Quando gli attori invecchiano e i modelli poligonali no
Si dice che tutto sia circolare, che conoscendo il passato si possa in qualche modo prevedere il futuro. Si dice anche che tutte le storie possibili ed immaginabili siano già state scritte. Potranno variare alcuni fattori, si potranno incastrare in modo diverso i meccanismi narrativi, ma già da diverso tempo siamo fruitori di trame già note e ampiamente approfondite in quasi tutte le salse. Soprattutto al giorno d’oggi, sommersi come siamo da una quantità soverchiante di prodotti culturali di ogni forma e genere, è davvero difficile inventarsi qualcosa di nuovo.
Se in campo musicale molte delle evoluzioni contemporanee non convincono appieno, la trap è criticata su più fronti, mentre l’indie sembra aver stufato tutti, sono già diversi anni che il cinema sembra arrancare. Fatto salvo per gli sforzi di alcuni singoli dotati di un genio quasi impareggiabile, uno su tutti Christopher Nolan, Hollywood sembra ormai preda e prigioniera ora di iniziative commerciali che iniziano a perdere smalto, come il sempre più sgraziato MCU, ora di riproposizioni e recuperi che, per i motivi più disparati, finiscono per non convincere realmente nessuno.
Figli di algoritmi e di sceneggiature che tentano di rivolgersi ad un pubblico estremamente eterogeneo, progetti di questo tipo sono per lo più andati incontro a dei terribili e sanguinosi fallimenti. Ghostbusters, Men in Black, RoboCop, Alien, Terminator, il recentissimo scongelamento de Il Gladiatore, tutti brand che dopo anni di assenza hanno cercato di riproporsi, in parte di reinventarsi, riuscendo quasi sempre nella duplice impresa di scontrarsi con l’indifferenza dei più giovani e di suscitare la disapprovazione dei fan di lungo corso.
In questo senso, inevitabile tirare in ballo anche Indiana Jones. Entrato di diritto nella storia del cinema con i primi tre film diretti da Steven Spielberg, nel 2008 la saga venne strappata dal suo sonno criogenico con Il Regno del Teschio di Cristallo. Pellicola che in qualche modo avrebbe dovuto rappresentare il superamento del già allora non più giovane Harrison Ford al ruolo di protagonista, si rivelò invece la grande occasione mancata di Shia LaBeouf di prendere le redini della serie, anch’esso coinvolto in un film non poi così terribile, ma incapace di scaldare i cuori.
Per certi versi è andata ancora peggio lo scorso anno, con il Quadrante del Destino. Anche in questo caso non si può certo parlare di un pessimo film, ma è con questo lungometraggio che si sono palesati limiti e problematiche che in realtà sono sempre state sotto gli occhi di tutti. Da una parte, per quanto sia doloroso ammetterlo, Harrison Ford non è eterno. L’ottantenne attore statunitense è parso piuttosto in difficoltà nei panni del Dottor Jones sia in termini fisici che di interpretazione. Secondariamente, è diventato ancora più lampante quanto Indiana Jones fosse figlio dei suoi tempi, un prodotto che funzionava benissimo negli Anni ’80, ma che fatica tremendamente a trovare una propria dimensione nella contemporaneità, dove non è cambiato solo il pubblico, ma anche la sensibilità intorno a certe tematiche. Del resto, se l’alternativa al machismo dell’Indiana Jones originale è una fastidiosa reticenza all’avventura, non si può certo pretendere che lo zoccolo duro di appassionati prenda la cosa con serenità.
I personaggi maturano, certo, e non è detto che prima o poi non possa essere preso in considerazione un nuovo attore per indossare il cappello del Dottor Jones, ma il Quadrante del Destino ha persino evidenziato come i nazisti inizino a risultare anacronistici, come certi cardini stilistici risultino stantii, come, in definitiva, il brand sia forse giunto ad un punto di non ritorno. Dura da accettare, ma la verità potrebbe essere semplicemente questa per una saga che è indissolubilmente legata al suo attore protagonista e ad un certo modo di intendere e fare cinema che è irrimediabilmente superato. Meglio staccare la spina, che trascinare le cose fino all’irrimediabile disastro, no?
No. O meglio: non per forza, non del tutto, quantomeno.
Partiamo da un dato di fatto: nei videogiochi non si invecchia
Mentre i vari RoboCop, Alien e Indiana Jones raccoglievano i cocci al cinema, nel mondo dei videogiochi le cose sono andate a vanno diversamente. Dopo anni di tie-in poco ispirati quando non disastrosi, difatti, le software house di tutto il mondo ultimamente ci sta regalando delle grandi trasposizioni, all’altezza delle fonti d’ispirazione, persino capaci di rileggerle e di donargli una nuova luce.
RoboCop: Rogue City, che potete recuperare sullo shop di GameStop a questo link, ci racconta di un progetto chiaramente sviluppato con un budget contenuto, ma capace di carpire lo stile della serie cinematografica e di tradurlo in un FPS open-map tremendamente gustoso, pur con tutti i suoi limiti. Alien Isolation ammaliò persino chi conosceva la pellicola di Ridley Scott solo sommariamente. A questa lista di fortunate produzioni, si è recentemente aggiunto Indiana Jones e l’Antico Cerchio, gioco che potete recuperare grazie a questo link e che nella nostra recensione è stato premiato con un altisonante nove.
