Speciale 27 Dic 2024

Indie Soul – Episodio #17

Nuova puntata della rubrica di GameSoul dedicata ai giochi indie

Indie Soul, la rubrica di GameSoul.it dedicata agli indie, ha deciso di farvi un piccolo regalo di Natale, pur con qualche giorno di ritardo. Nonostante l’appesantimento dovuto alle abbuffate con parenti e amici, abbiamo deciso di farvi dono di un nuovo terzetto di giochi che abbiamo esaminato da vicino, così da consigliervi o meno l’acquisto.

In questa puntata vi proponiamo Pine: una Storia di Perdita, titolo malinconico story driven che racconta una toccante e commovente storia. Proseguiremo con Neon Blood, avventura grafica con una spruzzata di RPG ambientata in un futuro cyberpunk. Infine vi parleremo di The Spirit of the Samurai, un action caratterizzato da uno stile grafico molto particolare.

Vi ricordiamo che questi giochi sono disponibili solo in digitale, ma che da GameStop potete acquistare credito per PlayStation Store, Nintendo eShop, Microsoft Store e Steam, in negozio e online.

Ora è tempo di scoprire questo terzetto di indie, con il quindicesimo appuntamento di Indie Soul!



Un videogioco può essere molte cose. Può richiedere abilità, strategia, può essere puro intrattenimento, ma può anche essere solo un mezzo per raccontare una storia. Ed è proprio negli indie, nei giochi che non hanno chissà quale budget per dedicarsi al comparto tecnico, che spesso si sceglie di raccontare, di concentrarsi sull’aspetto narrativo.

Pine: una Storia di Perdita racconta la storia di un falegname, e della sua amata, ormai defunta. La storia dei tanti momenti vissuti nella loro capanna, a ridosso di un bosco, un luogo ormai colmo di ricordi. Troppi.

Nelle circa 3 ore che necessiteremo per completare il gioco, è proprio attraverso i ricordi che rivivremo il loro amore, ricordi che un po’ alla volta verranno scolpiti su delle statuine in legno. Come detto, il protagonista è un falegname e la sua quotidianità è fatta di cose semplici come la coltivazione, la raccolta della legna ed appunto, la realizzazione di opere in legno.

Queste azioni saranno anche il presupposto di un gameplay che è prettamente fatto di gesture, e solo in alcuni casi di veri e propri enigmi, che comunque non metteranno mai a dura prova le vostre meningi.  Il cuore del gioco, se vogliamo, non risiede certo nel gameplay, quanto nell’atmosfera malinconica, che riesce ad arrivare soprattutto grazie ad un buon comparto artistico.

Lo stile grafico è piuttosto semplice, ma non per questo poco gradevole

Lo stile grafico fumettoso e dalle tinte tenui salta subito all’occhio, e fa capire che non si tratta di un gioco qualunque. La colonna sonora, minimale ma allo stesso tempo incisiva, riesce a rendere ancor più triste l’atmosfera.

Quello che però riesce a comunicare più di tutto lo stato emotivo del protagonista è lo scorrere del tempo, la ripetitività delle azioni, quella quotidianità che non è più la stessa ora, e che lascia sempre più segni sul suo viso. Se da un lato questa ripetitività è in qualche modo funzionale alla narrazione, dobbiamo però ammettere che appesantisce non poco il gameplay e l’esperienza generale, che solo nella parte finale riesce a caricarsi di pathos ed uscire dalla monotonia.

Pine: una storia di perdita non lascia indifferenti, e vi rattristerà non poco, soprattutto se vissuto in una certa “intimità” come abbiamo fatto noi su Steam Deck con un buon paio di auricolari. Ma allo stesso tempo non sarà nemmeno quell’esperienza che lascerà il segno. Certo, se amate questo genere di giochi, potreste farci un pensierino, visto che lo trovate su qualsiasi piattaforma, compresi i dispositivi mobili.

Potete acquistare Pine: una storia di perdita su Steam, ma lo trovate anche per tutte le altre piattaforme, dispositivi mobili compresi.

A cura di Pasquale Lello



Neon Blood è il primo videogioco sviluppato dallo studio spagnolo ChaoticBrain Studios: una breve esperienza dalle tinte cyberpunk ambientata nel 2053 che riprende tantissimi tropi del genere, dalle atmosfere sempre cupe e piovose al detective solitario con qualche problema o dipendenza di troppo. Si presenta come un’avvenura grafica e un gioco di ruolo, sebbene di quest’ultimo abbia soltanto i combattimenti e nemmeno troppo sviluppati, ma approfondiremo ogni aspetto con calma.

