Speciale 17 Feb 2021

I soulslike secondo Team Ninja: ecco come Nioh ha riadattato le meccaniche di Dark Souls e Bloodborne

In attesa dell’agognato Elden Ring, e dunque di un ritorno a quel soulslike made in From Software di cui inizia a sentirsi la mancanza, è stata pubblicata da pochi giorni la Nioh Collection, che mette a disposizione i due capitoli dell’action RPG di Team Ninja nella loro edizione completa per Playstation 5. Se non avete ancora avuto occasione di giocarli, la nostra recensione (all’interno della quale trovate anche quelle dei singoli giochi e i loro DLC) potrebbe aiutarvi a schiarire la mente e capire se questa versione del Giappone feudale faccia al caso vostro.

Più nello specifico, però, potrebbe aiutarvi sapere cosa differenzi una serie come Nioh dai ben più noti ed acclamati Dark Souls e Bloodborne. Il Team Ninja si è chiaramente ispirato al trend generato da Miyazaki e soci che, dall’esordio con Demon’s Souls sino alla vera e propria esplosione con il primo Dark Souls, ha dato vita a un genere quasi a sé stante che ha influenzato lo sviluppo dei videogiochi negli anni a venire. Nel suo prendere spunto, tuttavia, gli sviluppatori si sono poi discostati andando a intraprendere una strada a loro più congeniale, quella che, per certi versi, ricorda i Ninja Gaiden ed in particolare il primo capitolo, volendo anche il secondo (il terzo, al contrario, possiamo fingere sia stato un inciampo nel percorso e non lo prenderemo minimamente in considerazione).

Al di là di questa brevissima digressione, l’argomento principale di quest’articolo è spiegare in quali aspetti Nioh si discosti da Dark Souls e in quali invece gli somigli, senza per questo andare a preferire l’uno all’altro: la decisione spetterà a voi, noi siamo qui per raccontarvi come da un genere ormai diventato storia si dia vita a esperienza che, pur mutuando gli aspetti, riescano a brillare di luce propria. Esattamente come fa Nioh.

Il sistema di combattimento

L’elemento che più di tutti balza all’occhio, o se non altro su cui si concentra maggiormente chiunque desideri avvicinarsi a Nioh, è il sistema di combattimento: la deriva dalle opere From Software si sente, sebbene sia un paragone più calzante quello tra Nioh e Bloodborne, o Dark Souls III, a causa di una fluidità e velocità di fondo che non riscontriamo nel capitolo originale. Se le basi sono identiche fra loro – attacco leggero, pesante, deviazione, parata, magia, consumo della stamina, lock-on dei nemici, armi a distanza – dove l’opera di Team Ninja si diversifica palesemente è nell’intelligente implementazione della postura (stance in inglese). Le tre divere posture a disposizione, bassa, media e alta, permettono un altissimo livello di personalizzazione e danno al sistema di combattimento una profondità tecnica che né Dark Souls né Bloodborne hanno; il che, ripetiamo, non è un male ma solo un aspetto che, per fortuna, le rende esperienze diverse tra loro.

La possibilità di cambiare sul momento tra una postura e l’altra, fosse anche solo per adattarsi meglio al nemico che abbiamo di fronte, è un altro punto di forza nel sistema di combattimento di Nioh: è qui infatti che il gioco si percepisce diverso, non in una varietà dell’equipaggiamento inferiore rispetto a Dark Souls. Nioh infatti ha un approccio più alla diablolike sotto questo aspetto, incentrato sul continuo loot per migliorare armi e armature piuttosto simili tra loro, a dispetto di un design sufficientemente variegato. Proprio per questo motivo la molteplicità degli approcci è legata alle posture e non all’arma nello specifico, per quanto ovviamente i moveset siano diversi tra una katana e, ad esempio, una kusarigama.

Inoltre, Nioh chiama in causa un secondo fattore decisivo per gli scontri: il Ki, o meglio, il Ritmo Ki. Altro nome con cui definire la stamina, il Ki ci permette di eseguire tutte le azioni in gioco, dallo scatto alla parata fino all’attacco, e consumare l’indicatore vuol dire rimanere “con il fiato corto”, esposti agli attacchi nemici. Essendo comunque un gioco basato sulla filosofia orientale, secondo cui il Ki esprime il concetto delle energie fondamentali dell’universo, è possibile ripristinare l’indicatore in gioco con il giusto tempismo, dopo averlo consumato, allineandosi, insomma, con questa stessa energia. Ciò consente un’offensiva maggiore, non infinita certo, ma in ogni caso molto più estesa di quella permessa dai souls, che richiedono invece di bilanciare in continuazione ciò che si vuole fare con ciò che è possibile fare. Volendo si potrebbe accomunare questa meccanica con la cosiddetta Rally di Bloodborne, sebbene il Ritmo Ki risulti molto meno rischioso: come suggerisce il nome, Rally ci permette di recuperare vita colpendo velocemente un nemico subito dopo aver subito danno, condizione che ci lascerebbe esposti al rischio di perdere più vita di quanta ne recupereremmo.

Per chiudere la macro sezione dedicata al combattimento, parliamo degli Spiriti Guardiani: nel primo Nioh, il giocatore è chiamato a scegliere uno spirito iniziale che lo accompagnerà durante il viaggio ma potrà, con il passare del tempo e ottenendone diversi, cambiarlo pregando al Santuario Kodama (che svolge la stessa funzione del falò nei souls, fatta eccezione per qualche tocco in più). Riempiendo un apposito indicatore, lo spirito guardiano si fonderà con la nostra arma offrendoci un breve periodo di immortalità e danni elevati. Nel secondo capitolo, data la natura in parte demoniaca del protagonista, saremo noi a diventare tutt’uno con lo spirito trasformandoci in tre diverse tipologie di Yokai, oltre a poter sfruttare la potenza di alcuni per attacchi extra quando siamo in forma umana.

