05 Nov 2016

Hitman – Episodio 6: Hokkaido – Recensione

Otto mesi fa avevamo parecchi dubbi sul destino dell’Hitman di nuova generazione. La leggendaria saga di Eidos e IO Interactive, capace di consacrare il proprio gelido protagonista a icona del genere stealth, era stata data già sul nascere come presunta “vittima” di una release episodica potenzialmente destinata ad affondare un franchise oramai piegato dagli anni. Un destino immeritato, quello paventato dai detrattori della scelta del Publisher, che profetizzavano una fisiologica diluizione della narrazione, componente non certo marginale in ciascun episodio della longeva saga, e allo stesso modo un eccessivo spezzettamento del gameplay che, alla lunga, avrebbe sortito effetti negativi sull’interesse del giocatore. Un panorama disastroso per alcuni, la proverbiale pietra tombale per altri, un’enorme potenzialità di rilancio del brand dopo immancabili alti e bassi per altri ancora, che proprio in questo modello dalle forti similitudini alle odierne serie TV intravedevano un papabile ritorno in grande stile per il famigerato Agente 47.

A circa otto mesi di distanza e, contando questo, sei episodi rilasciati (più uno bonus) sul groppone, possiamo finalmente tirare le somme sulla chiacchierata prima delle tre stagioni ufficializzate da IO Interactive. Un bilancio assolutamente positivo quello di questo Hitman, capace di aggiustare il tiro e correggere in corso d’opera le imperfezioni del primo episodio e di regalare uno dopo l’altro capitoli complessivamente godibili e interessanti, forieri di un gameplay convincente e variegato come quello dei maestosi capitoli originali, e di una narrazione – seppur centellinata con il contagocce e più incline al dubbio che alla spiegazione – ritagliata a dovere sul giusto Climax. Con Hokkaido, celebre isolotto del Sol Levante, chiudiamo dunque il “ciclo 2016” di Hitman: un teatro di gioco memorabile per un Episodio di pari pregio, se non addirittura superiore, al già ottimo Sapienza. Un finale col botto per un’avventura che ci ha accompagnato silenziosamente ai quattro angoli col pianeta: ma potete star pur certi che, il vero finale, è ancora molto lontano.

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Su una cosa non possiamo lamentarci, parlando di Hitman: la “non-riproposizione” pedissequa del medesimo gameplay da un episodio all’altro. Come abbiamo già avuto modo di raccontare nelle nostre precedenti recensioni, IO Interactive ha di volta in volta ricalibrato la quantità degli ingredienti nel proprio mix, offrendo capitoli ricchi di possibilità e di alternative di gioco (Sapienza o Marrakech), altri meno articolati in termini di level design e più comprensivi in termini stealth (Parigi), altri ancora dove la necessità di mantenere il basso profilo è vitale (Colorado) e abusare di qualsiasi azione anche solo vagamente “action” aumenta sensibilmente il rischio di fallire la missione. Più che comprensibile dunque attenderci dal capitolo conclusivo della serie un qualcosa di ispirato e profondo, che rimescoli tutte le carte in tavola sinora presentate e, pur senza pareggiare l’elevatissimo coefficiente di difficoltà toccato dal capitolo Statunitense, offra livello di sfida e replay value adeguati. Inutile dire che, con questo Hokkaido, l’obiettivo dei developer è centrato.

Veniamo dunque al sodo, il contratto del giorno. Anche questa volta due saranno gli obiettivi della nostra gita orientale, un certo Erich Soders – che dovrebbe far drizzare molte orecchie, almeno ai fedelissimi di 47 – e la giovane Yuki Yamazaki. Teatro della missione, impreziosita dalla sagoma del Monte Fuji che si staglia all’orizzonte, è una clinica super tecnologica situata sulla sommità di un monte: un edificio isolato dal resto della civiltà, accessibile esclusivamente tramite una apposita funivia o in elicottero, che cela loschi affari al proprio interno. Bastano pochi passi all’interno di questo edificio per accorgersi effettivamente di come i conti non tornino: pazienti, dottori, sale operatorie, ma anche piscine, palestre, ristoranti di sushi e saune. Il tutto condito da Kai, un’intelligenza artificiale evoluta che controlla giorno e notte il movimento di ciascun individuo all’interno dell’edificio. Diciamo che sì, basta una passeggiata di un paio di minuti per ritrovarsi con il cervello pieno di possibili alternative per concludere la missione, non fosse per il fatto che all’occhio elettronico di Kai non si sfugge: nessuno tuttavia ha detto che non possa essere ingannato.

