God of War Ragnarok
03 Nov 2022

God of War Ragnarok – Recensione

Non è affatto facile approcciarsi a God of War Ragnarok con il cuore leggero e la mente sgombra da qualsiasi pregiudizio. L’hype, le attese, il valore del brand e la certezza di trovarsi di fronte all’ennesimo sforzo di Sony di traghettare la sua utenza verso la nuova generazione, senza tuttavia dimenticarsi di PlayStation 4, sono fattori che più o meno involontariamente possono influenzare la propria percezione, il proprio giudizio, il parere su un titolo che, già da quanto mostrato nei trailer distribuiti in questi ultimi mesi, vanta e ostenta valori produttivi fuori scala.

È difficile, ma di tanto in tanto bisognerebbe essere sufficientemente lucidi ed oggettivi da riuscire a distinguere la profonda e reale essenza di un videogioco, sia essa rappresentata dal gameplay, dal comparto artistico o dalla commistione di questi due elementi, da tutto ciò che è puramente accessorio, unicamente estetico, sostanzialmente superfluo.

Filosofie a parte, il God of War del 2018, nel suo essere totalmente rivoluzionario e decisamente convincente sotto molti aspetti, nascondeva alcune criticità che fecero storcere il naso agli amanti degli action vecchio stampo, infastiditi da una telecamera troppo a ridosso del protagonista, disorientati da una sovrastruttura ruolistica considerata fin troppo invadente, indispettiti da una varietà di nemici esigua e da boss fight non all’altezza degli standard a cui la saga li aveva abituati, soprattutto considerando lo spettacolare terzo capitolo regolare.

God of War Ragnarok, insomma, è chiamato al non semplicissimo doppio compito di confermare la bontà della formula indovinata da Santa Monica Studio, migliorandola ulteriormente, così da vincere persino lo scetticismo dei pochi che accolsero freddamente, o con meno entusiasmo diciamo, l’epopea norrena del dio della guerra.

Da questo punto di vista, nonostante lo sforzo compiuto sia evidente, la missione del team statunitense non può dirsi un totale successo, dal momento che si è preferito preservare il gameplay e le feature che hanno decretato il successo del prequel, invece di compiere un’ulteriore evoluzione, scelta di design comunque più che condivisibile, considerando il filo diretto che collega  tra loro le due produzioni.

God of War Ragnarok, difatti, non può esistere senza il capitolo precedente, una continuità in primis narrativa, visto che si ricollega direttamente al brusco (e anti-climatico) epilogo con cui avevamo lasciato Kratos e Atreus ben quattro anni fa. Non è un caso che la prima voce del menù principale del gioco richiami per l’appunto un pratico ed esplicativo riassunto, utile per ricordare i passaggi più importanti affrontati in passato dal duo.

Il Fimbulwinter che anticipa il Ragnarok si è ormai abbattuto su Midgard e i nostri eroi, dopo aver sparso le ceneri dell’amata Laufey, si preparano all’inevitabile fine del mondo cercando il più possibile di mantenere un basso profilo per non attirare le attenzioni di Odino e, soprattutto, di Freya, ancora adirata con il Fantasma di Sparta per il violento omicidio del figlio Baldur.

Senza fornire ulteriori dettagli, che potrebbero rovinare la sorpresa a qualcuno, dopo un incipit davvero potente, adrenalinico e coinvolgente, la trama finisce per soffrire dei medesimi cali di tensione che avevano caratterizzato l’intreccio narrativo del prequel, ugualmente protesa verso due estremi che faticano a comunicare efficientemente tra loro.

La continuità narrativa si riverbera ovviamente anche sull’aspetto ludico, dove questo sequel svela una progressione più ragionata, omogenea, dilatata.

Da una parte, il rapporto tra Kratos e Atreus che si fa ancora più interessante e controverso, con il giovane, ormai adolescente, deciso a scoprire e ad appropriarsi dell’identità di Loki, e il padre, visibilmente appesantito dall’età e dalle tante battaglie affrontate, più accondiscendente verso il desiderio di scoperta del figlio. Dall’altra, il racconto vero e proprio la cui progressione è nuovamente scandita da deus-ex machina alla lunga stucchevoli, poco incisivi sul piano registico, banali per le soluzioni narrative che propongono.

