C’è una linea molto sottile nell’animo umano, dove amore e follia si sfiorano, si intersecano e rare volte si intrecciano in un legame indissolubile.
Quante volte infatti abbiamo sentito utilizzare “Sono pazzo di te” o “ti amo alla follia” come frasi per celebrare quello che è un amore fuori dagli schemi? Un sentimento forte, che talvolta può sfociare nell’ossessione, nella malattia e infine, nella vera e propria follia.Una dualità ancestrale ed unica, su cui il team di sviluppo Ninja Theory ha basato quello che è l’incipit dell’emozionante (e pluripremiata) avventura di Hellblade: Senua’s Sacrifice, da poco approdata anche su Xbox One dopo un’esclusività temporale sulla piattaforma Sony.
Hellblade è frutto di un lavoro appassionato e ricercato, dove lo studio di Cambridge ha focalizzato la propria attenzione sui disturbi psicotici, le sintomatologie e le malattie mentali, canalizzando quel dolore e quelle sensazioni e trasformandole in un limbo onirico che Senua, la protagonista del gioco, è costretta ad attraversare per mantenere fede ad una promessa e tentare di salvare il suo amato. Ma a discapito di una trama intrigante, Hellblade è un titolo molto difficile da catalogare: sembra rifuggire i più canonici generi, ponendosi a metà tra un walking-simulator e un survival-horror senza tuttavia assorbirne appieno le identità. L’origine celtica dell’eroina infatti non è un caso e permette agli sviluppatori di addentrarsi in una mitologia spietata, fatta di dèi oscuri e vendicativi, di dimensioni ultraterrene e di passaggi per l’oltretomba da cui non si può più tornare. D’altronde il disclaimer che apre al menù principale dice chiaramente che gli sviluppatori si sono avvalsi del supporto di persone mentalmente disturbate e che alcune scene, immagini o persino suoni del gioco potrebbero creare problemi a chi in passato ha sofferto di simili patologie…
L’inizio del gioco è senza dubbio evocativo: senza premesse ci ritroviamo infatti nei panni di Senua, che attraversa timorosa un fiume immerso nella nebbia, che sembra essere l’unico ponte tra il mondo terreno e il mondo di Hel, divinità che custodisce le anime dei morti. È qui che Senua deve addentrarsi, nella speranza di eliminare l’oscurità che da sempre avvolge la sua psiche e allo stesso tempo di salvare il suo amato, brutalmente ucciso. Il viaggio che deve intraprendere Senua è lungo e ricco di insidie, pericoli ed inganni.
Data l’assenza di un qualsivoglia tutorial, in un primo momento saremo guidati solo dall’istinto e dalle tante voci e sussurri che affollano la mente della protagonista, psichicamente più instabile di quanto sembri. Queste voci urlano, sghignazzano e ci deridono per la maggior parte del tempo e solo in rare occasioni sono disposte ad elargire utili suggerimenti. La rappresentazione di una generica psicosi nel gioco di Ninja Theory è pressoché perfetta, grazie ad una serie di espedienti visivi e auditivi che riescono a raffigurare un male che non si vede, ma che attacca in modo subdolo, alterando la realtà e spremendo dalla mente del malcapitato ogni singola goccia di raziocinio. Male che in Hellblade è rappresentato da nemici orrendamente sfigurati, pronti ad eliminare Senua in ogni modo, ponendo fine al suo viaggio travagliato.
L’esplorazione e la risoluzione di enigmi ambientali non sono particolarmente stimolanti
Il sistema di combattimento non nasconde particolari innovazioni e l’approccio è intuitivo quanto immediato: un attacco leggero, un attacco pesante, parata, schivata e corpo a corpo per sbilanciare il nemico. Gli scontri all’arma bianca sono mediamente semplici, data la poca varietà di nemici e la tendenza ad avere pattern simili e facili da memorizzare, ma il feedback è comunque soddisfacente, grazie alla naturalezza dei movimenti e alla esplicita violenza di alcune combo ben riuscite. Non ci sono abilità speciali, se si esclude la capacità del focus, usata principalmente per la risoluzione degli enigmi, anche se talvolta è necessaria per abbattere alcune barriere spettrali che proteggono i nemici più potenti.
