Poche cose, quest’anno, erano attese come il nuovo God of War: un nuovo capitolo cruciale, tanto per Santa Monica Studio quanto per Sony PlayStation stessa – che di esclusive di lusso, in questo 2018, non è certo a corto – che nel nome della tradizione e dell’iconografia della serie mette in atto quella che potremo tranquillamente definire “autentica rivoluzione“. Un’evoluzione a 360 gradi, che inizia da una semplice gestione rivista delle inquadrature per poi abbracciare le meccaniche portanti dell’intero gameplay, epurato dagli stilemi tradizionali dell’hack&slash in favore di un approccio ibrido dalle potenzialità enormi. Ed ecco che God of War, quel prodigioso divoratore di combo forsennate che abbiamo imparato ad amare dai tempi di PS2 si trasforma in un qualcosa di più profondo e maturo, un action in terza persona dal combat system “a più strati” che strizza l’occhio alle meccaniche dell’RPG occidentale.
Difficile non cedere all’euforia dei tecnicismi persino nell’introduzione di questa recensione, dopo aver viaggiato in compagnia di un personaggio che, a ragion ulteriormente veduta, scorge la gloria più assoluta lungo il proprio cammino. Perché non solo questo “nuovo” God of War è qualcosa che non dovreste lasciarvi perdere per nessuna ragione al mondo: ma anche, e soprattutto, perché nell’ultima creatura dei ragazzi di Santa Monica, nascosto con arguzia nel germe dell’innovazione e dell’evoluzione, è impossibile non scorgere quel DNA caratteristico che, a molti, già da tempo aveva fatto perdere la testa. God of War è un assoluto prodigio: uno sguardo ad un futuro roseo del franchise che, in nessun istante, tradisce le proprie origini: e che siate degli esperti della mitologia Norrena o, al contrario, il nome Yggdrasill vi giunga del tutto nuovo, dal prossimo 20 aprile fareste bene a riservarvi parecchio tempo per indossare, ancora una volta, i panni del famigerato Spartano. O meglio, i panni di un vecchio Dio il cui nome era leggenda e che, di colpo, si ritrova ad indossare quelli di un padre. Una sfida forse persino peggiore di quelle a cui la mitologia ci abbia mai preparato.
Chiariamo subito una cosa: nelle prossime righe che andrete a leggere, seppur a malincuore, parte delle novità e dei dettagli narrativi di God of War saranno volutamente omessi. Il motivo è sempre lo stesso, per quanto banale possa apparire, ma mai come in questo caso l’esplorazione, la dedizione e il piacere della scoperta rappresentano fattori cruciali per godere appieno dell’esperienza offerta dal team californiano. Un’esperienza che, al netto di una longevità tutto tranne che indifferente, offre spunti di riflessione dal potenziale emotivo devastante inediti nell’intero franchise. Del resto, il vero protagonista di questo God of War non è certo Kratos: e nemmeno Atreus, per quanta importanza venga affidata al giovane virgulto sulle cui spalle grava un futuro pericoloso, reso ancor più delicato dal passato tormentato del padre. Il vero protagonista di questa avvincente storia è il rapporto tra due generazioni a confronto, quel plasmarsi di un legame indissolubile di amore, rispetto e reciproca fedeltà messo costantemente a dura prova dalle innumerevoli sfide che le divinità nordiche interporranno lungo la strada dei due eroi. Un rapporto difficile, tormentato e a tratti persino burrascoso, che si muove inizialmente sui passi del rancore e della quasi totale assenza di fiducia, per poi sfociare – dopo un lungo cammino introspettivo a cui entrambi i personaggi dovranno loro malgrado sottoporsi – in un qualcosa in grado di abbattere il potere degli Dei.
