A Natale, di solito, siamo tutti più buoni. Ci scambiamo regali, elargiamo ai nostri amici preziosi consigli sui giochi da comprare assolutamente, guardiamo all’anno nuovo con gli occhioni sbrilluccicanti pregustando in largo anticipo il momento in cui quel nuovo titolo, che tanto attendiamo, sarà finalmente tra le nostre mani sudate. Del resto, Natale è proprio questo: amicizia, buoni propositi, mezzo voto in più nel punteggio finale della recensione perché sì, dai, facciamo passare delle buone feste anche ai dev… Poi, a Natale, c’è pure gente “strana” come chi vi scrive: dei vecchietti rancorosi nella rampa di discesa over 36, la nuova generazione digitale del nonno che fissa il cantiere lamentandosi di tutto e tutti recriminando come, ai suoi tempi, tutto era più bello.
E mentre il mondo intero elenca i giochi più belli dell’anno in corso, gli imperdibili dell’anno prossimo e i titoli che vi leveranno il fiato nel duemilaVattelapesca, qui su GameSoul (per il momento) andiamo controcorrente e, per augurarvi un Natale come si deve, vi elenchiamo i dieci titoli più squisitamente agghiaccianti (secondo l’insindacabile parere di Metacritic) che hanno invaso il pianeta negli ultimi 12 mesi. Dieci titoli che non meriterebbero di essere acquistati nemmeno se fossero gli stessi sviluppatori a sganciarvi i verdoni per portarveli a casa, per capirci, roba così spettacolare da riuscire a fare il giro più volte e diventare semplicemente imperdibile – sfiorando i livelli del trash made in Massimo Boldi & Fratelli Vanzina. Sedetevi comodi, insomma, che ‘sto giro ne vedrete davvero delle brutte…
Rugby 18 – 42/100
Soltanto 3 anni fa Rugby 15 (primo esponente di questo fortunatissimo franchise) aveva chiuso l’anno con un Metacritic scoppiettante di 19 su 100. Il che, a voler guardare per forza il bicchiere mezzo pieno, ci dovrebbe far pensare che il secondo per-nulla-atteso titolo riservato ad uno degli sport più meravigliosi del pianeta, dopo tutto, sia un fo**uto capolavoro se paragonato al predecessore. Peccato che, in Rugby 18, di fo**uto c’è così tanto – dal gameplay alla grafica, passando per altri “dettagli” capaci di contorcere in mezzo nanosecondo le budella degli appassionati della palla ovale – che boh, sarebbe difficile consigliarlo persino ad un potenziale figlio di Martin Castrogiovanni. Chiunque voglia buttarsi sul rugby da salotto, insomma, farebbe meglio ad attendere altri tre anni…
Touhou Kobuto V: Burst Battle (PS Vita) – 42/100
C’è qualcosa di ironico nella storia della povera PS Vita, probabilmente una delle console (se non LA console) più sfortunate a memoria di giocatore nonostante le interessanti potenzialità dell’hardware. Non fosse un disastro imputabile alla mancata continuità di esclusive di lusso, legata ad un supporto da parte di Sony stessa non propriamente esemplare nel caso specifico della citata handheld, a rendere il tutto ancor più critico ci pensano una serie di titoli che difficilmente avrebbero saputo anche solo incuriosire qualcuno quando il non plus ultra dell’arte videoludica era Arkanoid. Premesso questo, Burst Battle è uno spin-off della già non fortunatissima (almeno qui in Europa) serie Touhou Project: un bullet-hell shooter, fondamentalmente, dove di infernale c’era davvero tutto: grafica agghiacciante, gameplay pieno zeppo di bug e protagoniste (molto giovani) in vestitini in stile Lolita che sì, Pedobear e soci avranno sicuramente comprato tutte le copie esistenti della Collector’s Edition. E ok che i gusti dei giapponesi alle volte sono un po’ strani: con Burst Battle abbiamo circumnavigato il buon gusto …
Tokyo Tattoo Girls (PS Vita) – 41/100
L’esempio perfetto di aspettativa tradita. L’idea alla base di Tokyo Tattoo Girls, per certi versi, è interessante: una Tokyo post apocalittica in cui le nostre eroine, delle gnocche pantagrueliche equipaggiate con bocce in grado di ridere bellamente in faccia alla gravità galileiana, guadagnavano poteri inimmaginabili in base ai tatuaggi impressi sulla pelle. Un po’ perverso, ma siamo pur sempre in Giappone e – lo sappiamo – c’è tutto quello che serve per attirare la consueta fetta di pubblico con le occhiaie grandi e il braccio destro più sviluppato del sinistro. Non fosse che, della lunghissima fila di difetti di Tokyo Tattoo Girls, ci basta annoverare un gameplay semplicistico e superficiale come pochi prima d’ora, delle protagoniste “strane” nel senso più “weird” che possiate immaginare e una fila di bug da farci chiedere se, in NIS America, esista davvero un reparto test. Peccato, la direzione artistica non era certo male: ma quando l’unico aspetto davvero positivo di un titolo coincide con la dimensione delle sfere ballonzolanti delle proprie protagoniste, forse abbiamo davvero un problema…
