prima persona cooperativo ambientato negli anni ‘80”; questo non vuol dire che  il gioco sia una copia del lavoro di Guerrilla Games ma nel momento in cui ci si ritrova in un paese della Svezia, abbandonati a noi stessi, costretti ad affrontare macchine invasori e ostili nei nostri confronti, è inevitabile che il pensiero corra ad Aloy e alle sue avventure. Vi rassicuriamo però sul fatto che per quanto il concept possa esservi noto, le somiglianze si fermano qui.

Pur sviluppato in partnership con ID@Xbox, il programma Microsoft rivolto agli indie che dunque conferisce gli sviluppatori un appoggio importante, Generation Zero segna soprattutto la svolta di Avalanche Studios verso l’autopubblicazione, forte delle passate esperienze con produzioni AAA. Sebbene inoltre la presenza di ambientazioni post apocalittiche sia molto preponderante nell’ultimo periodo, Generation Zero ha dalla sua il vantaggio di concentrarsi più sulla narrazione e l’atmosfera che non il combattimento fine a se stesso – parte comunque fondamentale dell’esperienza. Senza perdere ulteriore tempo, carichiamo il fucile, recuperiamo la nostra fida Boomboxer (cosa c’è di meglio per sottolineare il periodo e la cultura pop che lo caratterizza?) e, da soli o in compagnia fino ad altri tre amici, prepariamoci a scoprire cosa si nasconde dietro questa misteriosa e mortale invasione.

Il gioco, come ho scritto, è in prima persona. Prima della demo vera e propria ci è stato detto che di ritorno da una vacanza in barca siamo stati attaccati e affondati al largo della costa. Una volta sulla terraferma, abbiamo iniziato a realizzare che qualcosa non va: le macchine sono abbandonate sul ciglio delle strade, le case sono aperte e in giro non si vede nessuno. La campagna circostante la cittadina dove era ambientata la demo brulicava non di esseri umani bensì di misteriosi robot dalle intenzioni tutt’altro che amichevoli. La sezione mostrata ha visto in gioco due personaggi controllati dagli sviluppatori, ciascuno con la propria postazione, intenti a muoversi lungo i suggestivi paesaggi scandinavi, che il motore Apex Engine di Avalanche Studios ci restituisce nella loro affascinante sobrietà, per capire cosa sia successo alla città e agli abitanti. Diventa chiaro fin da subito come il concetto di sopravvivenza sia il punto chiave del gioco: in Generation Zero si cerca molto per trovare ogni sorta di bottino, siano essi componenti, oppure armi o, cosa ancora più importante, munizioni. La scarsità di queste ultime ci mette in costante svantaggio contro le creature che popolano il mondo di gioco, costringendoci a pensare fuori dalla scatola per evitare quanto possibile lo scontro diretto e, nel caso si sia costretti a ingaggiare, ribaltare la situazione a nostro vantaggio prima di esporci.

Durante l’intera partita abbiamo potuto vedere un paio di tipologie di nemici, entrambe piuttosto basilari ma uniche a modo loro per il tipo di approccio verso il giocatore: i Runner hanno un aspetto simile a quello di un cane e possiamo considerarli come le unità di avanscoperta, sempre che questi robot abbiano una qualche sorta di gerarchia. Quadrupedi e piuttosto veloci, sono dotati di una mitragliatrice che non esiteranno a usare nel caso ci localizzassero. Per quanto resistenti, tuttavia, non sono esenti dall’avere uno o più punti deboli che starà a noi giocatori individuare: all’inizio dovremo affidarci a semplici supposizioni, come ad esempio il classico colpo in testa, ma andando avanti con la progressione del personaggio riusciremo a sbloccare abilità utili ad analizzare meglio i nostri avversari. Oppure potremo recuperare dei blueprint, chi lo sa.

Il secondo tipo di robot lo abbiamo visto una volta che i giocatori hanno raggiunto un bunker nel tentativo di scoprire cosa sia successo agli abitanti, apparentemente spinti a evacuare l’area. Chiamati Tick, queste macchine sembrano dei piccoli ragni ed è evidente come le loro dimensioni e l’agilità servano a infastidire il giocatore tempestandolo di assalti senza dargli modo di capire dove girarsi. Non a caso questo genere di robot è più comune negli spazi angusti che non in quelli aperti. Ho menzionato brevemente la progressione del personaggio e come ci si aspetterebbe da un action open-world, il nostro avatar può essere personalizzato sia in termini stilistici facendogli indossare abiti e accessori tipici degli anni ’80, e sia in termini più strutturali con un aumento di livello che ci concede punti abilità da spendere come meglio preferiamo. I personaggi non sono legati a una classe in particolare, perciò siamo liberi di scegliere la nostra personalizzazione sbloccando abilità in tutti e quattro i rami a disposizione – peraltro piuttosto approfonditi. La presenza del ramo “tech” fa supporre che i nemici possano essere hackerati ma gli sviluppatori non hanno confermato né smentito l’ipotesi, quindi non ci resta che immaginare come potrebbe essere violare la sicurezza di, non so, un robot alto come una casa. Se poi questa intromissione nei sistemi ci permettesse addirittura di controllarlo, sarebbe ancor più spettacolare ma solo il tempo potrà darci le risposte.