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Il travestimento, più che negli altri capitoli, rappresenta in Hokkaido il lasciapassare per accedere a zone precluse o controllate dal sistema: basterà infatti indossare gli abiti di un inserviente, di un paziente, di una guardia o di uno dei numerosi altri NPC e il chip collocato nelle rispettive vesti, letto in remoto da Kai, farà il resto. Via al furto di identità insomma: l’ottimo level design di Hokkaido, se sfruttato a dovere, metterà a disposizione del giocatore un ventaglio di opzioni così ampio da rendere schiacciante il paragone con i precedenti episodi. Le alternative suggerite dagli sviluppatori per compiere il doppio omicidio sono sette, ma le possibilità offerte dallo scenario e dagli oggetti in esso celati sono così elevate da rendere pressoché inutile la citata statistica: il tutto a favore di un replay value a dir poco stellare. Mai come oggi il lavoro da sicario gode di un tocco di personalità e “originalità” nella sua esecuzione, forte di una libertà completa lasciata alle mani del giocatore – che potrà ancora una volta uccidere in silenzio, sfruttando armi bianche e stanze meno frequentate per ultimare il lavoro sporco, o mettere a ferro e fuoco l’intero stabile vomitando un paio di proiettili sulle guardie giuste. Nulla che non si sia già visto nei precedenti episodi, questo è chiaro: ma la quantità di soluzioni fattibili proposte, a ben vedere, supera di gran lunga l’offerta già soddisfacente di Sapienza.

Oltre a solleticare le doti strategico-tattiche del giocatore con un level design articolato e complesso, IO Interactive stupisce e convince anche da un punto di vista più “grafico”, regalando degli scorci (come quello già citato del Fuji) estasianti e ricreando la cultura del Giappone con una cura encomiabile del dettaglio. Dai Kimono appesi ai classici ornamenti domestici tradizionali, passando addirittura per i tradizionali bagni “a getto d’acqua riscaldata” con tanto di musichetta di intrattenimento, lo sviluppatore lascia poco o nulla al caso cercando di contestualizzare il proprio epilogo al meglio: e il risultato parla da solo, specie quando passeggiando all’interno del ristorante di sushi ci si ritroverà a riconoscerne ogni singola tipologia, servita a dovere nei vassoi. L’evoluzione tecnologica di Hitman è evidente: i passi leggermente claudicanti dei primi capitoli, affiancati da un rag doll spesso poco convincente e da compenetrazioni e glitch evidenti e fastidiosi, sono un lontano ricordo. Sul lavoro di IO Interactive abbiamo poco da recriminare: un raffinamento progressivo e attento, che al netto di qualche animazione rimasta un po’ legnosa supera abbondantemente la soglia del soddisfacimento.

Uno dei momenti migliori di questo rinnovato franchise

Discorso leggermente diverso per la componente narrativa, che delude in piccola parte le aspettative di quel pubblico che, dopo sei iterazioni stagionali, si aspettava un finale più “conclusivo” (passateci il gioco di parole) di quanto effettivamente ci ritroveremo tra le mani, una volta salutata Hokkaido. Non che la regia di Hitman, nel proprio complesso, sia deludente: al contrario, l’ambizione degli sceneggiatori viene supportata da un telaio narrativo gradevole e non certo privo di colpi di scena. L’impressione finale, tuttavia, è quella di essere di fronte ad una “stagione overture” piuttosto che ad una season televisiva come siamo portati a pensare, che saluta temporaneamente il proprio pubblico spiegando soltanto lo stretto necessario e, immancabilmente, calcando ulteriormente la mano per alimentare quell’alone di mistero a cui dallo scorso marzo siamo abituati. Non è certo un aspetto negativo, considerate le ottime premesse alla base delle due prossime stagioni: riteniamo che la pazienza richiesta, a meno di inattesi cali di creatività da parte dello sviluppatore, sarà ripagata a tempo debito.

Conclusioni

Ci mancava l’aggiunta di una delle missioni Escalation più toste dell’intera stagione per fare di Hokkaido un episodio conclusivo memorabile. Il sesto e ultimo tassello del primo ciclo del nuovo Hitman, a ben vedere, racchiude tutta la filosofia e i tratti distintivi che hanno contraddistinto i nostri mesi in compagnia del letale 47: gameplay raffinato e profondo, spettro di possibilità di azione vastissimo, rigiocabilità stellare, pianificazione delle manovre e, soprattutto, quel pizzico di estemporaneità e di improvvisazione che rende ogni nostro contratto personale e memorabile. Il tutto condito da una sceneggiatura che cerca di ispirarsi ai grandi successi di Netflix, che culmina in un primo apice inaspettato e convincente, seppur ancora acerbo. Hokkaido, assieme a Sapienza, rappresenta uno dei momenti migliori di questo rinnovato franchise, un terreno fertile da cui ripartire rimescolando le carte in tavola e sperimentando nuovamente per quello che, ormai, è un futuro già scritto per la serie.

Un futuro che, mentre ci lasciamo il Giappone alle spalle, si preannuncia portatore di nuovi intrighi, colpi di scena e rivelazioni. Quelle stesse rivelazioni che in questa occasione sono mancate, forse proprio per la volontà del team di sviluppo di conservare qualcosa di esplosivo per le prossime battute iniziali. Perché se la prima stagione ci ha soddisfatti, la seconda deve raggiungere vette ancora più alte per placare la fame del proprio pubblico: ma considerando gli assi attualmente nascosti nella manica dell’Agenzia, il prossimo ritorno di Hitman difficilmente passerà inosservato. Anche per un fantasma senza ombra come l’Agente 47.

 

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