Un neo papà, recatosi all’ospedale per la nascita del figlio, chiede all’infermiera dove possa trovare il proprio pargolo. “Il mio Charlie“, dice, “è un bambino bellissimo“. La donna lo accompagna dunque al primo piano, reparto “Bambini bellissimi“, ma Charlie non si trova… Seccatissimo l’uomo incalza con veemenza l’infermiera, che ipotizzando un banale errore tecnico decide di accompagnare il genitore al secondo piano, sotto l’insegna “Bambini belli“. Ma anche stavolta, di Charlie non c’è l’ombra. Furibondo, il padre minaccia di rivolgersi al primario per il torto subito, al che la poveretta non può far altro che rimarcare il disguido e accompagnarlo al terzo piano, introdotto da un cartello che recita “Bambini così così“. E niente, Charlie non c’è. Salgono al quarto piano: “Bambini brutti“, e niente neanche lì. Poi al quinto: “Bambini bruttissimi“. Niente. Sesto piano: “Mostri“!… E Charlie non c’è… Con speranze e forze ormai al minimo, i due raggiungono il cartello del settimo piano. “Charlie“…
Lo sappiamo, vi starete chiedendo quale cosa leghi questa celebre storiella di Groucho Marx all’ultimo omaggio videoludico targato Namco Bandai (ispirato dall’omonimo e recente blockbuster) ad uno dei “lucertoloni” più celebri della celluloide. Mettiamola così: Godzilla non passerà alla storia per essere un Action Game bellissimo. Nemmeno bello, vista la mole tutto tranne indifferente di difetti che ne affliggono grafica e giocabilità. Anzi, a ben vedere il giudizio “così così” rischia pure di essere ottimistico… Vi risparmiamo l’impietosa (oltre che rapidissima) discesa agli Inferi di questo… insolito titolo, dicendo semplicemente che, in molti anni di servizio, difficilmente ci siamo imbattuti in un tie-in come questo. Un titolo che definire sui generis è riduttivo, talmente assurdo da rischiare di fare il giro e diventare un capolavoro. Perché quando su uno schermo vedo un enorme Mechagodzilla che spara raggi laser dalla schiena, non so voi, ma un brivido sulla schiena io lo inizio a sentire …
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Che Godzilla sia uno dei giochi più terrificanti del 2015 (e non solo) lo si capisce praticamente da subito, quando il giocatore si ritrova in uno scarno tutorial ambientato in quel degli anni ’60 (come ricorderete, la prima storica apparizione del lucertolone radioattivo) al cui interno, oltre alle immancabili spiegazioni del control schema, una voce fuori campo avente la stessa partecipazione emotiva di un comodino narra alcuni dettagli significativi del kaiji che andremo a controllare. Se già, lo ribadiamo, la narrazione in lingua inglese tende pericolosamente all’imbarazzante, vi lasciamo soltanto immaginare cosa potrete aspettarvi dal resto.
Per farla breve, tutto ruota attorno all’Energia G, prodigiosa fonte rinvenuta in seguito alla prima apparizione del gigante squamato e, di lì in avanti, utilizzata dal pianeta per prosperare e progredire. Non fosse che il gorillone ne è particolarmente ghiotto, visto che essa rappresenta il suo cibo prediletto per aumentare di dimensioni ed evolvere. Proprio per questo motivo, quei prodigiosi geni del Giappone hanno pensato di dare vita anche alla G-Force, una squadra militare speciale che, rispondendo al Primo Ministro, ha il compito di rispedire Godzilla a casetta propria dispiegando ogni arma in proprio possesso. Come possa un carro armato sperare di abbattere un mostro grande come l’Empire State Building, questo non lo sappiamo: ma nel Sol Levante sono ottimisti, e non saremo certo noi a tarpare le loro ali.
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Godzilla, sotto una certa prospettiva, è un Action Arcade in terza persona. Ve lo ricordate Rampage, quel piccolo capolavoro di quasi 30 anni in cui controllavamo un enorme gorilla tipo King Kong, un Lucertolone (ma tu guarda) e un Lupo Mannaro per distruggere ogni cosa? Ecco, questo Godzilla è una cosa del genere, soltanto che gira su PS4 (e PS3), è in tre dimensioni e, cosa da non sottovalutare, è nettamente più brutto. L’obiettivo di ciascuna modalità di gioco, che andremo a breve ad analizzare, si riduce essenzialmente al tirar mazzuolate a destra e a manca. Certo, direte voi, non che in God of War si reciti l’Iliade tra una scampagnata e l’altra. Peccato che la varietà di altri Action in terza persona qui sia solo un lontano ricordo: si entra in un’area della mappa, si tirano cazzotti, scodate o simpatici raggi nucleari che escono dalla bocca a qualsiasi cosa e, una volta raso al suolo quanto disponibile, si distrugge il reattore di Energia G. Fine.
