La morte, si sa, non va in vacanza. Specie se ha le sembianze di un uomo pelato e praticamente privo di emozioni, un codice a barre tatuato sulla nuca e l’incredibile capacità di mimetizzarsi nelle folle e di eliminare qualsiasi bersaglio – anche il più sorvegliato – senza far volare una sola mosca. Altro giro, altra corsa: non c’è pace per 47 nemmeno nel mese più caldo dell’estate, che prevede un nuovo imbarco, stavolta in direzione Thailandia, e un nuovo contratto da portare a termine con quanta più discrezione possibile. Quelli dell’ICA, quantomeno, hanno buon gusto nello scegliere le destinazioni del proprio Hitman migliore: dopo la raffinata Parigi e le soleggiate Sapienza e Marrakech, al sicario più celebre del videogioco tocca una visita obbligata in quel di Bangkok, alla ricerca di un musicista dal torbido passato la cui storia, almeno all’apparenza, sembra lontana anni luce dagli intrighi in cui sguazza l’Agenzia.
Eppure, come i precedenti tre episodi ci hanno insegnato, nulla è casuale quando di mezzo c’è l’Agenzia. Anche quando l’enorme puzzle di questo World of Assassination pare composto da tasselli incompatibili, e la scia di cadaveri che ci si lascia alle spalle finisce per regalare più dubbi che certezze. Dubbi che, in questo quarto episodio del nuovo ciclo di Hitman (disponibile dallo scorso 16 Agosto al consueto prezzo di 9.99€) non mancano di certo: ma il mosaico di Diana Burnwood, finalmente, inizia ad assottigliarsi e a prendere dei contorni meno vaghi. Purtroppo dobbiamo ripeterci, è ancora presto per avere un quadro davvero complessivo delle cose: tocca dunque salutare Bangkok in fretta e furia, stavolta purtroppo con un paio di rimpianti in più.
A Jordan Cross la vita ha sempre sorriso parecchio. Frontman dei The Class, giovane gruppo indipendente all’apice del proprio successo, e figlio del miliardario Thomas Cross – magnate mediatico a capo di un potente colosso internazionale, Jordan è esattamente quel tipo di persona in grado di risolvere ogni problema con l’influenza e i bigliettoni del padre. Lo sa bene Ken Morgan, la sua personalissima iena spilla-soldi travestita da avvocato, capace soltanto l’anno prima di tirarlo fuori da un processo di omicidio ai danni di Hannah Highmoore: un’attricetta giovane ma dalle buone aspettative, misteriosamente precipitata dal di lui attico in quel di Brooklyn, si dice, in seguito ad un fatale incidente. Questa la tesi convalidata dalla Corte, non certo immune al “fascino” della famiglia Cross: diametralmente opposta quella dei genitori di Hannah, che incapaci di ottenere giustizia per vie tradizionali decidono di giocarsi il proverbiale asso nella manica. E rendere pan per focaccia al duo Cross-Morgan ricorrendo ai servigi dell’ICA.
In termini di giocabilità Hitman: Bangkok ricalca pedissequamente le orme dei precedenti episodi, fornendo un ibrido action stealth che invoglia il giocatore alla sperimentazione e al pensiero laterale. Otto le possibilità di assassinio a disposizione di 47, che spaziano dall’intramontabile soffocamento con corda di pianoforte alla sempre più amata intossicazione emetica con annesso soffocamento, passando per i cosiddetti “incidenti di percorso” sfruttando a ragion veduta le chance offerte dalla location. Il tutto, ovviamente, va ad affiancarsi alle doti di travestimento del nostro alter ego e alle ben note Opportunità, ancora una volta utili per dare una linea guida alternativa all’eliminazione tradizionale. Giusto a titolo di esempio, sarà possibile rubare la scena al sostituto batterista, richiesto in seguito all’indisponibilità di quello ufficiale della band: al netto di una performance live opinabile, indossarne i panni garantirà l’accesso al tetto dell’Hippaman Resort, dove troveremo il solo Cross desideroso di parlar d’affari. Inutile specificare come si sia conclusa la trattativa …
In quanto a meccaniche di gioco, insomma, nulla è cambiato: è esattamente quell’Hitman che abbiamo apprezzato negli ultimi mesi. Il che è tanto comprensibile quanto positivo, laddove la nuova formula introdotta da IO Interactive è riuscita a convincere anche i più scettici sin dai primissimi capitoli. Peccato che, in questa gita thailandese, sono le variabili a disposizione di 47 ad uscirne sensibilmente ridimensionate. Il setting di questo episodio, tanto per cominciare, appare meno aperto e complesso – il paragone con Marrakech, a tal proposito, è schiacciante. Tecnicamente convincente e, specie una volta all’interno dell’Hippaman Resort, ricco di dettagli e con un’illuminazione che pare spremere al massimo il Glacier: tuttavia, le zone esterne al lussuoso Resort sono centellinate, ridotte ad un breve excursus in un giardino laterale e ad un ancor più fugace passaggio all’interno di un piccolo molo. Il grosso dunque lo fa la struttura, articolata su più livelli in modo analogo a quanto visto nell’episodio Parigino (con “sotterranei” per gli addetti ai lavori, atri enormi e sfarzosi da levare il fiato, bar e giardini interni strategicamente disposti) ma, contrariamente ad essa, priva della stessa densità di NPC in scena. Da un lato sarà dunque difficile camuffarsi nella folla, o sfruttare la ressa per scivolare dagli sguardi attenti della sorveglianza: dall’altro, però, l’assenza di “deviazioni” dal solco primario o di alternative oblique alle zone più concentrate ci renderà bersagli facilmente identificabili, costringendo dunque ad una manovra che si affida sì ancora all’improvvisazione, ma che richiede un tatticismo (e a tratti una pazienza) decisamente maggiore.
