Google Stadia è stata una delle sorprese della GDC 2019 attirando subito a sé l’attenzione della stampa e soprattutto del pubblico, poiché potrebbe potenzialmente rivoluzionare il modo in cui giochiamo… ma non solo.
Se da consumatori l’idea di avere un infinito parco titoli da giocare dove vogliamo e quando vogliamo è sicuramente interessante e promettente (alla fine si tratterebbe unicamente di avere una connessione adeguata), il discorso diventa molto più preoccupante visto nei panni degli sviluppatori, in particolare gli studi minori e indie.
In questi giorni diversi creatori di giochi si sono confrontati sulle paure e preoccupazioni per Google Stadia, e il CEO di No More Robots Mike Rose e il Designer di Motion Twin Studio Sébastian Bénard hanno deciso di fare da portavoce in un lungo e interessante articolo di Digital Trends.
Potete trovarlo per intero a questo indizzo, mentre di seguito potete leggere un riassunto dei punti focali.
Il centro della discussione è il modello di business che sarà adottato da Google Stadia, che nonostante non sia stato ancora rivelato ufficialmente è stato ipotizzato essere di due tipi. “alla Spotify” e “alla Netflix“, e ognuno avrebbe comunque delle ripercussioni non da poco per gli sviluppatori minori.
Nel caso di un sistema alla Spotify gli sviluppatori verrebbero pagati in base al numero di ore giocate dagli utenti e al numero di avvii del gioco, e già da qui si può inutire quale sia il problam di base: gli indie spesso sono esperienze di altissimo livello qualitativo ma dalla durata breve, e questo sistema favorirebbe quindi i giochi più famosi o comunque con multiplayer andando a penalizzare i titoli brevi.
Pensate ad esempio a Gris o Dead Cells, sono giochi che andrebbero assolutamente provati, ma non sono certo titoli su cui non si possono spendere decine di ore, per cui gli sviluppatori sarebbero enormemente danneggiati da un sistema in base al tempo di gioco.
Il modello Netflix invece sarebbe più simile a quello che già utilizzano Sony e MIcrosoft per includere i giochi nei servizi come PlayStation Now e Xbox Game Pass, ovvero pagare una cifra prestabilita agli sviluppatori per poter aggiungere il titolo al proprio catalogo.
Si era già parlato dei vantaggi che questo modello porta sia al mercato che agli sviluppatori, ma anche in questo caso il problema riguarda proprio la cifra pagata da Google: se questa dovesse essere inferiore ai costi di sviluppo la sola visibilità o aumento del bacino di utenza potrebbe non essere abbastanza da giustificare la creazione stessa di un gioco.
Infine sono presenti altri problemi come il valore percepito di un titolo dall’utente (di base se non si accetta di far parte del servizio dopo diventa difficile vendere “alla vecchia maniera” visto che al costo di un singolo gioco se ne possono avere decine con un abbonamento) e anche la raccolta di feedback diventerebbe più difficile visto che tutti i dati passerebbero per Stadia e non con un canale diretto con gli studi.
È ancora presto tuttavia per dire se i timori degli sviluppatori indie siano fondati o meno, non resta che attendere aggiornamenti ufficiali da Google.
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