Here They Lie, per gli amanti dell’horror in prima persona, rappresentava quanto di più atteso all’interno della line-up di lancio di PS VR. Il titolo di The Tangentlemen, etichetta di recente formazione che racchiude al proprio interno alcuni veterani dello sviluppo, supportato tecnologicamente nientemeno che dai ragazzi di Santa Monica Studios, sin dall’annuncio era riuscito a catalizzare l’attenzione e il desiderio degli aficionados del terrore, forte di un’atmosfera dalle chiare tinte Lovecraftiane e da un map design, almeno per quanto mostrato prima del lancio, di evidente ispirazione all’operato di Escher. Un horror in realtà virtuale: un connubio praticamente scontato già dalle prime presentazioni di PS VR, laddove l’immersione regalata dal visore Sony pareva fatta appositamente per ritagliare esperienze agghiaccianti (vedasi Resident Evil VII) ancor più abili nel veicolar terrore nel giocatore.
Del resto è abbastanza intuitivo il legame a doppia mandata tra Horror e Realtà Virtuale: ci hanno provato i ragazzi di Supermassive Games con Until Dawn: Rush of Blood, ma in moltissimi – ancor prima di questo specifico annuncio – avevano fantasticato sul numero di infarti che un gioco “meno profondo” come Slender avrebbe potuto portare in dono. Here They Lie nasce dunque da questa visione, mosso dall’intento di regalare un’esperienza a 360 gradi al cui interno il giocatore è immerso sino ai capelli: un viaggio in un universo quasi di-cromatico, metafora di una discesa agli inferi agghiacciante ed estraniante da vivere mai come oggi in prima persona. Una mission lodevole sulla carta, ma che, a malincuore, riesce soltanto in parte.
Contestualizzare Here They Lie in un genere ben preciso non è facile, laddove il titolo di The Tangentlemen prende in prestito elementi cari all’escape game per innestarli in un’esperienza prevalentemente esplorativa. Siamo di fronte dunque ad un walking game ibrido, dove la semplice esplorazione esaurisce gran parte del gameplay per essere intervallata da occasionali jumpscare, alcuni dei quali studiati in modo encomiabile, e da sezioni in cui sarà richiesto nasconderci dallo sguardo dei nemici presenti. Nemici che, pur presentando sembianze umanoidi, offrono tratti animaleschi e, più in là nell’avventura, addirittura luciferini: una scelta stilistica di sicuro impatto, che fomenta ulteriormente il senso di destabilizzazione del giocatore – nonostante l’IA nemica non sia delle più reattive.
Premesso questo, è bene comunque sottolineare come Here They Lie si discosti, in termini di meccaniche, in modo evidente da altri prodotti attualmente in lavorazione come il già citato nuovo Resident Evil o Outlast II: non sono presenti enigmi da risolvere, gli oggetti con cui interagire sono ridotti al minimo e raramente vanno oltre porte o valigie da aprire e, dulcis in fundo, i “mostri” che troveremo per strada andranno guardati da lontano, senza possibilità di interazione. Da un certo punto di vista si tratta di una semplificazione tutto tranne che lieve della giocabilità, specie di un titolo horror: trattandosi tuttavia di un’esperienza virtuale nel vero senso della parola, viene naturale abbracciare la decisione del team di sviluppo, più orientata a regalare una progressiva e misteriosa discesa agli inferi (con cenni a Lynch che si perdono all’orizzonte) piuttosto che sequenze di azione gratuita. Peccato che ai nobili scopi non corrisponda un ugual risultato.
Contestualizzare Here They Lie in un genere ben preciso non è facile
Camminare lungo i vicoli di questa città dalle pesanti architetture deformi che si accavallano una all’altra sino all’orizzonte – questa, almeno la location iniziale di Here They Lie – richiede necessariamente l’utilizzo del pad, demandando il movimento del nostro alter ego allo stick sinistro, fermo restante che la direzione prescelta verrà impartita con il movimento della testa del giocatore. Una soluzione che potrebbe anche funzionare, ma a causa dei movimenti leggermente innaturali del nostro protagonista, che sembra quasi fluttuare introducendo un rollio assai fastidioso (presente anche durante la corsa), si traduce rapidamente in un’opzione scomoda e incline alla nausea. Verrebbe dunque naturale utilizzare lo stick destro per la rotazione della telecamera: non fosse che esso gestisce il cosiddetto “stutter-turn”, una soluzione frequente nel panorama della Realtà Virtuale che, in sostanza, obbliga la telecamera ad una rotazione istantanea di 45 gradi nella direzione impartita dalla leva (gradi che diventano 180, ossia un quick turn, abbassando lo stick destro).
Questa tecnica si comporta visivamente come un otturatore, che oscura i lati dello schermo per un intervallo di tempo evidente, per quanto breve: l’idea è quella di far convergere lo sguardo del giocatore verso il centro dello schermo, riducendone così ogni possibile rischio di motion sickness. Non fosse così “lenta”, questa trovata potrebbe anche funzionare: peccato che nelle situazioni più delicate, dove è necessario nascondersi o fuggire da un inseguitore letale, essa si dimostri poco pratica e ancor meno intuitiva. Il risultato è uno solo: Here They Lie, almeno per le prime due ore di gioco, non sarà una passeggiata in termini di sickness. Bisogna abituarsi al rollio, all’alias esagerato degli scenari, alle soluzioni esplorative proposte dal team: non possiamo affermare che ne verrete ripagati con colpi di scena incredibili e rivelazioni sbalorditive, ma abbandonare preventivamente il titolo (ovvio, se l’emicrania dovesse passare giocando a piccole dosi) vi precluderebbe comunque un paio di allegorie narrative interessanti.
