Le premesse di JETT: The Far Shore non sono troppo innovative, né così lontane dalla realtà: il pianeta della protagonista, l’anacoreta Mei, è sull’orlo del collasso, e il suo popolo è costretto a setacciare le stelle alla ricerca di una nuova casa. Tutto cambia quando un’Onda Maestra, un misterioso segnale giunto da un lontano pianeta, li invita ad approdare sulla Sponda Lontana, un potenziale indiziato dove dare una seconda chance all’umanità.
Il luogo, apparentemente ospitale ma selvaggio, era già stato esplorato in passato dal primo anacoreta, Tsosi, divenuto un vero e proprio eroe celebrato nelle Saghe, ma spetta a un manipolo di Scout prescelti, capeggiati da Jao e tra cui figura anche Mei, recarsi lì, rischiare la vita, trovare rifugi e valutare tutti i possibili pro e contro.
A rendere particolare la seconda opera dei Superbrothers (già autori di Sword & Sworcery EP), coadiuvati dal team nipponico Pine Scented Software, è altro: sono i momenti onirici vissuti attraverso gli occhi della protagonista, il gameplay atipico e curioso, ma soprattutto, la sua capacità di trasmettere realmente la sensazione di essere un pioniere su un pianeta avverso, costretto a eseguire i processi empirici più basilari per comprenderne i fenomeni e sopravvivere quanto più a lungo possibile. Il risultato è un mix di sensazioni, non tutte positive, ma una cosa è certa: JETT: The Far Shore è uno di quei giochi che fa bene al medium, al di là del voto alla fine della recensione o di certe considerazioni squisitamente ludiche.
Il racconto viene portato avanti tramite dialoghi con il compagno di viaggio, Isao, e con il resto del team, tra medici, ufficiali e direttive letteralmente dall’alto, oltre l’atmosfera, da cui Jao ci impartisce i suoi ordini. Ma anche tramite momenti a terra, nella Base Scout, o nella mente di Mei, le cui visioni sono fonte di studio e preoccupazione. Il fulcro dell’esperienza però è a bordo del Jett, astronave veloce e scattante con cui ci muoveremo sulla superficie del pianeta e sui suoi vasti oceani, ma scordatevi le solite meccaniche di spara-spara: il popolo pacifista della protagonista ripudia lo scontro diretto.
JETT: The Far Shore è uno di quei giochi che fa bene al medium
Le uniche armi a disposizione, per così dire, sono altre: un arpione, con cui afferrare gli shing, che se accumulati possono ripristinare la salute del nostro velivolo, o pezzi di resina dai vari utilizzi (non vogliamo entrare troppo nel dettaglio per non rovinarvi il piacere della scoperta); dei fari, con cui illuminare piante e creature e assistere a ogni possibile, spontanea reazione; ma soprattutto un risonatore, perché sapere è potere, e questo scan ci darà utili informazioni su tutto ciò che ci troveremo davanti. Il primo contatto servirà solo a dare nozioni super-basilari, e per saperne di più, dovremo trovate e analizzare altri esemplari: una meccanica sensata e coerente, che nel bel mezzo di una minaccia ci lascia genuinamente in preda al panico, non sapendo come reagire, e costringendo a una fuga rocambolesca e a un nuovo contatto, più consapevoli e sicuri che mai.
Il vero protagonista però è il pianeta stesso: tutto ciò che ci circonda, infatti, ha un impatto su di noi, e viceversa. E il più delle volte, è la nostra interazione con lo stesso, o tra due elementi su nostro input, a innescare reazioni e processi con cui realizzare i nostri obiettivi. Gran parte delle creature incontrate saranno innocue e potremo sfruttarle a nostro piacimento, una volta scoperto che per sbarazzarci di una dovremo fare in modo che si incontri con un’altra, lasciando che la natura segua il suo corso. Strane radici, interagendo nel modo giusto, portano a reazioni sorprendenti; in un’occasione particolare, una versione differente delle stesse, poteva essere attivata solo dalla scarica elettrica generata da una creatura avversa, da attirare attivando e disattivando gli Scramjet, le propulsioni del nostro Jett, necessari per andare più veloci ma in grado di infastidire la fauna locale.
