In tremendo ritardo rispetto alla data di uscita nella terra del Sol Levante, arriva finalmente anche da noi poveri abitanti dello stivale più sfigato del mondo, God Eater 2 Rage Burst, secondo capitolo del titolo Monster Hunter style prodotto da Bandai Namco. Principalmente sviluppato per le due console portatili del tempo (l’ormai defunta PlayStation Portable e l’ancora “viva” PlayStation Vita), il titolo sbarca ora anche su PlayStation 4 grazie all’espansione chiamata Rage Burst, che arriva sui nostri schermi in “coppia” con la versione rimasterizzata dell’episodio originale, ovvero God Eater Resurrection.
Nel futuro, la Terra è cambiata. L’uomo non è più l’essere vivente più forte e spietato del pianeta, quel titolo ormai spetta agli Aragami. Mostri che hanno decimato la razza umana senza il minimo ripensamento. Mostri che si attaccano persino tra di loro, cibandosi della carne dei loro simili, e che si sono generati dalle cellule Oracle, micro organismi la cui priorità è quella di nutrirsi con tutto quello che gli si pari davanti. Poche sono le fortezze umane che ancora resistono all’avanzata di queste creature, e fortunatamente, tra le file difensive, si cominciano a distinguere dei guerrieri d’élite, i God Eater. Essi non sono altro che i pochi ad essere in grado di utilizzare i God Arc, armi organiche sviluppate sinteticamente, che risultano essere strutturalmente simili agli stessi Aragami, e per questo in grado di annientarli.
A tre anni di distanza dagli eventi che abbiamo vissuto nella Fenrir, ci ritroviamo a bordo della fortezza mobile Friar, all’interno della quale saremo chiamati a sostenere un esame che sancirà la nostra idoneità per entrare a far parte della Blood Unit. Vi possono accedere solo un ristrettissimo numero di componenti, scelti con cura dalla dottoressa Rachel, che gestisce la sezione tecnica della Friar portando avanti con successo questo progetto.
La situazione però è più critica del previsto, perché come tra gli umani si distinguono soldati con capacità superiori, anche tra gli Aragami l’evoluzione ha creato gli Psion, esseri più potenti in grado di controllare mentalmente quelli più deboli. Riuscirà la Blood Unit a sedare questa nuova stirpe?
All’interno del gioco vero e proprio, esattamente come nel Resurrection, dovremo per prima cosa creare il nostro God Eater. La creazione sfortunatamente non è eccessivamente profonda, i modelli infatti godono di un numero di varianti non elevatissimo, e di conseguenza sarà piuttosto facile ritrovarsi a “comporre” lo stesso aspetto fisico usato da altri utenti.
Con il nostro personaggio pronto all’azione, potremo quindi gettarci a capofitto prima nel tutorial, e poi nelle missioni vere e proprie che ci faranno proseguire all’interno della trama. Sempre al nostro fianco in questi frangenti, i God Arc, le armi usate da questi giovani combattenti, che alla fine della fiera sono il punto focale della lotta contro gli Aragami. Esse possono assumere tre forme principali, una da corpo a corpo come lama, una da fuoco come fucile, ed una difensiva a forma di scudo. Ognuna delle categorie principali possiede delle sottoclassi, che ovviamente si distinguono in primis per la tipologia di arma a cui fanno capo, ed ovviamente per lo stile di combattimento necessario per poterle adoperare per bene.
Giusto per fare un esempio, se siete abituati a dei combattimenti dalla media-breve distanza, sarà l’ideale scegliere per esempio una lama lunga piuttosto che uno spadone, ed un fucile d’assalto invece che uno da cecchino. Le varie combinazioni definiscono in pratica lo stile di combattimento e l’approccio da usare in battaglia, e tra quelle disponibili cui il giocatore troverà sicuramente quello a lui più congeniale.
Alcuni Aragami sono più vulnerabili ad attacchi inferti da determinati tipi di arma piuttosto che altre, e per questa ragione, la preparazione alla partita è molto importante.
I God Arc potranno essere migliorati con quelli abbandonati che si troveranno durante le missioni, da cui si potranno infatti estrarre alcune abilità, che poi successivamente si potranno impiantare nella nostra arma.
Durante l’azione vera e propria, si affronteranno delle missioni in cui abbattere uno o più Aragami, che di solito scorrazzeranno liberamente nella zona in cui la Blood Unit sarà inviata. I nemici potranno essere affrontati con un numero di compagni di squadra variabile in base alla disponibilità, ma che in ogni caso daranno supporto in base alla propria specializzazione in battaglia.