God of War, perdonateci il momento poetico, è prima di tutto questo. Una storia, quella di Cory Barlog e soci, di un padre e figlio che riscoprono loro stessi e la propria reciproca importanza. Una storia non certo priva di mostri indicibili, di creature enormi o di nemici armati sino ai denti in grado di abbatterci in una manciata di secondi, ma comunque uno spaccato di vita personale in cui, inesorabilmente, in molti finiranno per rispecchiarsi. Ce lo aveva raccontato lo stesso Barlog in occasione del nostro ultimo incontro: molti di noi sono già padri, e ciascuno di noi è figlio. Come non riconoscerci in quei contrasti e in quelle aspettative disilluse, in quel desiderio di altrui approvazione messo a dura prova dalle sfide che si parano dinnanzi al nostro cammino? Una giovane vita desiderosa di fare le proprie esperienze e di scottarsi la pelle con i propri errori da un lato, dall’altro un padre incapace di accettare l’abbandono del nido da parte del proprio stesso sangue, ma allo stesso tempo impaziente di assistere alla sua definitiva maturazione ad uomo. Tematiche profonde, delicate e a tratti persino dolorose, narrate con una delicatezza ed una poetica che difficilmente avremmo mai pensato di respirare in un contesto come quello di God of War: ma la maturità del franchise passa anche attraverso questa maturazione narrativa, la stessa maturazione padre/figlio di cui saremo testimoni diretti nel lungo (e pericoloso) viaggio tra i regni magici del Nord fino alla sommità delle Montagne.
God of War è un autentico prodigio
Iniziamo dunque dalla prima novità significativa di questo God Of War, l’introduzione di una telecamera dal taglio volutamente cinematografico che utilizza un piano-sequenza senza cambi di campo decisamente più in linea con gli standard degli attuali Action TPS. Si tratta senza dubbio di una mossa azzardata, vista e considerata la tradizionale struttura a regia fissa dei precedenti episodi, che si traduce tuttavia in un risultato stilisticamente convincente e funzionale. La leva destra, non più demandata all’espletamento della schivata, permette di ruotare l’inquadratura e di godere, finalmente, del panorama mozzafiato che il team di sviluppo, scenario dopo scenario, crea alla perfezione sfruttando l’hardware dell’ammiraglia Sony. Ma quella stilistica rappresenta solo la punta di un iceberg dai risvolti ulteriormente interessanti, laddove – ed è il caso di dire “finalmente” – anche l’environment diventa parte integrante del nostro playthrough. La struttura “semi-open world” realizzata per questo nuovo capitolo è una manna dal cielo per gli amanti dell’esplorazione, che avranno di che divertirsi alla ricerca di location segrete, di piccole spiagge dove ancorare la propria barca, per deviare dal percorso principale cimentandosi con le numerose “quest secondarie”. Facoltative, certo, ma caldamente consigliate per chiunque voglia potenziare il proprio personaggio e, perché no, mettere le mani su cimeli che potrebbero rivelarsi utili alla nostra causa.
Il tutto senza dimenticare gli enigmi ambientali, altro marchio di fabbrica del franchise ulteriormente integrati, questa volta, nel gameplay di God of War. Non stiamo parlando di indovinelli capaci di mettere a dura prova le meningi del giocatore, anche se tempismo, un briciolo di intuizione e l’utilizzo dell’Ascia congelante di Kratos o delle frecce speciali del giovane Atreus al momento giusto, indubbiamente, possono fare la differenza. La risoluzione di alcuni di questi enigmi sarà propedeutica alla progressione nella storia principale, come lecito aspettarsi: altri, alcuni dei quali decisamente più stimolanti, permetteranno di impossessarsi di artefatti capaci di aumentare la barra della vita di Kratos o la durata della sua leggendaria Furia di Sparta, di impadronirsi di tavole da affidare ad Atreus per imparare linguaggi del Nord inizialmente sconosciuti (che si affiancano al Futhark Antico) o, nella maggior parte dei casi, di arricchire il proprio bottino d’argento o il prezioso inventario. Che, come vedremo nei prossimi paragrafi, va a delineare quella svolta RPG nella gestione del personaggio che tanto ha fatto discutere.
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La seconda novità, ancor più eclatante della prima, è il cambio delle meccaniche che sottendono il combat system di questo God of War. Qualcosa che va ben oltre l’abbandono delle note Lame del Caos a vantaggio della già citata Ascia, ma che si manifesta nell’introduzione di un evidente tatticismo, fondamentale per sopravvivere agli scontri con le numerose tipologie di creature ostili presenti – i cui dettagli saranno disponibili, per i più curiosi, tra gli appunti di Atreus. Il modello hack&slash originale, basato sull’inanellamento di combo e sulla concatenazione chilometrica di colpi, viene ridimensionato e adattato ad un contesto più action, dove l’attacco è sì fondamentale (specie quello a distanza, ideale per rallentare eventuali minacce) ma lo sono ancor più la schivata e la parata. Due tecniche con cui sarà necessario imparare presto a convivere, alla luce di una curva di difficoltà – e di una tenacia delle forze nemiche – che si fa sentire sempre più al progredire nell’avventura. A darci man forte ci sarà ovviamente Atreus, inizialmente impaurito ed occupato per lo più a scagliare frecce per distrarre l’avversario di turno ma destinato, alla lunga, a diventare un elemento fondamentale nell’intera economia offensiva. L’evoluzione di quest’ultimo, come del resto quella del padre, si basa su un sistema di punti esperienza da investire in un’apposita sezione Abilità: ogni scontro superato, ogni “boss” abbattuto o, più in generale, ogni azione degna di nota portata a termine premia il nostro alter ego con un quantitativo variabile di Exp Points, utilizzabili per sbloccare nuove tecniche o potenziarne altre. Tre sono gli skill tree di questa sezione, uno riservato ad Atreus e due (combattimento ravvicinato e scudo, combattimento dalla distanza) a Kratos: alcuni nodi saranno disponibili da subito e, una volta attivati, permetteranno di migliorare tecniche o stat associate, laddove altri verranno sbloccati progredendo nella narrazione principale.