Questa la sinossi della modalità di gioco principale, Dio della distruzione, in cui – nei panni di Godzilla prima e di altri Kaiju una volta sbloccati – l’imperativo è far danni. Più romperete, più energia verrà rilasciata dalle nostre malefatte e, parallelamente, maggiore sarà il tasso di crescita del bestione. In tutto questo, la prodigiosa G-Force non resterà certo a guardare la fine della civiltà con una Okonomiyaki in mano: ecco che dunque arriveranno stormi di carri armati ed elicotteri, coadiuvati da torrette lanciamissili e sistemi di difesa analoghi che, nei sogni erotici del Primo Ministro giapponese, spediranno il mostro al tappeto in men che non si dica.
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Ancora una volta, la realtà è diversa. Godzilla ha un livello di difficoltà sbilanciato in un modo che definire impressionante è ridicolo. La navigazione in questo “story mode” è abbastanza libera, e permette di volta in volta al giocatore di affrontare uno scenario facile, normale o difficile (fattore identificato dalla “tenacia” del nuovo primo ministro in carica, visto che da quelle parti basta un Lucertolone incazzato a farti dimettere): nei primi due casi, sappiatelo, morire è pressoché impossibile. La risposta umana è così blanda e ridicola da indurvi a pensare al fantacalcio mentre pigliate a craniate l’ennesimo edificio; lo stesso vale per i Kaiju avversari, mossi da una AI particolarmente elementare e, proprio per questo, ottimi candidati al ruolo di carne da macello. Discorso diametralmente opposto per il livello difficile, dove la la G-Force diventa più terrificante degli Avengers e, allo stesso modo, anche il Kaiju più piccolo trasforma Godzilla in un agnellino. Un agnellino che, badate bene, non può parare, contrattaccare o eludere l’attacco avversario. E questo è solo il preludio del disastro…
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Il control schema di Godzilla non solo è anacronistico di un buon paio di decenni, ma – soprattutto alle alte difficoltà – risulta difficilmente gestibile, con tutte le conseguenze del caso. Lentezza intrinseca a parte (e da un lato ok, non stiamo parlando di Carl Lewis), nell’anno domini 2015 appare un po’ insensato delegare la rotazione del personaggio ai trigger L1 e R1 e non alla leva analogica sinistra, che finisce per muovere il nostro PG avanti/indietro e lateralmente, tramite uno strafe. Ve lo vedete Godzilla evitare una cannonata con uno strafe? A tutto questo, si aggiunge anche una scarsa maneggevolezza della telecamera, affidata allo stick destro: non che non funzioni (almeno quella), è che riuscire a centrare la visuale alle spalle del nostro eroe dopo aver premuto accidentalmente il trigger di rotazione sbagliato fa tirare qualche improperio.
Ma non è la frustrazione il pericolo principale di Godzilla, quanto piuttosto la noia. La lentezza dei movimenti, la mancanza di pattern di attacco diversificati (quattro attacchi, sempre e solo quelli, dall’inizio alla fine) e la staticità generalizzata di qualsiasi elemento visibile su schermo rendono il titolo Namco Bandai a tratti soporifero, al punto da ritrovarsi a schiacciare regolarmente i pulsanti di attacco chiedendosi se fuori dalla propria stanza ci sia qualcosa di più divertente da fare. Persino la sotto modalità Evoluzione, quella in cui i mostri del nostro roster possono essere fatti evolvere applicando nuovi potenziamenti, appare inutile: perché non inserire direttamente uno skill tree in game, invece di realizzare un menu a parte totalmente privo di un senso di progressione?