La struttura di gioco quindi risulta del tutto simile a quella del suo predecessore, e non solo limitatamente a livello di meccaniche. Gli incarichi scivolano via fluidi e senza troppi problemi, ed anche se è sempre possibile incorrere in qualche piccolo “infortunio” sul campo, i nostri compagni saranno pronti a correre in nostro soccorso piuttosto in fretta. Controllando la zona di combattimento ed usando l’abilità del nostro God Arc sui cadaveri degli Aragami, recupereremo materiali preziosi, che alla base potremo usare per migliorare la nostra arma, per crearne nelle nuove o per craftare materiali propedeutici per le operazioni appena citate.
E’ ovvio che un’arma migliore avrà una performance di attacco migliore, ma a volte un tipo differente, anche se meno potente, se usata contro il giusto nemico, può fare la differenza. Alcuni Aragami, per via della loro struttura, sono infatti più vulnerabili ad attacchi inferti da determinati tipi di arma piuttosto che altre, e per questa ragione, in un buon numero di missioni, la preparazione alla sortita è molto importante.
Prima di uscire a caccia infatti, è consigliabile fermarsi ad uno dei terminali, per rivedere velocemente il proprio equipaggiamento, controllare le scorte, e perché no, aggiornare le armi e modificare i proiettili a propria disposizione. Questi ultimi tra l’altro, sono disponibili in vari “modelli”, e come le tipologie di armi possono risultare più o meno efficaci contro i nemici. Attraverso l’interfaccia del terminale è possibile personalizzarli in maniera piuttosto esaustiva, modificandone persino il tipo di danno elementale inflitto o l’effetto di curvatura (cosa molto in stile Wanted, giusto per capirci).
Passando invece alle novità contenute nel titolo, non possiamo che cominciare con le Blood Art, particolari abilità innate dei componenti della Blood Unit, che risulteranno essere una componente importante sia nei combattenti che all’interno della trama del gioco. Principalmente, queste abilità possono essere apprese e migliorate semplicemente usando in maniera continuativa un determinato colpo di un’arma in particolare, e possono essere attivate per migliorare alcuni aspetti del combattimento.
Ne troverete tantissime nell’apposita sezione, tanto che scegliere quella che più fa al caso vostro sarà decisamente un’impresa. Ma non sono solo queste le personalizzazioni possibili all’interno del gioco. Ogni personaggio infatti possiede un particolare “potere”, che alla fine di ogni missione potrà far acquisire alcuni bonus decisamente utili. Alcuni di questi sono legati per esempio al guadagno di PA, che altri non sono che i punti che potremo spendere a tempo debito per sbloccare e migliorare le abilità dei nostri compagni di squadra.
Ovviamente, una squadra ben studiata, con abilità e poteri perfettamente ottimizzati, non potrà che essere di profondo aiuto per far sì che i nostri avversari siano un pericolo sempre meno importante. Certo, tutti i vari aspetti magari potranno sembrare un po’ intricati all’inizio, ma basterà farci un pochino l’abitudine per riuscire a padroneggiare abilmente tutte le sezioni.
Non si può negare l’evidenza, ed il fatto che il titolo sia stato progettato principalmente per una console portatile, si vede lontano un miglio
Esteticamente parlando, non si può negare l’evidenza, ed il fatto che il titolo sia stato progettato principalmente per una console portatile, si vede lontano un miglio. Nonostante sia comunque stato fatto di certo un buon lavoro di porting, il divario tra il risultato finale e qualche recente produzione videoludica sviluppata direttamente su next-gen è onestamente imbarazzante.
A questo poi si aggiunge anche la scarsità di arene e locazioni in cui si svolgono le missioni, che tra l’altro, per chi ha giocato precedentemente il primo capitolo, risulteranno vagamente familiari… Scarne, non troppo dettagliate, e con interazione ridotta al minimo, le ambientazioni in battaglia risulteranno ben presto ripetitive, tanto che in pochissimo tempo si riuscirà a memorizzare facilmente la posizione in cui si trovano i materiali da raccogliere che ovviamente si faranno trovare sempre negli stessi identici punti.
Nel comparto audio le cose migliorano sul fronte della colonna sonora, che accompagna in maniera assennata i vari momenti di gioco, ma tornano nell’ignavia nel doppiaggio, che come gli abitanti dell’Antinferno descritto da Dante, resta senza infamia e senza lode, e raramente se ne potrà aver ricordo una volta spenta la console.