Questa concessione al gioco di ruolo occidentale mostra il proprio potenziale nella gestione dell’inventario/equip di Kratos, un meccanismo che sotto un’interfaccia accessibile ed intuitiva cela un percorso di specializzazione del personaggio encomiabile. Sei sono i cardini su cui si basano i poteri di Kratos (Forza, Runico, Difesa, Vitalità, Fortuna e Ricarica), dal cui valore congiunto va a determinarsi il livello del nostro eroe: un livello destinato ad aumentare equipaggiando lo Spartano con collezionabili speciali disseminati nei Regni del Nord, caratterizzati da valori via via differenti per la sestina di cui sopra. I parametri che incidono su questa evoluzione tendono a divergere rapidamente, e maggiore sarà il tempo dedicato all’esplorazione (e ai suoi immancabili frutti), maggiori saranno le possibilità di particolarizzazione del nostro PG. Parti di armatura daranno un bonus percentuale alla Forza e al Runico (per i meno esperti, qualcosa di paragonabile al potere Magico nella mitologia Norrena), ad esempio, ad un costo potenzialmente ragionevole in termini di Difesa o Fortuna: altre orientate alla difesa potranno essere invece più indicate in vista di pericolose boss fight, specie se combinate con Talismani speciali in grado di ridurre il danno da elementali come ghiaccio o fuoco. A questo vanno ad aggiungersi i Pomi dell’Ascia, elementi magici capaci di convogliare il potere runico e di amplificare le statistiche di Kratos durante gli attacchi, e le famigerate Rune, da inserire in appositi castoni per scatenare attacchi speciali, in grado di infliggere danni legati al ghiaccio o di stordire nemici racchiusi in aree più o meno estese: due le tipologie di rune, “leggere” o “pesanti”, per relativi colpi ad effetto – previo tempo di cooldown tra un utilizzo e l’altro – attivabili tramite la pressione dei tasti dorsali. L’elemento magico torna a far da padrone, insomma, e utilizzando incantesimi opportuni sarà possibile rallentare il tempo dopo una schivata perfetta, godere di un breve periodo di invulnerabilità dopo un attacco o guadagnare un boost di energia, quando ci si trova ad un passo dalla morte.
In una sola parola: epico
Vale la pena ricordare che quanto elencato sinora, che rappresenta solo una piccola parte del micromondo rolistico introdotto dallo sviluppatore in questo God of War, è rigorosamente potenziabile a seconda delle predilezioni di chi stringe il pad tra le mani – che potrà optare per un Kratos tutto “Forza e Difesa” piuttosto che una sua variante più incline alla magia delle Rune. L’Argento rappresenterà il lasciapassare più comodo per far spese pazze dai fratelli Bork e Sindri, spassosi Nani dediti al commercio di queste diavolerie – e che, nota a margine, offrono una sorta di fast travel a portali per spostarsi da un qualsiasi “negozio” al loro hub principale: resta comunque assodata l’importanza dell’esplorazione (e, conseguentemente, della risoluzione di enigmi speciali per l’apertura di appositi sarcofaghi), assoluta via preferenziale per immagazzinare quanto più loot possibile. Decisamente più semplice, invece, la gestione di Atreus, che non presenta una particolarizzazione così marcata in termini di collezionabili: sarà tuttavia possibile acquistare dai Nani delle “armature” alternative, ciascuna delle quali in grado di amplificare alcune delle doti del giovane eroe – che, ad esempio, potrà essere ulteriormente decisivo nei combattimenti o, al contrario, dedicarsi alla salute del padre nelle vesti di “healer“.