Nel complesso il combat system non è esaltante com’era lecito aspettarsi dal team che si cela dietro l’ultimo Devil May Cry, ma risulta comunque funzionale. Non sperate in acrobazie spettacolari e attacchi devastanti poiché la tipologia di gioco qui è profondamente diversa.
Le fasi di combattimento spezzano quello che è il cuore della produzione, ossia l’esplorazione e la risoluzione di enigmi ambientali non particolarmente stimolanti. È forse questo il punto più debole di Hellblade, caratterizzato dal ripetersi incessante di un’unica tipologia di puzzle, ossia l’abbinare la forma di una runa alla parte dello scenario più simile; una volta trovata sarà possibile proseguire. Per quanto visivamente queste sessioni siano tutte molto suggestive, strizzando l’occhio a veri e propri disturbi visivi di cui soffrono i malati psicotici, pad alla mano sono più frustranti che altro, soprattutto nelle fasi avanzate, dove sarete costretti a trovare due o addirittura tre simboli prima di poter continuare.
Ed è tutto qui, nel senso che fatta eccezione per alcuni territori dove per proseguire è necessario un approccio più action – come ad esempio fuggire da un incendio seguendo un percorso ben preciso, evitando di morire soffocati – o più ragionato – come l’attraversare dei portali capaci di alterare la realtà per creare strade alternative – avremo sempre e solo a che fare con questo tipo di rompicapi, a cui si alternano fasi di esplorazione molto lineari durante le quali ascolterete con piacere i pensieri e le paure di Senua.
Su Xbox One X Hellblade è a dir poco eccezionale
Tutta l’ambientazione è carica di un’atmosfera difficile da trasporre in parole, merito senza dubbio del team di sviluppo che ha curato ogni aspetto per rendere il comparto visivo davvero eccellente. E lo riesce a fare senza troppi problemi: se su PlayStation 4 il titolo già vantava un colpo d’occhio sopra la media, su Xbox One X Hellblade è a dir poco eccezionale. Il modello poligonale di Senua è ineccepibile, così come quelli nemici, mentre gli effetti visivi e i giochi luce-ombra sono arricchiti dalla bontà dei 4K e dell’HDR, con un risultato quasi foto-realistico.
Complice non solo un engine grafico che su Xbox One X è incredibile, ma anche la stratosferica recitazione di Melina Juergens (premiata in più occasioni), che presta volto e voce a Senua attraverso il motion-capture, donando al pubblico un’interpretazione così convincente e realistica che vale da sola il prezzo del biglietto. Guardando attraverso gli occhi virtuali della protagonista sembra quasi scorgere il velo di oscurità che pian piano le aggredisce i gangli nervosi, rendendola debole, insicura, sospettosa, in una parola: folle. Perché la verità è che al di là di combattimenti tutt’altro che mirabolanti e di indovinelli noiosi e ripetitivi, la narrazione di Hellblade è curata oltre ogni aspettativa e vi spingerà a continuare fino alla fine, per portare finalmente Senua al cospetto di Hel e liberarla dal suo pesante fardello.
Hellblade: Senua’s Sacrifice non è il capolavoro che molti aspettavano, né tantomeno cerca di essere il seguito spirituale di Heavenly Sword. Il titolo targato Ninja Theory è però un’esperienza curiosa, affascinante e sicuramente unica per quel che riguarda il panorama videoludico. Nessuno infatti prima dei talentuosi ragazzi inglesi si era spinto nei meandri della (disturbata) psiche umana, ottenendo risultati così espliciti e riusciti, senza mai eccedere e sforare oltre la barriera che separa il videogioco da una qualsiasi altra esperienza audiovisiva. Hellblade rimane un videogioco, un buon videogioco, le cui caratteristiche che sorprendono di meno sono generalmente quelle che invece si tende ad esaltare maggiormente, come il gameplay e la progressione. Ma l’esemplare proposizione digitale di una tematica così oscura è lodevole, così come l’eccellente narrazione, la recitazione e la veste grafica, che rendono Hellblade una delle prime sorprese di questo 2018 in casa Microsoft. |
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