Nel complesso, entrambi gli approcci permettono di mettere a segno colpi più potenti, aumentando notevolmente la velocità di azione e per questo avvicinandosi di più, come stile, a Bloodborne che non ai vari Dark Souls. Sono dunque chiare le ispirazioni di Team Ninja nei confronti di From Software, ma la bravura del primo è stata prendere aspetti preesistenti e rimodularli in un’interpretazione personale, trasformandoli in meccaniche fresche, uniche al tempo stesso. Pochi, o perfino nessuno, sono riusciti a raccogliere l’eredità di Miyazaki in questo modo, facendola propria e adattandola al proprio stile – perché la profondità tecnica toccata da Nioh ricorda da vicino, come scritto, il primo e brutale Ninja Gaiden.

Il level design

Saltando a piè pari la magia e gli elementi RPG, le cui differenze non sono di fortissimo peso nell’economia del gioco, approdiamo per direttissima sul secondo macro aspetto che mette agli antipodi i souls e Nioh: il level design. Concettualmente siamo sulla falsa riga di From Software: si procede dall’inizio fino al boss, che rappresenta la fine della sezione di turno, e nel mezzo troveremo sia scorciatoie per snellire il percorso, sia santuari nei quali riposare e da cui riprendere nel caso morissimo per una ragione o l’altra – il tutto ovviamente mentre ci facciamo strada tra nemici di ogni tipo.

La vera differenza sta nel fatto che Dark Souls e Bloodborne propongono un mondo enorme e interlacciato (nonostante tutto, niente ancora batte il capitolo originale sotto questo aspetto), mentre in Nioh si procede per missioni: ciascuna viene sbloccata su una mappa del mondo, che rappresenta il nostro hub di gioco, e da lì si procede seguendo la storia, percorsi secondari nei quali sbloccare equipaggiamenti migliori o, ancora, una versione più difficile delle missioni, le cosiddette Missoni Crepuscolo. Nessun incarico principale è direttamente collegato all’altro, ci sarà sempre un filmato di intermezzo a connettere i due punti. Laddove From Software si affida all’esplorazione e all’inevitabile meraviglia, mista a imprecazioni di sorta quando prendiamo la strada sbaglia, Team Ninja preferisce rimanere ancorato al suo passato proponendo una struttura a livelli.

Confrontando le due scelte di design, potremmo dire che la soluzione adottata da From Software sia migliore e Nioh mostri il fianco a qualche critica, ma come detto in apertura dell’articolo si tratta semplicemente di due approcci diversi. Per fortuna, aggiungiamo, altrimenti ci saremmo trovati di fronte l’ennesimo clone wannabe. La bellezza di Nioh risiede proprio nella diversità rispetto ai souls.

Il multigiocatore

Citiamo questo aspetto soltanto in virtù dell’assenza di PvP. Giocare in cooperativa in Nioh non è diverso da qualunque souls o Bloodborne ma, a differenza loro, non si è mai pensato di mettere i giocatori uno contro l’altro; è possibile affrontare i resti di chi ci ha preceduto ed è morto, oppure fantasmi appositamente scelti dagli sviluppatori, proprio come gli NPC di From Software, ma oltre questo non si va. Perciò sappiate che se doveste adocchiare Nioh in cerca di battaglie PvP, non ne troverete; né se ne sente la mancanza, a dire il vero.

La difficoltà

Chiudiamo l’articolo con una breve analisi sulla difficoltà: seppur determinata dagli approcci al gameplay, il tasso di sfida è circa sullo stesso piano tra Nioh e i souls, con qualche sporadico picco immotivato nel primo caso. Il vero discrimine è nella gestione del Nuovo Gioco+, molto più approcciabile e snella in Nioh rispetto ai giochi From Software. Questi ultimi infatti, data la struttura a mondo aperto e interconnesso, obbligano il giocatore ad affrontare una difficoltà crescente a ogni nuova partita fino a un massimo di sette gradi.

Nioh, al contrario, sfrutta la propria suddivisione a livelli per proporre difficoltà aggiuntive nettamente più toste e gestibili a piacere nell’hub di gioco: siamo sempre liberi di rigiocare tutta l’avventura in modalità normale, o di passare alla mappa successiva che la ripropone dall’inizio (quindi con tutte le missioni da sbloccare passo passo) ma in chiave decisamente più complicata, andando così a premere sull’aspetto diablolike del gioco.

Come abbiamo già ripetuto diverse volte nel corso dell’articolo, è abbastanza evidente quanto Team Ninja sia legato al proprio passato e Nioh rappresenti, per certi versi, un’evoluzione di Ninja Gaiden in termini del tutto concettuali: ispirandosi ai souls, gli sviluppatori hanno dato una nuova interpretazione all’approccio fortemente tecnico tipico delle avventure di Ryu Hayabusa, unito al sensibile livello di difficoltà, per mettere in piedi un’esperienza che lo ricordi ma vada ad aprirsi a un pubblico diverso.

D’altronde, oggi come oggi, riusciremmo ancora a digerire un gioco come Ninja Gaiden senza considerarlo vecchio e superato?

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