14 Lug 2020

Ghost of Tsushima – Recensione

Si racconta che al termine di ogni riunione del suo clan, Oki Hyobu dicesse sempre ‘I giovani devono sforzarsi di accrescere la loro determinazione e il loro coraggio. Ciò è possibile solo se il coraggio è radicato nel cuore. Quando la spada è spezzata, bisogna attaccare con le mani. Quando le mani sono amputate, è necessario servirsi delle spalle. Quando le spalle sono ferite, bisogna mordere il collo di dieci e persino quindici avversari. Ecco cos’è il coraggio’”. Questo frammento dell’Hagakure, una raccolta di pensieri del samurai Yamamoto Tsunetomo, aiuta e non poco a comprendere la tenacia e l’inossidabile forma mentis di simili figure leggendarie, qualità attribuibili anche allo Spettro di Tsushima, Jin Sakai, del cui clan impugneremo la katana e indosseremo le vesti nella nuova avventura firmata Sucker Punch, l’atteso Ghost of Tsushima in esclusiva per PS4.

Un titolo simbolico che chiude anche un ciclo generazionale semplicemente da incorniciare per Sony, merito di esclusive pesantissime che hanno segnato il medium grazie a valori produttivi stellari e, in casi come The Last of Us Part II, che si sono poste come veri e propri spartiacque, punti di non ritorno oltre i quali certi standard qualitativi appaiono ormai obsoleti. Ghost of Tsushima, insomma, sarebbe dovuto essere il proverbiale canto del cigno, il glorioso sigillo su quasi due lustri cruciali per il predominio dell’azienda giapponese, ma per quanto assolutamente di valore, l’opera degli autori di Infamous manca in parte il bersaglio, lasciando un po’ di amaro in bocca. E no, l’uscita a un mese di distanza dal gioco della generazione non c’entra.

Le gesta di Lord Sakai, nipote dello jito dell’isola di Tsushima, hanno inizio nel 1274, sulla spiaggia di Komoda: trovandosi a metà strada tra il paese del Sol Levante e l’attuale Corea del Sud, l’isolotto è un naturale punto di inizio per chiunque voglia tentare un assalto al glorioso Giappone. Un agguerrito esercito di mongoli, capeggiato da Khotun Khan, nipote del ben più illustre Gengis, approccia le coste, difese da un manipolo di samurai pronti a sacrificare la propria vita per il bene del popolo, ma la disciplina e la preparazione dei nostri può ben poco contro la tracotanza del nemico. Un nemico diverso da quello dell’immaginario comune, lontano dai cliché classici dei “barbari invasori”: Khan è un abile stratega, che parla perfettamente giapponese, che conosce gli usi e costumi del popolo invaso, e che pur a suo agio con decapitazioni e con l’uso della forza, predilige trattative e metodi di convincimento all’insegna della non-violenza.

La nascita dello Spettro di Tsushima ha luogo su quella stessa spiaggia, al termine di un primo, doloroso duello contro Khan. Una sconfitta, un capitombolo, un brusco risveglio a metà strada tra la vita e la morte mantengono Jin e il suo spirito ben ancorati al terreno.

Le gesta di Lord Sakai, nipote dello jito dell’isola di Tsushima, hanno inizio nel 1274, sulla spiaggia di Komoda

La rinascita però ha un costo, complice la consapevolezza di avere davanti un’entità troppo forte e insormontabile, e con essa arrivano anche compromessi, e la debolezza insita nella dualità dell’uomo: addestrato da samurai, emblema dell’individualismo più sfrenato, il protagonista è costretto, in primis, a elemosinare l’aiuto dei pochi samurai superstiti da quel devastante assedio, ma soprattutto, a ricorrere a personaggi dalla dubbia moralità e a tecniche degne di ladri e pirati. Omicidi silenziosi, kunai stordenti, esplosivi, diversivi, e più in generale, arrecare la morte senza guardare il nemico negli occhi, forse il più grande tradimento agli insegnamenti dello zio, Lord Shimura. Conflitti interiori necessari per il bene comune, ma a che costo?