Il vero protagonista è il pianeta stesso
A proposito di velocità, anche il semplice movimento è regolato da una meccanica un po’ fastidiosa, ma anch’essa coerente: spingere troppo l’acceleratore e il Jett stesso (con salti e barrel roll) sovraccaricherà il motore, da lì la necessità di dosarlo al meglio, o di assorbire il vapore generato da geyser e fumarole sparse qua e là per le varie isole del pianeta. Avanzando nell’avventura, potrete anche immagazzinarlo e sfruttarlo come arma di distrazione, stordendo o facendo addormentare un pericoloso inseguitore. La fisica del Jett, peraltro, è strana e richiede molta pratica per essere padroneggiata come si deve, ma anche a fine gioco ci è capitato in più occasioni di impantanarci, o di bloccarci, o di impiegare più del dovuto a realizzare curve e manovre. Quando va tutto liscio, in compenso, è davvero un piacere vederlo sfrecciare tra mura ghiacciate, foreste, guadi di fiumi, canyon, mentre i soundscape realizzati da Scntfc per la splendida colonna sonora ci avvolgono in un caldo abbraccio.
Almeno fino al crepuscolo, quando i raggi emessi dal monte Tor, nostra meta iniziale, non ci travolgeranno, costringendoci a cercare un rifugio per la notte, o uno temporaneo, all’ombra di qualche albero o di una montagnola. Il pianeta non è così ospitale come pensavamo, e oltre a creature di varie dimensioni, alcune minuscole e innocue, altre più visibili e massicce, ci saranno anche i Koloss, entità immense con cui ci ritroveremo a che fare in varie circostanze.
Anche qui non vogliamo entrare troppo nel dettaglio per non rovinare la sorpresa, ma non possiamo negare che a gioco terminato, la sensazione è che queste creature, così come tanti altri elementi, narrativi e non, non siano stati sfruttati a dovere. Il messaggio di Jett e forte e chiaro, nonostante alcuni momenti più onirici ed ermetici, ma in più frangenti, e in particolare nel finale sbrigativo e raffazzonato, si ha come la sensazione che i due team di sviluppo si siano interrotti sul più bello con le idee e con il coraggio, offrendo così un’esperienza meno soddisfacente e segnante di quanto sperassimo.
La sensazione è che tanti elementi, narrativi e non, non siano stati sfruttati a dovere
Lato artistico nulla da recriminare, in compenso: il sonoro, come anticipato, è splendido, e la grafica, nella sua rozzezza poligonale, riesce comunque ad ammaliare, grazie ai panorami della Sponda Lontana, ai vari biomi di cui è composta, ma anche allo stile artistico di opere e libri incrociati nel nostro cammino. Ottimo anche il supporto al DualSense, sia ai grilletti adattivi, con la retromarcia più pesante e faticosa rispetto all’accelerazione, sia al feedback aptico, con vibrazioni che scandiscono le varie fasi del volo. Peccato solo per qualche calo di frame-rate, anche su PS5, paradossalmente però nei momenti più lenti e narrativi, meno nelle sequenze più adrenaliniche.
JETT: The Far Shore è un gioco unico, imperfetto ma al contempo imprescindibile per il medium tutto: dimostra che c’è altro oltre lo spara-spara fine a se stesso, e che si possono aggirare certe dissonanze tra ciò che si racconta e ciò che si spinge il giocatore a fare. La sua stella polare è la coerenza e da quel punto di vista, l’obiettivo è indubbiamente centrato: pad alla mano, ci si sente per davvero come uno studioso spaesato al primo contatto con un pianeta alieno e inospitale. Al contempo però, limiti ludici e produttivi gli impediscono di spiccare il volo, tra una certa frustrazione nel movimento del Jett per via della sua fisica, qualche problemino tecnico, e la sensazione di incompletezza che traspare dalla storia e da certe meccaniche. |
Commenti