Nel futuro, ormai poco distante, in cui ci troviamo vestiamo i panni di Axel McCoin, un poliziotto tormentato da costanti emicranie e continue perdite di memoria alle quali tenta di porre un freno con la cosiddetta Spark, una droga che inevitabilmente finisce per dargli assuefazione. Nonostante tutto resta il miglior agente delle forze di polizia, motivo per cui viene coinvolto anche nell’ultimo caso, ossia l’uccisione di diverse persone da parte di una figura nota come Robin Slash. Le vittime paiono tutt’altro che casuali: tutte erano ingegneri e lavoravano per la Nilkorp, attualmente leader assoluta nell’ambito degli impianti cibernetici e sotto il comando di Ruby Emerald, una donna tanto influente quanto senza scrupoli. Tale è il suo potere da tenere in pugno chiunque conti nella società di Viridis, la megalopoli in cui le disuguaglianze sociali sono estremamente evidenti – come poi in ogni opera del genere di riferimento. Diviso tra i suoi problemi, l’urgenza del caso e la necessità in particolare di fare luce su chi sia davvero Robin Slash, Axel dovrà correre contro il tempo per scoprire la verità dietro elementi che solamente all’apparenza sembrano scollegati tra loro e trovare cosa li unisce.

Visivamente Neon Blood è assolutamente uno spettacolo

Neon Blood è un gioco relativamente breve, si completa nel giro di tre o quattro ore, se vi soffermate a parlare con chiunque ed esaminare ogni zona in cui vi troverete a indagare. Nel grande panorama cyberpunk non si può dire che spicchi, complice soprattutto un gameplay che non trae vantaggio dalle sue dinamiche e una storia con spunti interessanti, ma racchiusa in un canovaccio fin troppo limitante per essere espressa a dovere. Nonostante sia un detective, le fasi di investigazione di Axel sono pochissime e tutte guidate, nella loro brevità: non c’è alcuna particolare deduzione da fare, ci pensa sempre il gioco per noi e in generale il gioco sembra prendere troppo alla lettera l’espressione “correre contro il tempo”: tutto si svolge molto in fretta, a volte con soluzioni che un po’ fanno storcere il naso e altre senza soffermarsi a sufficienza su situazioni potenzialmente valide.

Per quanto riguarda il già citato combattimento, si svolge a turni con l’esito degli attacchi stabilito dal fantomatico RNG: a ogni azione offensiva o difensiva di Axel verrà lanciato un dado invisibile, il cui valore massimo aumenta progressivamente con la trama e si può sempre vedere sotto l’indicatore di salute del personaggio, per stabilire i danni inflitti o l’efficacia di eventuali cure. Se anche potrebbe considerarsi una meccanica interessante, pare sia lì per il semplice gusto di esserci, perché Neon Blood non presenta né alcuna progressione del personaggio che non sia determinata dalla storia, né un sistema di level up. Ogni tanto abbiamo questi combattimenti estremamente facili, in cui utilizzare in continuazione la stessa abilità nella speranza di fare quanto più male possibile, che tuttavia danno la sensazione di essere un modo per spezzare, a volte, il loop dell’esplorazione. È un gameplay blando, in tal senso, che non lascia abbastanza la propria impronta sull’esperienza.

Anche l’hud che si attiva durante i combattimenti è piuttosto risicata

Se l’estetica in pixel art riesce a restituire una Viridis convincente, nel proporre un’ambientazione cyberpunk come potremmo immaginarla, l’esplorazione viene valorizzata a stento perché al di là di un paio di cameo e qualche ritaglio di giornale per avere maggior contezza dell’universo narrativo, parlare con i PNG aggiunge al massimo ulteriore contesto. Per essere un GdR, insomma, manca di non pochi elementi come avrebbero potuto essere piccole missioni secondarie qui e lì: l’etichetta sembra sia stata assegnata in virtù della meccanica da lancio del dado durante i combattimenti, data la mancanza di qualunque altro elemento tra aumento di livello e personalizzazione del detective.

Sempre sul piano artistico, un plauso va indubbiamente fatto alle scene di intermezzo animate, che non sarebbe stato affatto male avere in maggiori quantità – ma questo è più un desiderio, non una vera e propria critica. Nel complesso, se Neon Blood funziona benissimo sul piano artistico e anche nel creare un mondo di gioco ricco di potenziale, non riesce a valorizzare questi due aspetti quando poi si tratta di metterli sotto forma di gameplay: troppo corto per la storia che vorrebbe raccontare e blando quando si tratta dei suoi aspetti principali (indagine e combattimento), Neon Blood sembra dimenticarsi di essere un videogioco e, in un panorama vastissimo com’è quello del cyberpunk, non riesce a restituire un’esperienza che lo faccia spiccare anche solo un poco sopra gli altri concorrenti.

Potete acquistare Neon Blood su PSN, Steam e Nintendo e-Shop.

A cura di Alessandra Borgonovo



Il Giappone feudale, si sa, ha sempre il suo fascino, a maggior ragione quando lo si condisce con entità ultraterrene che minacciano, o direttamente distruggono, insediamenti umani. Proprio come succede in The Spirit of the Samurai, avventura a scorrimento orizzontale da parte di Digital Mind Games, al suo debutto nel mondo videoludico. Una scelta, quella di sviluppare un videogioco con protagonista un samurai, soprattutto rischiosa perché in un mercato già complessivamente saturo l’immaginario giapponese lo è se possibile ancora di più. Motivo per cui gli autori hanno cercato un approccio che potesse incuriosire, e non mi riferisco allo scorrimento orizzontale di cui già Trek to Yomi ci ha dato prova, quanto a chi andremo a impersonare nel corso dell’avventura.