La riconquista dell’isola e la creazione della leggenda dello Spettro si dipana attraverso una struttura narrativa simile a quella vista in Days Gone (altro titolo della scuderia Sony), studiata principalmente per tamponare l’inevitabile diluizione che l’open-world porta con sé: filoni narrativi chiamati “Racconti”, scompattati in lunghe missioni principali, alternate a quelli Mitici, il cui completamento garantisce la scoperta di potenti Colpi Celestiali, e a vicende più terrene ma comunque cruciali, attività secondarie con cui aiutare gli abitanti dell’isola, vessati da povertà e dalla brutalità degli invasori, perlopiù attivate chiacchierando con gli NPC o traendoli in salvo tra una traversata del mondo e l’altra. Un modo per mantenere il filo del discorso, ma che come in Days Gone, non riesce pienamente a tenere il focus né a convincere del tutto, complici anche dialoghi non sempre dalla scrittura brillante, un protagonista non proprio carismatico, e un susseguirsi degli eventi dal ritmo schizofrenico.

Un peccato, vista la bellezza incredibile dell’isola di Tsushima. Come già visto in Infamous, Sucker Punch ci sa davvero fare con le ambientazioni dei suoi titoli, e nel suo ultimo titolo per PS4 ha spremuto l’hardware della console e le menti dei suoi creativi, per restituirci un mondo di gioco davvero pazzesco, impreziosito da una colonna sonora eccellente, e un doppiaggio di alta qualità, tanto in giapponese, quanto in inglese e sì, anche in italiano, per quanto la voce del protagonista, nella nostra lingua, risulti forse troppo giovanile e vada a spezzare parte dell’austerità della versione originale. Meno densa della Seattle di Second Son (per ovvi motivi), ma non per questo meno suggestiva, Tsushima regala scorci mozzafiato a ogni angolo, nonostante le sbavature presenti in pressoché ogni comparto del gioco siano presenti anche in quello grafico/artistico (come texture delle rocce poco credibili, una realizzazione dell’acqua non proprio eccellente, e delle animazioni facciali per nulla convincenti, spesso mascherate da astuti campi larghi o persino cappelli).

La varietà dei biomi è sbalorditiva (meno quella di accampamenti e villaggi, molto simili tra loro, soprattutto per quanto riguarda gli interni), e in sella al vostro cavallo sarà dura non fermarsi ogni 100 metri per godersi un tramonto suggestivo, una prateria foltissima o per scattare una foto grazie alla poderosa Photo Mode, con cui potrete anche catturare delle clip (con tanto di cambi inquadratura programmabili, una meraviglia), tutto reso meravigliosamente grazie anche ad effetti particellari sontuosi, quasi esagerati, che restituiscono un mondo vivo e pulsante nonostante vergine e selvaggio.

Tsushima regala scorci mozzafiato a ogni angolo

Se allenterete la presa sullo svolgimento della main quest, sarà il mondo di gioco stesso a invitarvi a deviazioni, il tutto in maniera estremamente organica: dal già noto vento che vi condurrà verso l’obiettivo in corso (o, sbloccando abilità dedicate, verso uno dei molteplici collezionabili da raccogliere/scoprire), alle volpi da inseguire che vi condurranno verso altari nascosti o agli uccelli dorati che segnaleranno la presenza di punti di interesse nei paraggi, Ghost of Tsushima sa come far immedesimare il giocatore, soprattutto decidendo di ridurre al minimo l’HUD o di consultare quanto meno possibile la mappa, lasciandosi indirizzare dal suo intuito o meglio ancora, dalla natura stessa.

E così oltre alle missioni in senso stretto (abbastanza canoniche e a tratti ripetitive, tra avamposti da ripulire e indagini da svolgere sfruttando l’Ascolto Attento, simile all’Occhio dell’Aquila di Assassin’s Creed), avrete anche attività e mini-giochi legati allo sviluppo e al potenziamento delle vostre abilità, tutti assolutamente coerenti e integrati nell’atmosfera del tempo: sorgenti termali in cui riflettere sui fatti accaduti aumentando la salute, tempi arroccati su picchi molto complessi da raggiungere (sfruttando rocce, appigli e anche il rampino), canne di bambù presso cui allenarsi, e persino angoli silenziosi in cui comporre haiku, elementi che fanno il paio con provviste, risorse, fiori e pelli di animali grazie alle quali potrete potenziare e personalizzare l’arsenale di Jin presso gli appositi mercanti e fabbri, disseminati tra villaggi e campi profughi.

Le potenti tecniche samurai andranno però necessariamente apprese sul campo di battaglia, come è giusto che sia: pur non presentando un classico sistema di progressione, Ghost of Tsushima offre al giocatore un sistema che, completando missioni e ripulendo avamposti, da una parte, ne aumenta il prestigio sull’isola, avvicinandolo sempre di più allo status di leggenda, e dall’altra gli permette di accumulare punti abilità da investire nei singoli alberi, suddivisi in base all’approccio più diretto e onorevole da samurai, o quello più discreto, in base allo stile di gioco preferito dal giocatore.

