17 Ago 2018

Inside – Recensione

Dopo il meritato successo di Limbo sia ai suoi albori sia recentemente su Nintendo Switch, anche il secondo titolo nel catalogo Playdead conquista senza troppa fatica il suo spazio sulla console ibrida della grande N. Il monocromatico Inside è stato pubblicato nel 2016 e già allora abbiamo dedicato parole di elogio a un videogioco in grado di portarsi a casa la nomea di miglior titolo indipendente dell’anno, trovando concordi molti siti del settore al punto da meritarsi anche un premio come migliore direzione artistica e videocamera all’interno di un motore di gioco.

Tutto questo nel solo 2016, come abbiamo specificato, ma cosa dire del porting Switch pubblicato a fine giugno quest’anno? Mettetevi comodi perché ci aspetta un altro viaggio, seppur breve essendo il gioco rimasto inalterato nei suoi aspetti, all’interno del bizzarro, inquietante e comunque al tempo stesso toccante mondo di Inside – così accomunato a Limbo sotto moltissimi aspetti da poter essere considerato il suo seguito spirituale.

Ancora una volta il protagonista è un ragazzino senza nome in fuga fin dal momento in cui cominciamo la nostra partita. Cosa lo spinga a scappare è un mistero ma presto si troverà a dover attraversare un’ambientazione cupa, surreale, pericolosa, dove cani feroci, scienziati pazzi, onde sonore capaci di far esplodere il corpo e sirene sono solo alcuni dei letali ostacoli che cercheranno di fermare il giovane protagonista.

L’avventura in 2.5D si apre con lui che arranca nell’oscurità, scivola giù lungo una collina e piomba in una pozza di acqua fetida: la tensione si percepisce dunque fin dall’inizio ma è destinata ad aumentare mano a mano che il viaggio prosegue. Edifici distrutti, foreste decadenti e fabbriche che intimidiscono solo con la loro massiccia imponenza aspettano solo di accogliere il coraggioso ragazzo, fagocitandolo in uno scenario d’incubo nel quale nessuno vorrebbe trovarsi.

La direzione artistica e la grafica sono semplicemente stupende: i toni dal grigio scuro al nero permeano ogni centimetro di Inside ma permettono ugualmente di vedere cosa stia succedendo sullo schermo. L’atmosfera è palpabile, con il pericolo pronto ad aggredirci dietro ogni angolo prendendo forme diverse ogni pochi minuti. L’assenza di musica non fa che dare valore all’estetica bellissima e surreale, mentre i diversi effetti sonori concorrono a scandire l’atmosfera.

Accanto ai pericoli costantemente mutevoli di questo mondo macabro, le meccaniche di gioco cambiano e si adattano: laddove il concetto di fondo degli enigmi e delle sfide affrontati dal ragazzo sia riconducibile ai semplici concetti di fisica e tempistica, il mondo nel quale ci sono serviti varia. Per esempio, durante le fasi iniziali del gioco basta spingere o tirare oggetti per raggiungere punti elevati o lontani, tuttavia tanto più ci addentreremo nell’avventura e più i metodi di risoluzioni diventeranno elaborati – scanditi anche da prove a tempo. Questa continua variazione e gli ingegnosi, brutali modi con cui il protagonista può perdere la vita mantengono il gioco fresco, evitando la fastidiosa sensazione di ripetere in continuazione la stessa cosa.

Inside è un viaggio che vale la pena intraprendere ancora una volta

Sebbene Inside abbia compiuto ormai due anni (pochi, se si pensa che il porting di Limbo è arrivato molto tempo dopo la sua pubblicazione originale), la versione Switch non è altro che spettacolare. Nelle poche ore richieste per completare l’avventura, il gioco è proseguito liscio: niente singhiozzo, nessun problema tecnico né bug. In modalità docked c’è il vantaggio di un maggior impatto a livello artistico e d’immagine rispetto al piccolo schermo della console, che proprio come con Limbo non riesce a gestire alla perfezione i neri rimandando spesso al giocatore il suo stesso riflesso. Non toglie nulla al fatto che anche nativo sull’hardware il gioco sia bello a vedersi ma si nota la differenza fra le due possibilità di fruizione.

Conclusioni

Inside è brevissimo, sì, tuttavia si tratta di un viaggio che vale la pena compiere. Lo stile artistico toglie il fiato, mentre il gameplay è unico e divertente grazie ad alcuni enigmi e persino nemici in grado di farci riflettere attentamente sulla mossa successiva, sia essa per trovare la soluzione o fuggire senza il rischio di morire.

Se poi durante il vostro percorso riusciste a trovare, in una singola partita, tutte le sfere opportunamente nascoste in punti difficili da raggiungere potrete attivare il finale alternativo: un’aggiunta senza dubbio gradita ma non abbastanza da motivare una seconda partita, lasciando dunque il livello di replay value molto basso. Detto questo, il titolo è un’ottima rivisitazione di un gioco che come il suo predecessore va ad arricchire la libreria Switch con un prodotto di assoluto pregio.

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