Assumeremo anzitutto il ruolo di Takeshi, un samurai che deve proteggere il suo villaggio dall’attacco di un Oni intenzionato a conquistare la terra con il suo esercito di non morti. La mitologia giapponese non manca certo all’appello, fra yokai, mostri non morti e demoni di sorta: c’è, se non tutto, molto di quello che un appassionato potrebbe desiderare ed è declinato in un immaginario orrorifico che lo rende ancora più d’impatto. Se infatti bisogna riconoscere un pregio a The Spirit of the Samurai è proprio nella sua presentazione e nella resa estetica complessiva, sebbene a volte lo scenario sia un po’ troppo carico per permettere al giocatore di vedere chiaramente cosa stia succedendo e reagire a dovere. Nel corso del gioco vestiremo anche i panni del gatto Chisai, fedele compagno di Takeshi, e di un Kodama piuttosto combattivo – capirete giocando il perché – ma anche per loro vale il fatto di essere a volte ostacolati da un’ambientazione tanto ricca quanto intrusiva.

Innegabilmente, in termini artistici il gioco sa il fatto suo

Dove purtroppo il gioco sbatte contro un muro è nel gameplay, ossia nella sua essenza soprattutto se si tratta di un’esperienza dove il combattimento è fondamentale; non che le parti platform siano da meno ma sono in misura minore. Sulla carta, l’idea di permettere al giocatore di personalizzare il proprio stile di lotta sbloccando e impostando le proprie combo è sempre ottimo, tuttavia all’atto pratico l’unico a esserci riuscito piuttosto bene finora è Nioh. The Spirit of the Samurai prova a percorrere un simile concetto di personalizzazione ma compie diversi passi falsi: anzitutto, le combo sono limitate a soli tre colpi (che possono essere veloci, medi e lenti) e soprattutto non c’è soluzione di continuità nel passare dall’una all’altra. C’è un percepibile ritardo tra input e azione, né può venire in soccorso il fatto di utilizzare lo stick analogico destro per prolungare una combo perché, oltre a essere a volte impreciso, non mitiga fino in fondo il fatto che non sia un gameplay fluido in tal senso. Senza poi considerare il fatto che ci sia in generale ben poca reattività nei comandi, anche all’interno della stessa combo, e che i colpi quando vanno a segno spingono il nemico fuori dalla nostra portata facendo sì che i successivi vadano tendenzialmente a vuoto. Non ho mancato di notare, inoltre, che il rilevamento dei colpi è ballerino e spesso il nemico non perde salute.

Questo sistema così approssimativo, la cui supposta profondità finisce in niente quando ci si trova davanti barriere come quelle appena illustrate, viene penalizzato ancora di più dal fatto che Takeshi ha solo tre punti vita: ne perde uno ogni volta che esaurisce la stamina e viene colpito prima di potersi riprendere. In teoria, se non altro, perché qui è dove entra in scena la parte dell’impianto GdR che probabilmente funziona meno di tutte: se il livello di Takeshi è pari o, peggio, inferiore anche solo di uno al nemico allora ogni colpo andato a segno, poco importa la stamina residua, ci costerà un punto salute. Similmente, se noi saremo più alti di livello rispetto al nemico, questi non infliggerà un danno completo e potremo subirne di più. C’è disparità da ambo i lati, a nostra favore come no, ma si manifesta in modo evidente quando siamo noi in svantaggio poiché è estremamente facile, combinando tutte le incertezze di cui sopra, trovarsi uccisi da nemici comuni come potrebbero essere i Tengu oppure da una commistione di forze tra vari nemici (compresi gli infami arcieri che scagliano frecce imparabili – possiamo evitarle abbassandoci – da fuori lo schermo). C’è in generale una certa confusione in un sistema che forse sulla carta aveva un altro sapore, mentre messo all’opera mostra tutti i suoi punti deboli, di cui la mancata fluidità è forse il peggiore.

Lo stesso sistema di incremento delle statistiche è passibile di migliorie, non tanto per come queste vengono aumentate quanto per l’inutilità di Arco e Destrezza, che non portano a nulla e sarebbe meglio evitare in fase di potenziamento di Takeshi. Alzare Forza e Resistenza basta a rompere il gioco, o quantomeno avvantaggiarsi sulla sua generale farraginosità.

Per affascinante dunque che può essere, grazie a un’estetica indubbiamente ispirata e all’animazione in stop motion, The Spirit of the Samurai ha messo sul piatto del gameplay troppi elementi e troppo poco curati per restituire l’esperienza che avrebbe voluto. Gli sviluppatori stanno ascoltando i feedback dei giocatori e lavorando per migliorarlo passo dopo passo, il che è ottimo e potrebbe portare il gioco a essere molto più gestibile in futuro.

The Spirit of the Samurai può essere acquistato sia su Steam, che su Epic Games Store.

A cura di Alessandra Borgonovo

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