Sia chiara una cosa: come citato un paio di paragrafi sopra, di alternative per divertirsi non ne mancano certo. L’impressione che si ha pad alla mano, però, non è paragonabile a quella regalata dagli ultimi due episodi, caratterizzati da una libertà e da un ventaglio decisionale indiscutibilmente maggiori. Anche la sola esplorazione (che si traduce nella scoperta di Opportunità o di indizi utili per pianificare una diversa strategia d’attacco) ne esce diluita, sia in coinvolgimento che in termini più strettamente “numerici” di opzioni presenti.
La missione è andata bene, ma avrebbe potuto essere decisamente migliore.
Per quanto concerne l’aspetto contenutistico dell’episodio, siamo ancora una volta allineati agli standard del titolo Square/IO Interactive. La missione principale di Hitman: Bangkok viene affiancata da una nuova sfida Escalation, L’Equazione di Somsak, caratterizzata dal classico sistema a progressione (e a difficoltà) crescente su cinque livelli: si parte dall’eliminazione di un cuoco, per intenderci, per arrivare all’eliminazione di tre bersagli distinti senza farsi individuare da telecamere o esseri umani, occultandone i cadaveri in apposite ghiacciaie frigorifere, il tutto senza mai effettuare un solo cambio d’abito. I possessori di PS4 potranno inoltre dare la caccia in esclusiva al quarto dei Sei di Sarajevo, gruppetto di ex criminali di guerra macchiatisi delle infamie peggiori nel corso del noto conflitto europeo. Addestratissimi e protetti da guardie preparate al peggio, si tratta di bersagli speciali, in grado di offrire un livello di sfida superiore a quello della missione base. Oggi è il gran giorno di John Stubbs, nome in codice The Veteran, in vacanza con la moglie (e annessa scorta) proprio all’Hippaman di Bangkok. Una vacanza che la signora Stubbs non dimenticherà facilmente…
Non sempre il delitto è perfetto. Dopo un avvio scoppiettante e una serie di riconferme positive, che tanto bene hanno fatto sperare per il proseguo di questa attesa avventura, anche quel gelido dagli occhi di ghiaccio di 47 scivola in un mezzo passo falso. Questo quarto episodio di Hitman, ambientato a pochi passi dal fiume Chao Praya nella pericolosa città di Bangkok, pur presentando qualche idea interessante e, narrativamente parlando, aprendo scenari ad oggi inattesi, finisce per fermarsi qualche gradino sotto ai due precedenti episodi, al momento i punti più alti della serie. Il motivo non è certo tecnologico, né tanto meno imputabile a carenze in termini di meccaniche di gioco. Bangkok entusiasma allo sguardo, ma non cattura e non intrattiene come dovrebbe quando si entra nel vivo dell’azione. L’assenza di uno spettro nutrito di opzioni, Opportunità o alternative valide, unite ad un level design ispirato solo parzialmente, all’interno del gargantuesco Resort, ma ai limiti dell’evanescente nelle location esterne, rende la missione più fugace e meno memorabile delle altre, quasi un compitino per il celebre Agente – che non necessiterà più di 45 minuti per portarla a termine. Certo, il replay value ancora una volta è alto, ma l’impressione che ci siano meno cose da “scoprire” del solito in questo nuovo Hitman è forte, e si fa sentire sin dai primi minuti di playthrough. L’introduzione della nuova Escalation (e, per il fandom Sony, del nuovo bersaglio “di Sarajevo“) movimenta comunque le cose, ma ancora una volta permane la convinzione che sì, la missione è andata bene, ma avrebbe potuto essere decisamente migliore. Meglio prendersi dunque qualche settimana di ferie, nella speranza che Stati Uniti e Giappone facciano vedere di cosa il nostro eroe è davvero capace. |