Partiamo da un dato di fatto: nei videogiochi non si invecchia. Ciò ha permesso ai talentuosi ragazzi e ragazze di MachineGames di poter contare su un Harrison Ford impeccabile, giovane, ancora in grado di regalarci le sue espressioni facciali dei tempi migliori. Il lavoro di motion capture e rimodellazione, in questo senso, è davvero impeccabile. Il sorriso ironico, il modo di afferrarsi il cappello, persino il dito che si agita di continuo per dare ulteriore enfasi al discorso, sono tutti dettagli che gli appassionati noteranno immediatamente. Basta quello per assicurarsi le prime simpatie del pubblico. Non serve altro per proiettare immediatamente il tepore rassicurante del già noto.
Anche certi stilemi registici, nelle cut-scene, vengono ricalcati alla perfezione. I famosi primi piani di Spielberg sono al loro posto, esattamente come la tendenza della cinepresa nel seguire le linee di prospettiva durante le scene d’azione, trovata che infonde ancora più dinamismo alla messa in scena.
Che dire poi dei templi, degli anfratti, delle grotte che il Dottor Jones dovrà visitare durante la sua avventura? Trasbordanti di dettagli, bassorilievi, reperti, opere d’arte. Uno spettacolo visivo reso ancora più convincente dalla fitta vegetazione, dai buoni effetti luce, da una ricercatezza artistica capace di dare forma a scenari che hanno poco da invidiare a quelli ammirati nella prima trilogia della serie cinematografica.
In tutto questo, non delude neanche la trama, che si affida, oltre al carisma e alla simpatia del suo protagonista, ad una serie di spalle ben caratterizzate e ad un villain inquietante, sinistro, disturbato al punto giusto. Non c’è traccia delle forzature degli ultimi due film della serie. Per quanto tendenzialmente lineare e privo di chissà quali roboanti colpi di scena, Indiana Jones e l’Antico Cerchio riesce anche nella grande impresa di confezionare un intreccio il cui contesto non stona affatto. In cui la presenza dei nazisti è perfettamente coerente, dove ogni pezzo del puzzle trova con eleganza il suo posto.
Indiana Jones e l’Antico Cerchio non si limita alla sola riproposizione
Tuttavia, è guardando al gameplay che si può intuire e intravedere quel superamento, quell’approccio alla modernità tentato al cinema, ma che può dirsi compiuto solo in campo videoludico. La scelta della prima persona, per quanto audace, ha totalmente ripagato il coraggio degli sviluppatori. Sarebbe stato facile proporre un’avventura in terza persona che si muovesse sullo stesso sentiero battuto da Uncharted, che a sua volta si ispirava proprio a Indiana Jones. Eppure, scegliendo una prospettiva completamente diversa, il gioco non ha solo guadagnato personalità, ma ha anche avuto la reale possibilità di proporre un’esperienza totalmente aderente alla sua fonte d’ispirazione, ma che allo stesso tempo fosse in grado di offrirne una prospettiva lievemente diversa e inedita.
C’è un elemento di gameplay che più di altri, molto più delle arrampicate, delle scazzottate, delle fasi stealth, avvicina Indiana Jones e l’Antico Cerchio ai fasti del brand. Ci riferiamo al taccuino, strumento imprescindibile per orientarsi negli scenari e risolvere i tanti enigmi che sbarrano la strada al protagonista. Consultarlo non è solo utile per farsi un’idea più precisa della trama che fa da sfondo al gioco. Grazie agli appunti, ai disegni, alle note e fotografie conservate nel taccuino sarete in grado di attivare l’indicatore che vi guiderà alla successiva meta, intuire quali meccanismi attivare, dedurre dove è possibile reperire il successivo indizio che possa avvicinarvi alla risoluzione del mistero.
Grazie alla prima persona, non solo l’immedesimazione è più diretta, non solo si possono ammirare le ambientazioni da un punto di vista privilegiato, ma si dà corpo e forma all’attività di deduzione e ragionamento che da sempre distingue e caratterizza la carriera del Dottor Jones. Ed ecco il superamento rispetto ai film. Dove al cinema abbiamo dovuto accontentarci di una versione progressivamente scolorita e sbiadita del nostro eroe, con il pad tra le mani siamo riusciti ad entrarci in comunione totale, a scoprirne un aspetto certo ammirato, soprattutto nell’Ultima Crociata, ma con cui non avevamo mai potuto approcciarci con tanta intensità.
Indiana Jones e l’Antico Cerchio, insomma, non si limita alla sola riproposizione. MachineGames ha dato prova di aver carpito appieno lo spirito della saga, comprendendo totalmente cosa renda tanto speciale il personaggio di Indiana Jones. Certo l’ironia, certo il contesto in cui è calato, certo la sua forza fisica, ma anche e soprattutto la sua abilità nel risolvere enigmi, nel “giocare” con la storia affidandosi ai suoi appunti e alla sua conoscenza.
Non c’è scritto da nessuna parte che una determinata saga debba andare avanti all’infinito. Capire quando è il momento di mollare, dovrebbe essere compito di chi ne detiene i diritti. Certi brand, così in simbiosi con il tempo storico in cui sono sorti, dovrebbero essere lasciati ai libri di storia. Eppure, al tempo stesso, videogiochi come Indiana Jones e l’Antico Cerchio ci dimostrano come a volte basti aggiustare il tiro e cambiare prospettiva per ridare brio, vigore, vita ad una serie che sembrava sul viale del tramonto. Perché sarà pur vero che Harrison Ford ormai non è più credibile nei panni del Dottor Jones, ma nel mondo dei videogiochi non si invecchia mai. E per certi versi si può anche sperimentare molto di più di quanto non sia possibile farlo con una cinepresa in mano.
Lunga vita a Indiana Jones quindi. Magari mettendo già in cantiere il sequel dell’apprezzatissimo Antico Cerchio e lasciando stare, almeno per un po’, l’idea di un ritorno al cinema.
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