Meglio sicuramente sul fronte dei controlli, che perlomeno riescono a non far impazzire il giocatore dietro a strane combinazioni di tasti. Si rivelano al contrario piuttosto semplici, di facile memorizzazione e senza una curva di apprendimento troppo ripida. In pochi momenti infatti, grazie anche alle missioni di tutorial, si potranno maneggiare abilmente le varie tipologie di armi che i nostri God Eater si portano dietro, e con l’esperienza, si riusciranno anche mettere in pratica serie devastanti di danni in simbiosi con le azioni e gli attacchi portati dai nostri compagni di squadra.
Il titolo non è esente da bug ovviamente, specie da quelli legati alla compenetrazione dei corpi, che nelle sessioni di battaglia sono praticamente onnipresenti a meno di restare completamente immobili (ma anche in quel caso qualcosa di strano la si riesce comunque a vedere…). Per il resto diciamo che tutto fila bene o male quasi liscio, e l’unica cosa che ancora non ci spieghiamo è perché il titolo arranchi puntualmente nell’animazione durante il caricamento tra una missione e la base o viceversa.
Tre anni prima dell’avvento della Blood Unit, il mondo ha dovuto affrontare la devastazione portata dagli Aragami, e gli essere umani hanno potuto solo riporre la propria speranza solo nell’aiuto dei God Eater, giovani eroi in grado di contrastare queste terribili bestie, che altri non sono che agglomerati di cellule Oracle, organismi che fremono dal nutrirsi di qualsiasi creatura gli capiti a tiro. Questo è (era) l’inizio della storia, quella con cui un nuovo hunting game si affacciava sulla piazza giapponese dell’intrattenimento videoludico all’inizio del 2010, per l’allora unica console portatile di casa Sony, la PlayStation Portable. Il titolo originale parte dalla Fenrir, base principale della divisione Estremo Oriente, punto nevralgico della difesa del genere umano. Anche qui in primo piano ci sono i God Arc, armi biologiche dalla triplice forma usate contri questi grossi nemici dell’uomo, impugnate da valenti combattenti che si ergono a scudo di tutti i popoli. In effetti è evidente che a livello di meccaniche God Eater Resurrection è chiaramente il fratello più “anziano” del titolo che vi abbiamo presentato oggi, e da cui sostanzialmente non si differenzia in maniera troppo eccessiva. Il gioco è semplice, di facile apprendimento ed anche divertente quasi quanto al suo seguito, cosa quest’ultima che non è assolutamente da sottovalutare. Qui da noi questo genere forse è considerato un po’ troppo di nicchia, ma nella terra del Sol Levante vanta invece un numero decisamente più nutrito di seguaci. In ogni caso, arriva finalmente qui da noi con annessa espansione, che ai tempi prendeva il nome di God Eater Burst, e che insieme al titolo vanilla potrà fornirvi un’innumerevole quantità di ore di gioco, ripagando in buona parte il denaro speso per l’acquisto del bundle. |
È fisiologico, guardando God Eater è normale provare a fare un raffronto con Monster Hunter, ma facendolo si rischierebbe di percorrere un sentiero sbagliato. Il titolo Capcom è sicuramente superiore su alcuni aspetti, ma anche la serie di Bandai Namco ha i suoi punti di forza. Il titolo è decisamente più immediato infatti, al limite tra l’action game classico ed i comuni giochi di ruolo, ma con la presenza di una controparte strategica leggermente inferiore rispetto al capostipite del genere. Rispetto alla serie, non ci sono molte differenze nelle meccaniche di gioco, che restano quasi del tutto simili a quelle del precedente capitolo. Solo alcune piccole aggiunte, che anche se non rivoluzionarie, riescono a migliorare di quel tanto che basta l’esperienza di gioco precedente. Tra l’altro, come anticipato nell’intro, sarà possibile giocare anche il capitolo precedente (magari prima di questo per questioni di trama), perché incluso nel bundle di vendita sia fisico che digitale. Come già detto infine, esteticamente gli anni e le piattaforme di origine si rivelano un chiaro punto debole della produzione, che arriva su next-gen sotto il “livello di guardia” grafico, ma che bisogna ammettere, al di là del mero aspetto esteriore, si rivela essere più divertente di quanto possa apparire. Ci permettiamo quindi di consigliarlo solo a chi piace il genere degli hunting game, o per chi, avvezzo di action rpg, volesse fare una piccola deviazione di pista su qualcosa di simile ma non canonicamente uguale. |
Good
Trama appagante rispetto al diretto rivale Componente action rpg gradevole e di facile approccio Due titoli al prezzo di uno soloBad
Graficamente, gli anni passati si vedono tutti Genere leggermente di nicchia Location spesso riciclate
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