Peccato però che il combat system superficiale, una certa legnosità nei movimenti e nelle animazioni, una gestione della telecamera davvero pessima e una IA non proprio stellare, minino entrambe le filosofie di gioco, presentando pro e contro che, alla lunga, non riescono a far prediligere un sistema sull’altro. Il combattimento con la katana (l’unica arma “principale”) è infatti molto più semplice e diretto di un classico action, un ibrido peculiare molto intrigante sulla carta, ma che a conti fatti risulta abbastanza superficiale e abbozzato, con un attacco più lento e pesante, necessario a infrangere la difesa nemica, uno più rapido e veloce, un sistema di parate abbastanza difficile da padroneggiare come si deve (ma che, tolti alcuni attacchi dei nemici contraddistinti da un bagliore di colore rosso, vi proteggerà pressoché sempre e comunque) e alcuni colpi speciali da sferrare nel momento del bisogno consumando Determinazione, accumulata uccidendo nemici o eseguendo parate perfette, e necessaria anche per curarsi (non esistono oggetti di cura, quindi la cura diventa pro-attiva: se state per morire, il gioco vi sprona a rischiare e a tentare in una cura last-minute – ma se non succede tranquilli, il sistema di checkpoint agevola sin troppo, andando anche a mantenere le kill fatte fino a quel momento).

Né l’approccio più offensivo, né quello più stealth riescono realmente a brillare

C’è poi un sistema di stance, chiamate “Forme”, ma che tolte alcune semplici combo, peraltro non troppo dissimili tra loro, non offre la stessa varietà di quanto visto in titoli come Nioh 2, rivelandosi come un mero gimmick da alternare in base alla tipologia di nemico che si ha davanti, quasi più un fastidio che uno stimolo a sperimentare con le mosse (come dovrebbe essere): se il nemico ha uno scudo, solo la Forma dell’Acqua potrà infliggergli seriamente danno, se il nemico ha una lancia, quella del Vento, e così via, ma la cui mancanza di stratificazione ne vanifica in parte l’intento.

Peccato però che manchi un sistema di lock-on, una scelta semplicemente folle che, unita a una telecamera che fin troppo spesso si piazza dietro a ostacoli come muri e case, rischia di farvi morire qualche volta di troppo: d’accordo il taglio cinematografico (come testimoniato dalla “modalità Kurosawa”, che vi permette di giocare Ghost of Tsushima con un filtro che ricorda le opere del maestro del cinema nipponico), ma non se questa scelta va a inficiare il gameplay. E l’IA, quando è sull’offensiva, restituisce comunque quel senso di artificialità, con nemici che attaccano ordinatamente uno alla volta, o arcieri che ci avviseranno prima di colpirci, mentre sulla difensiva a volte non ci vede del tutto (soprattutto dondolando con un rampino), a volte ci pensano collisioni non sempre precise a rendere più difficile una kill silenziosa (così come le arrampicate). Insomma, storture su storture che fanno storcere il naso, e che non permettono al titolo di Sucker Punch di brillare.

Conclusioni

Ghost of Tsushima non è un brutto gioco, ma è forse il modo peggiore per Sony per concludere una generazione da manuale. Le sbavature, in termini tecnici e di soluzioni di design, sono molteplici,e impediscono al titolo di Sucker Punch di ambire alla gloria di altri illustri compagni di scuderia. Ed è bene precisarlo, uno scambio di data di uscita con il monumentale The Last of Us Part II avrebbe giovato più a Sony, che avrebbe potuto chiudere col botto, che al gioco in sé, a cui non sono bastati nemmeno i 6 anni di distanza dal progetto precedente o il know-how di Sucker Punch in fatto di open-world, utile più nella qualità dell’ambientazione che nella componente puramente ludica. Se Tsushima è splendida da esplorare e immortalare nell’eccellente Photo Mode, sono elementi come una certa legnosità, una IA non stellare e una telecamera mal congegnata a rendere meno piacevole la permanenza sull’isola, nonostante le sue dimensioni generose e le tante cose da fare. Non mancano una certa ripetitività e una scrittura non sempre brillante a tarpare le ali a un’opera che poteva mirare molto più in alto, ma a cui, forse, è mancato il coraggio, lo stesso coraggio che rendeva leggendari i samurai.

Ghost of Tsushima è disponibile da GameStop Italia a partire dal 17 luglio, in esclusiva su PS4.

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