Non ci si annoia mai, beninteso, né si assiste a dialoghi privi di carattere, soprattutto quando in scena fanno capolino lo sboccatissimo Brok e il ben più titubante Sindri, ma come nel prequel bisogna accettare la risoluzione di situazioni complesse con escamotage non sempre coerenti con il tono e il feeling che invece il gioco vorrebbe trasmettere.

Ciononostante, tra apprezzabilissime new entry nel cast, un paio di colpi di scena ben piazzati e la già lodata evoluzione del rapporto tra Kratos e Atreus, God of War Ragnarok riesce ad appassionare ed intrattenere meglio del predecessore, non fosse altro che, questa volta, una conclusione c’è e, senza voler anticipare nulla, lascerà a bocca aperta chiunque ne sarà fortunato spettatore.

God of War Ragnarok screenshot 3

La continuità narrativa si riverbera ovviamente anche sull’aspetto ludico, dove questo sequel, pur non riuscendo ad eliminare completamente le poche défaillance dell’originale, svela una progressione più ragionata, omogenea, dilatata.

Torna la telecamera alle spalle, così come la coesione tra il gameplay action e le feature di stampo ruolistico. Complice l’alternanza sin dall’incipit tra Lame del Caos e Leviatano, il ritmo degli scontri è furioso, determinato da combo devastanti in cui Atreus gioca un ruolo tutt’altro che secondario, tra frecce scagliate con precisione chirurgica e attacchi corpo a corpo che parzialmente riequilibrano l’inferiorità numerica in cui riverserà costantemente il duo. Ingaggiare un duello con potenti colpi d’ascia, allontanare l’avversario di turno con un paio di attacchi a distanza scanditi dal giovane figlio di Kratos e concludere la battaglia con una coreografica danza di lame e catene esalta oggi come ieri, tanto più che nel corso dell’avventura si sblocca un buon numero di mosse extra e abilità speciali legate a precisi tempi di cooldown.

Andando avanti nell’avventura, inoltre, capiterà di vestire i panni di Atreus. Senza anticipare troppo, perché in questi momenti verranno introdotte diverse tematiche niente male, anche in queste situazioni il combat system resta sostanzialmente invariato, con tanto di nuovi ed inediti compagni d’armi che accompagneranno il ragazzo. In queste sezioni ne giova la varietà dei combattimenti, con un evidente incentivo ad affidarsi agli attacchi a distanza, a discapito di un pizzico di profondità del combat system, dal momento che il parco mosse di Atreus è meno ampio rispetto a quello del padre.

Armature e potenziamenti sono al loro posto, nonostante i menù di gestione siano lievemente più dispersivi rispetto a quelli utilizzati nell’originale. Ogni pezzo dell’equipaggiamento del duo può essere opportunamente migliorato, ma, come anticipato, la progressione è gestita con maggior oculatezza a fronte di due scelte di design che ci sentiamo di promuovere a pieni voti.

Da una parte l’introduzione di nuovi artefatti ed abilità avviene con più omogeneità rispetto al passato, approfondendo gameplay e gestione del personaggio con maggior equilibrio lungo tutta la durata dell’avventura. Dall’altra è cambiato il principio con cui funziona il potenziamento dei vari pezzi dell’armatura. Se in passato esistevano item dichiaratamente più forti di altri, in God of War Ragnarok queste differenze praticamente non esistono, lasciando al giocatore piena libertà di scegliere l’armatura, o il set d’armatura preferito in base ai bonus e alle abilità extra garantite. Basterà poi raccogliere le materie prime necessarie e acquistare i power-up del caso per rendere ogni pezzo d’armatura sufficientemente potente per contrastare nemici e difficoltà che vi si pareranno di fronte.

A questa maggior libertà in termini di gestione dei personaggi, per quanto anche in questo caso per Atreus il tutto sia più limitato su ogni fronte rispetto a Kratos, fanno da contraltare degli scenari più lineari rispetto al passato, dove l’esplorazione è garantita solo in parte e il piacere della scoperta è enormemente inferiore rispetto a quanto accaduto qualche anno fa con il prequel.