Per quanto ci sarebbe ancora da raccontare sullo strepitoso ordito rolistico tessuto dai ragazzi di Santa Monica Studios, preferiamo fermarci qui, lasciandovi ancora una volta in balia della curiosità – e dello stupore che, passo dopo passo, proverete sulla vostra pelle nello scoprire le potenzialità ludiche di questo God of War. Inutile persino sottolineare quanto, alla fine della fiera, la rivoluzione del gameplay intrapresa dallo sviluppatore possa considerarsi vincente sotto ogni punto di vista: da qualsiasi parte lo si guardi, l’ultimo tassello di questo pluripremiato franchise mostra maturità, profondità e consapevolezza delle proprie doti, un mix devastante che confluisce in un gameplay estasiante dalla profondità inedita per tutte le oltre 30 ore di gioco che ci separano dai credits – un parco ore mostruoso, destinato ad aumentare ulteriormente voleste mai imbarcarvi nella ricerca della perfezione assoluta. Una perfezione che, senza mezze misure, traspare brutalmente dal comparto grafico di God of War: non serve nemmeno elencare la perizia delle animazioni, la maestosità delle ambientazioni di quei Regni mitologici del Nord, la modellizzazione gargantuesca tanto dei personaggi primari quanto delle meravigliose creature e di tutti i personaggi con cui, in un modo o nell’altro, finiremo per interagire. Santa Monica Studio, che non è certo l’ultima arrivata nel panorama del videogioco che conta, tira fuori dal cilindro un’opera d’arte in movimento, un tripudio di maestosità in grado di levare letteralmente il fiato per ispirazione, cura del dettaglio, scelta stilistica e direzione artistica. Non che ci aspettassimo di meno, a dirsela tutta, ma nel corso delle nostre prove su PS4 Pro God of War ci ha stupito come poche altre cose apparse, ad oggi, sull’ammiraglia di casa PlayStation: un mix mesmerizzante e poetico, che alterna scorci evocativi indelebili a morte e devastazione selvaggia. Uniteci un doppiaggio in lingua italiana di primissimo ordine e capirete da subito il motivo dell’hype che avvolge l’uscita di questa IP meravigliosa. Un qualcosa che, volessimo descrivere con una sola parola, potrebbe soltanto essere definito epico.
Ci eravamo ripromessi di scrivere una recensione “contenuta”, nonostante la mole considerevole di cose da raccontare, ma – e ve ne sarete sicuramente accorti – la nostra missione è riuscita solo in parte. God of War, senza inutili giri di parole, è un qualcosa che possiamo definire tranquillamente “un capolavoro imperdibile”. Uno di quei titoli che ripaga ogni lunghissimo secondo di attesa, capace di annullare ogni ritaglio di vita sociale rimasto e di catapultare il giocatore all’interno di una mitologia, quella norrena, oggi più bella ed avvincente che mai. Applausi, applausi scroscianti a Santa Monica Studio per il coraggio avuto nel rivoluzionare sin nelle fondamenta un franchise adorato da milioni di giocatori, rinnovando un’opera mastodontica senza mai tradire il solco della tradizione e della continuità. Cory Barlog aveva ragione, “non vi sembrerà da subito un God of War, ma cambierete idea non appena stringerete il pad tra le mani“: ebbene, è esattamente quello che è successo a noi, vittime di un titolo dal fascino magnetico, dal gameplay sensazionale e dalla sceneggiatura profonda, matura e toccante come mai prima d’ora Di tutti gli scenari potenzialmente ammissibili per il prosieguo della saga, quello realizzato dallo sviluppatore rappresenta forse il miglior punto di partenza per una seconda giovinezza dell’intero franchise. Sfrontato, coraggioso, profondo, God of War rappresenta una potenziale summa teologica destinata a divenire paradigma per tutto il genere action a venire. I puristi del franchise, legati alle meccaniche originarie hack&slash, lamenteranno probabilmente un tradimento dei dogmi portanti ed una perdita di “originalità distintiva” che, da due generazioni di console, contraddistingueva il brand. Ma se saprete guardare oltre il glorioso passato di questo eroe e anzi, sarete in grado di scorgerlo in tutta la propria magnificenza in quello che, a tutti gli effetti, è il nuovo corso di Kratos, quello che troverete è un titolo destinato all’Olimpo ad imperitura memoria. Kratos, il padre di Atreus, è tornato: e non è mai stato così divino. |