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Fortunatamente, viene da pensare, ci sono tanti mostri da sbloccare. E in parte è vero, l’assurda meraviglia di alcune delle quasi 50 creature che compongono il bestiario di Godzilla varrebbe da sola il prezzo del biglietto. Peccato che, per l’ennesima volta, la magia finisca troppo rapidamente. Immaginate di vedere Brad Pitt a fianco di Massimo Boldi in un film dei Vanzina e capirete cos’ho provato io dopo aver visto Mecha-King Ghidorah. Ecco spiegato il motivo per cui, anche nella modalità Re dei Kaiju, si finisce per annoiarsi prima del tempo: trattasi fondamentalmente di un Mortal Kombat su scala maggiorata, dove il nostro bestione va a sfidare un set di altri esimi colleghi in un set di 5 round totali. Sconfiggi il nemico e, in premio, ti verrà sbloccato una sezione “enciclopedica” in un apposito menu contenente alcune informazioni sulla suddetta creatura. Forse una delle cose più interessanti del titolo … Quanto detto prima si applica specularmente anche in questa fase: lentezza, ripetitività e sfida sbilanciata sono più che sufficienti a farvi dimenticare del titolo in ballo…
La musica cambia leggerissimamente nel comparto multiplayer PvP del titolo. Non certo per meriti del gioco, quanto piuttosto per la “stupidità giovanile” di chi lo gioca, visto che in un contesto così drammaticamente imbarazzante tanto vale divertirsi come meglio si riesce. Le sfide disponibili on line sono a due o a tre giocatori, organizzate in stanze pubbliche o private. I trielli sono forse la cosa più divertente che possiate fare con questo blu ray – a patto di avere headset con microfono e urlare le peggiori cose per dare la carica al vostro “eroe preferito”. Non mancano tuttavia problemi di infrastruttura, che spaziano dai classici ed evidenti lag a brutali cali di prestazione. Ma vista la realizzazione tecnica generale, era difficile aspettarsi il contrario…
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In termini tecnologici, i ragazzi di Natsume hanno compiuto una sorta di rivoluzione vintage, visto che non si vedeva una grafica così elementare da tempi immemori. Le ambientazioni sono semplici, spoglie, prive di alcun elemento che le possa rendere almeno parzialmente distintive e caratterizzate da pattern evidentissimi che si ripetono allo sfinimento, livello dopo livello. Esplosioni ed effetti volumetrici in generale, in un titolo come questo, dovrebbero rappresentare uno dei fiori all’occhiello del team di sviluppo, ma il condizionale è nuovamente d’obbligo visto che qualsiasi elemento scenico di contorno, dall’illuminazione alla polvere e al fumo che si alzano dalle macerie, sono quanto di più basilare PlayStation 4 possa offrire. La modellizzazione dei “personaggi” riesce ad alzare parzialmente l’asticella di un lavoro altrimenti disastroso, anche se difficilmente quello che vedrete su video coinciderà con il Godzilla next-gen che immaginavate. Si salva l’audio, o meglio le urla dei vari mostri, preso in prestito dalla cinematografia e dalle serie originali. Ma di fronte ad una disfatta di tali proporzioni si tratta di una consolazione davvero magra.
In conclusione …
Non è stato facile, ma questo Godzilla l’abbiamo giocato parecchio. Da un lato perché, in cuor nostro, speravamo segretamente di arrivare ad un punto di svolta dell’avventura, dopo il quale il titolo sarebbe decollato. Dall’altro perché, non avendo trovato questo fatidico punto, speravamo divenisse così assurdo, sconclusionato e imbarazzante da fare il giro e diventare un capolavoro. Peccato che Godzilla non riesca nemmeno in questo, spiaggiandosi ad un livello di insufficienza e superficialità ancora inedite in questa generazione: un abisso così profondo e oscuro da cui nemmeno le creature che lo popolano, alcune di queste davvero strepitose, riescono a risollevarlo.
Dare un giudizio definitivo giunti a questo punto, insomma, è un po’ come sparare ad una persona seduta sulla tazza. Godzilla è imbarazzante, disastroso sotto gran parte dei punti di vista e anacronistico sotto gli altri, incapace di offrire divertimento ancor prima di un livello di sfida e di variare di una virgola la propria offerta ludica dall’inizio alla fine di ciascuna modalità. Un titolo così… drammaticamente unico che Tomoyuki Tanaka, il leggendario padre del lucertolone radioattivo e di una miriade di altri mostriciattoli affini, avrebbe preferito disconoscere la propria creatura più celebre piuttosto che affrontarne questa tortura. Perché serve davvero tanto coraggio per imbarcarsi in un’avventura come questa di propria volontà: e a meno che non abbiate un gruzzoletto di euro da gettare ai quattro venti, fareste bene a girarne alla larga. Noi vi abbiamo avvisato …
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