Se con i 30fps ogni scenario brilla di dettagli ed effetti speciali mai visti prima su console, i 60fps sono assolutamente impagabili in ogni fase di gioco.

Non che manchino aree più aperte, beninteso, ma in linea di massima si procede costantemente tra un sentiero e l’altro, tra un’arena e l’altra, senza grosse possibilità di scelta. Si esplorano corsi d’acqua e deserti che presentano diverse aree esplorabili in un paio d’occasioni, ma non c’è nulla di paragonabile al Lago dei Nove. Anche il backtracking è sensibilmente più vincolato a ostacoli superabili solo dopo essere riusciti a recuperare l’oggetto o il potenziamento necessario. Il level design, insomma, sceglie una maggior linearità, per gestire maggiormente il flusso dell’avventura, pur a discapito di una certa libertà di movimento.

Sul fronte della varietà dei nemici, Santa Monica Studio si è mossa bene, con diverse introduzioni nel bestiario di mostruosità che il buon Kratos dovrà contrastare, sebbene anche questa volta non tutte le boss fight convincono come dovrebbero, oltre ad essere relativamente poche, un difetto già lamentato anni fa, che nemmeno God of War Ragnarok è riuscito ad eliminare.

Eppure, nonostante qualche piccola reticenza, è impossibile non parlare di un grande gioco, un innegabile capolavoro disponibile anche su PlayStation 4, ma che noi ci siamo goduti su PlayStation 5, dove il comparto tecnico è tra gli indiscutibili pregi della produzione Sony. Se con i 30fps ogni scenario brilla di dettagli ed effetti speciali mai visti prima su console, i 60fps sono assolutamente impagabili in ogni fase di gioco, anche considerando che il compromesso grafico è davvero minimo.

Del resto, non è un caso parlare di grafica, ed art design in generale, tracciando un bilancio delle numerose, ma piccole pecche di God of War Ragnarok. Come dicevamo poco sopra, infatti, nell’analizzare un videogioco sarebbe il caso di dividere i valori produttivi dall’essenza stessa del prodotto in esame, ma mai come in questo caso sarebbe impossibile, oltre che mortificante e sbagliato, farlo.

Esplorare la rigogliosa foresta di Vanaheim regala continue sorprese. Jotunheim offre affascinanti panorami alieni. Ritornare ad Alfheim, ed esplorarne anfratti completamente inediti, restituisce una piacevole nostalgia. Non c’è scenario che non lasci a bocca aperta o che non sappia regalare scorci suggestivi, un piacere del tutto estetico che arricchisce il viaggio e rende più inclini a sopportarne le piccole storture ereditate dal diretto prequel.

Conclusioni

God of War Ragnarok è in tutto e per tutto il sequel che stavamo aspettando.

Chi non auspicava un’ulteriore rivoluzione rispetto al capitolo di quattro anni fa è stato accontentato visto che, nel tantissimo bene e nel pochissimo male, gameplay, art design e spunti narrativi rispettano alla lettera il canovaccio predisposto già nel 2018.

La trama, pur soffrendo di qualche piccolo calo qui e lì, grazie a tanti colpi di scena ed intriganti new entry tiene con il fiato sospeso fino all’epica ed emozionante conclusione. Il gameplay diverte oggi come allora, nonostante sul fronte delle boss fight si potesse fare certamente meglio anche questa volta. Graficamente ed artisticamente siamo di fronte ad uno spettacolo che non abbiamo mai visto altrove. L’hardware di PlayStation 5, in particolare, viene sfruttato a dovere, soprattutto se si sceglie di giocare nella magnificenza dei 60fps che esaltano ancora di più il ritmo indemoniato delle battaglie.

Un titolo semplicemente da giocare e da gustare dall’inizio alla fine. Ovviamente, trattandosi di un diretto sequel, il nostro consiglio è quello di recuperare il God of War del 2018, gioco che potete recuperare ad un prezzo stracciato sullo shop di GameStop, prima di iniziare la vostra avventura con God of War Ragnarok.

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