Inner Chains (PC) – 40/100
Ad un primo sguardo superficiale, Inner Chains potrebbe sembrare la classica figata indie a tema inferno, demoni e budella svolazzanti. Nel titolo d’esordio dei ragazzi di Telepaths Tree, del resto, era impossibile non apprezzare una direzione artistica affascinante, che ispirata dai grandi classici dell’horror in prima persona introduceva abomini biomeccanici e altre amenità surreali in grado di sbudellarci in una frazione di secondo. Peccato che non servano nemmeno 10 minuti di gameplay per accorgersi di come l’intera baracca sia più agghiacciante da giocare che da vedere: lento, noioso, ripetitivo, privo anche dell’ombra di un guizzo o di un jumpscare che legittimi “per sbaglio” quella dicitura di “horror” che mesi addietro aveva stimolato la nostra curiosità, rimane davvero poco da salvare di Inner Chains. Le catene, forse, che dovreste sbattere sul muso di chiunque vi consigli di acquistarlo …
Drive Girls (PS Vita) – 39/100
Ancora una volta ragazze in abiti succinti, ancora una volta (visto il tema automobilistico) airbag fuori misura in grado di distogliere l’attenzione del giocatore dai pericoli della strada. Drive Girls vorrebbe essere un racing ibrido con forti meccaniche hack-n-slash, dove le protagoniste possono cambiare la propria forma assumendo le “sembianze” di bolidi velocissimi a quattro ruote. Le curve, l’avete capito, non mancano di certo: lo stesso discorso non vale per le meccaniche, che sarebbe riduttivo definire semplicistiche e poco funzionanti. Un comparto tecnologico tutto sommato interessante e una direzione artistica che, in più di qualche caso, non vi farà sentire la mancanza dei vostri hentai preferiti non bastano a sollevare dall’abisso un titolo che, parafrasando il genere, è paragonabile ad un incidente in galleria. Potremmo addirittura sbilanciarci affermando qualcosa del tipo “Donne e motori…”, ma sarebbe un po’ come pigliare a bastonate un cadavere …
Troll and I (PS4) – 39/100
Mettiamola così: già dal titolo, dovreste capire abbastanza su cosa vi aspetta in questo abominio targato Maximum Games (che, manco a farlo apposta, compare un buon paio di volte in questa classifica). Giusto per darvi un’idea a questa pietra miliare del fail, pensate ad un The Last Guardian sviluppato da ragazzi sotto alcolici ed droghe allucinogene dove Trico viene sostituito da un Troll coordinato quanto un elefante in una cristalleria: inserite nel risultato una tonnellata e mezza di bug et voilà, il disastro è servito. In Troll and I potrete indossare i panni del giovane Otto o quelli, decisamente più ingombranti, del “simpatico” Troll: perché dovreste farlo, magari rompendo gli zebedei ad un vostro amico supplicandolo per una raffazzonatissima coop offline, è una domanda a cui onestamente non sappiamo rispondere. Diciamo che sì, al netto di un gameplay che ha parecchie cose da invidiare a Pong, Troll and I ha così tanti bug non risolti da meritarsi un posto nell’Olimpo della pessima programmazione. Il regalo di Natale perfetto, se voleste trollare qualche vostro amico …
Dying: Reborn (PS4) – 38/100
Un horror che tutto fa tranne che spaventare il giocatore, con puzzle da decerebrati mentali e una grafica d’altri tempi – e no, non è un complimento. Il tutto arricchito da una versione PS VR in grado di rovesciare lo stomaco del giocatore più robusto e, ciliegina sulla torta, priva pure di un paio di contenuti – già di per sé pochissimi nella versione liscia. Dying: Reborn funziona esattamente al contrario di come dovrebbe andare, risultando davvero terrificante in termini di noia, ripetitività e mancanza di idee per quanto concerne la narrazione. L’equivalente di un documentario sulla vita sessuale delle zanzare della Foresta Amazzonica, girato però in risoluzione bassissima e doppiato da uno studio di immigrati clandestini. Certo, siamo di fronte ad un titolo capace davvero di farvi gelare il sangue nelle vene: ma non per i motivi che vi aspettereste da un normale horror del 2017.