[metaslider id=148145]
Questo perché, narrativamente parlando, Here They Lie non è affatto da buttare: i toni, oltre che cupi, sono estremamente criptici, e sarà necessario scendere a patti con una sceneggiatura abbozzata progressivamente per piccoli indizi (telefonate, dialoghi o testi) per intravedere il quadro generale dipinto dallo sviluppatore. Un quadro di ispirazione lovecraftiana, questo l’abbiamo già detto, che stupisce e allo stesso tempo impressiona per il bestiario di creature simil umane che lo popolano: persone selvagge, prive di remore, tanto bizzarre quanto ripugnanti dietro le orride maschere che ne nascondono le fattezze. Una corruzione e un inaridimento dell’umanità, intesa come sentimento proprio dell’essere umano, che si rispecchia parimenti nelle location, dai vicoli cittadini abbandonati e lasciati in preda alle pile di marciume accatastato al passaggio sotto le fognature, asfissiante e claustrofobico, tormentato da ombre fugaci lungo le pareti, crepitii e rumori striduli in lontananza: il tutto senza dimenticare la sequenza della metropolitana abbandonata, forse uno dei momenti più riusciti di Here They Lie. The Tangentlemen gioca con le paure, le solletica con un vedo/non vedo da cui, ogni tanto, fa capolino un “innocente” scherzo: uno sciame di insetti che sfreccia verso di noi, delle carte che ci precipitano addosso, brevi istanti che la realtà virtuale rende sicuramente più coinvolgenti. Viene dunque naturale muoversi attorno con circospezione, appoggiarsi ad una parete e sporgere leggermente dall’angolo per osservare che non vi siano pericoli lungo il nostro tragitto, addirittura chinarsi per eludere il comunque distratto sguardo avversario. Il tutto, muovendoci sulle tracce di una fantomatica donna dall’aurea gialla, al cui destino sembra essere strettamente collegato quello del nostro alter ego.
Da un punto di vista grafico, Here They Lie offre delle ambientazioni interessanti e degli scorci ispiratissimi, con architetture labirintiche che spingono lontano la linea dell’orizzonte, effetti di illuminazione complessivamente ragionevoli ma, più di ogni altra cosa, con una direzione artistica che vira in modo interessante all’abbandonato e al marcio. La città coi suoi vicoli degradati, dove la morale “umana” è alla stessa altezza dei rimasugli di giornali e rifiuti che popolano i bordi dei vicoli. Uno stile che sembra quasi tratteggiato ad acquerello, nonostante la quasi costante dicromia che caratterizza le fasi iniziali, ma slavato, sporco, sfuocato quasi a voler celare la propria vera anima. Il giovane team di sviluppo tratteggia un universo sudicio e pericoloso: lo fa con stile indiscutibile, ma pecca sotto aspetti più strettamente tecnologici. L’alias marcatissimo (ancora più evidente nelle scene di corsa), la scarsa carica poligonale, un utilizzo a tratti esagerato dei filtri blur sono difetti esaltati da PS VR, che restano davanti agli occhi nonostante il giocatore sia del tutto rapito dagli assurdi eventi narrati. Non si tratta certo di un colpo d’occhio negativo, specie non appena indossato il visore: ma i difetti saltano all’occhio subito e, nel caso dell’alias, rendono ancora più problematica la questione nausea.
Duole doverlo ammettere, ma questo primo tentativo di terrorizzare il giocatore sfruttando i prodigi della Realtà Virtuale riesce solo a metà. Here They Lie si conferma un titolo interessante, forte di uno stile peculiare e lo ammettiamo, alquanto magnetico per gli amanti del weird e dell’assurdo: allo stesso tempo, tuttavia, l’opera in esclusiva PS VR dei ragazzi di The Tangentlemen scalfisce soltanto la superficie, cadendo sotto i colpi di un comparto tecnologico troppo altalenante – nonostante le buone premesse visive – e, più di ogni altra cosa, di un sistema di controllo perfetto sulla carta ma, una volta indossato il visore, tutto tranne che agevole. L’eccessivo alias che caratterizza ogni schermata di Here They Lie, un movimento innaturale che si traduce in un rollio fastidioso e un utilizzo “insolito” dello stick destro, riuscito anch’esso solo in parte, lo rendono alquanto faticoso da giocare, specie in termini di motion sickness e fastidi derivati – in modo particolare per chiunque si avvicini a questo hardware per la prima volta. Certo, la trama interessante e la sceneggiatura dalle reminiscenze alla Lynch, seppur dilazionate in breve sessioni, dovrebbero bastare ad abituare il giocatore a quanto appena esposto in tempi nemmeno troppo lunghi: resta però quell’amaro in bocca tipico di quelle occasioni in cui le premesse per sfondare c’erano tutte. E la realtà dei fatti, purtroppo, non è rosea come quella virtuale. |
Commenti