Gli altri tre rami, Combat, Support e Survival, parlano di per loro: gli sviluppatori hanno scelto di mostrarci come fare per individuare i punti deboli menzionati in precedenza andando a potenziare la percezione dell’avatar perché fosse in grado, utilizzando un binocolo sempre a disposizione, di determinare almeno a un livello basico i componenti che costituiscono i nemici. In questo modo non solo è possibile elaborare una strategia ma anche determinare se i robot sono equipaggiati con oggetti che potrebbero tornare utili a noi. Sì perché le armi, fondamentali alla nostra sopravvivenza, possono essere dotati di migliorie che le rendono più efficaci sul campo: alcuni modelli di Runners più avanzati incontrati verso la fine della demo, ad esempio, erano equipaggiati con un sensore a infrarossi che avrebbe vanificato ogni tentativo di avvicinarsi senza essere individuati. Facendo attenzione a non distruggerlo nel combattimento, gli sviluppatori hanno abbattuto un robot lasciando integro il sensore in modo tale da ottenere come bottino esaminando i suoi resti. Le armi non sono, come ad esempio in The Division, legate a uno specifico livello: il giocatore può equipaggiarne una qualsiasi indipendentemente, perché a fare il discrimine saranno le condizioni. Un fucile in pessimo stato non avrà lo stesso effetto di uno nuovo, com’è logico che sia, ma in un mondo distopico dove le risorse sono piuttosto rare non è il caso di essere troppo schizzinosi.

Essendo la specialità di Avalanche Studios, Generation Zero è appunto basato su un sistema open-world: nulla obbliga i giocatori a seguire un determinato percorso ed è persino possibile che esplorando si trovino più indizi di quanti un percorso lineare avrebbe potuto portarne. Da Myst a Tacoma, i videogiochi hanno una lunga storia di narrazione ambientale in luoghi abbandonati: mettere insieme cos’è successo in un determinato contesto prima che noi ci arrivassimo combinando gli indizi trovati nel corso dell’avventura è uno dei tanti modi di raccontare storie e sembra che Generation Zero vi si stia dedicando con un certo impegno. A proposito della cooperazione con altri giocatori, l’esperienza non vincola i compagni di squadra a stare tutti nello stesso punto. Ognuno può andare dove desidera, magari dopo aver pianificato una strategia con gli altri, e qualsiasi informazione trovi verrà automaticamente condivisa con gli altri membri della squadra. Un modo per permettere a tutti di vivere la propria esperienza usufruendo comunque del lavoro di squadra. Inoltre si entra ed esce dalla modalità singola al multigiocatore in ogni momento.

Proprio questa enfasi su un open world abitato, almeno così sembra, da sole macchine ha sollevato in noi qualche perplessità: l’assenza di eventuali personaggi umani non solo potrebbe ridurre l’esplorazione del mondo alla mera necessità di trovare provviste, comunque sempre necessarie, ma nemmeno rendere questa meccanica sufficientemente interessante per osare più del necessario – e sarebbe un peccato sprecare una ambientazione così ispirata. Dall’altro, per quanto sempre interessante il concept delle macchine come nemico principale, occorre una varietà nelle tipologie in modo tale da dare un senso alla nostra sopravvivenza. Runner e Tick non sono particolarmente impegnativi e non trasmettono alcun senso di urgenza, pericolo o persino terrore, dunque la speranza è che Avalanche Studios possa tenerci sempre sul pezzo implementando macchine più complesse e letali. Il setting, ad ogni modo, per ora ci ha convinti.

Sebbene fortemente ispirato a Horizon Zero Dawn, Generation Zero sembra essere pronto a sviluppare un’identità propria: il ciclo giorno/notte, la balistica reale per quanto riguarda le armi e il danno persistente ai nemici sono tutte caratteristiche intriganti introdotte in un setting che si è distopico ma al contempo manca di quella tecnologia che contraddistingue un Detroit: Become Human o un Cyberpunk 2077. Questi sono gli anni ’80 e per quanto all’apparenza possa sembrare, Avalanche Studios non sta inseguendo qualche trend per rendersi più appetibile ai giocatori: Generation Zero si percepisce come un’estensione naturale del lavoro dello studio e del luogo di provenienza degli sviluppatori, motivi per i quali potrebbe davvero avere un cuore e un’anima. La pubblicazione è prevista per il 2019.