Randall (PS4) – 38/100
Un Platform dalla narrativa d’impatto, sulla carta: un telepate vittima di una dittatura totalitaria e oppressiva, che cerca di guadagnare la libertà saltellando da una piattaforma all’altra. Fine delle cose positive, visto che in Randall non c’è l’ombra di qualcosa che funzioni come il team di sviluppo aveva immaginato: le meccaniche platform sono lente e impacciate, la storia diventa praticamente incomprensibile dopo mezz’ora di gioco, le fasi combat sono di una stupidità senza eguali e, dulcis in fundo, le boss fight sono al limite dell’insopportabile. Premesso che chi vi scrive è un amante dei platform dai tempi dello Spectrum ZX, doveste mai trovarvi di fronte ad una PS4 con installata una copia di Randall c’è solo una cosa da fare: bruciarla, gettare del sale grosso sulle sue ceneri e chiamare un esorcista per allontanare definitivamente il male dai rottami rimasti. Poi certo, potreste sempre trovare il coraggio di avventurarvi in questa summa del “come non dovrebbe essere fatto un platform”: ma dovessero sanguinarvi gli occhi, non veniteci a dire che non vi avevamo avvisati.
Road Rage (PS4) – 26/100
Maximum Games guadagna la medaglia d’argento in questa ambitissima classifica natalizia confezionando un titolo assolutamente imperdibile per gli amanti del brutto, del trash e dell’ingiocabile. Qualcosa che meriterebbe il bollino TROMA istantaneamente e ad imperitura memoria, tanto è assurdo quello che aspetta il giocatore una volta stretto il pad tra le mani. Sulla pomposa definizione di Road Rage, un “open-world motorcycle combat game”, dopo circa quattro minuti di gioco vi domanderete parecchie cose: cosa significhi “open world” per lo sviluppatore, quale sia effettivamente la concezione di “combat” partorita tra le loro incerte pareti e, non ultima, quale fisica quantistica perversa permetta ad una comitiva di disadattati a bordo di bolidi a due ruote di sbudellarsi con spade, lance e altre amenità del genere grandi all’incirca metà schermo. Al netto di questi dettagli, siamo di fronte ad un titolo stracolmo di bug, indifendibile in termini di gameplay (guidare la moto sarà praticamente impossibile, anche in assenza di nemici a video) e con un comparto tecnologico che sarebbe passato in sordina persino ai tempi di PlayStation 2. Un fiasco così clamoroso e generalizzato, insomma, che finirete davvero per giocarlo, ridere come beoti e trovarlo addirittura divertente. Una pietra miliare dello schifo, per giocatori dal palato ricercato.
Vroom in the Night Sky (Switch) – 17/100
Il male videoludico del 2017 ha un nome, un volto e una console in esclusiva: Nintendo Switch. La strepitosa nuova ammiraglia di Mamma N, nonostante l’anno di incredibili successi e repentine riconferme, ospita quello che a detta della stampa specializzata è uno dei più brutti giochi di sempre (terzo Metacritic più basso della storia, per dovere di cronaca): Vroom in the Night Sky. Trattasi di un titolo indipendente e, per motivi attualmente sconosciuti al genere umano, disponibile al download tramite eShop sin dal Day One della nuova generazione dell’hardware Nintendo. Un tassello della storia imperdibile, descritto dal proprio Publisher come un “Action Game magico a base di biciclette”. Una magia resa possibile da figate abnormi del calibro di Fantastic Feeling, Speedy Feeling e Realistic Feeling – che potrebbero sembrare modalità di utilizzo di un normale vibratore ma no, stavolta dovrete accontentarvi dell’immancabile Rumble dei Joycon. Fatta questa doverosa premessa, preferiamo lasciarvi in compagnia del trailer di Vroom in the Night Sky, evitando anche solo di spendere ulteriori righe su gameplay, grafica, sonoro o direzione artistica – dire quanto sono agghiaccianti, del resto, sarebbe un po’ come sparare ad uno seduto sulla tazza: sappiate soltanto che, questa volta, persino la traduzione in inglese è buggata – fattore che, in un paio di casi, riserva sorprese esilaranti. Un consiglio? Acquistate subito una copia di Vroom in the Night Sky prima che qualcuno, in casa Nintendo, decida di formattare l’intero eShop per cancellare ogni traccia della sua esistenza. Da qui a pochi anni, se la vicenda di ET per Atari ci ha insegnato qualcosa, potrebbe valere una fortuna.
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