Just Cause 4 recensione
05 Dic 2018

Just Cause 4 – Recensione

Dicembre è arrivato, e non c’è solo Babbo Natale a solcare i cieli: torna infatti il nerboruto ed esplosivo Rico Rodriguez, il signore delle bombe, il duro a morire più duro dei duri stessi. Prima di addentrarmi nel descrivervi cosa ha combinato questa volta il nostro sborone volante, devo fare un distinguo fra i lettori interessati a questa mia recensione, che sono sostanzialmente di due tipi: quelli che non hanno idea di cosa sia Just Cause e quelli che invece sanno benissimo cosa significa sentirsi Demolition Man fatto pixel.

Per i primi farò una breve ma esaustiva parentesi su quello che il nuovo titolo di Avalanche Studios porterà sui vostri schermi: Just Cause è una serie videoludica molto famosa e apprezzata, che segue le vicende di un uomo che potrebbe essere facilmente definito “il protagonista più tamarro della storia del videoludo”, e il perché di questa colorita descrizione è presto detto. Sostanzialmente Rico è famoso perché detona le cose e accoppa i dittatori: fa esplodere auto, aerei, case, palazzi, carri armati e persino persone dal 2006, quando il primo capitolo di Just Cause debuttò su tutti i sistemi.

La serie è conosciuta per il suo esplosivo parco giochi, solitamente un ambiente open world dove il nostro eroe, sempre più somigliante agli immortali eroi d’azione anni ’80, la farà pagare al cattivo di turno distruggendo letteralmente il suo intero esercito del male. Oggi, dopo 12 anni, Rico è tornato: lo abbiamo visto l’ultima volta un paio d’anni fa, dopo che aveva appena deposto il tirannico leader dell’isola di Medici, Sebastiano Di Ravello. Liberata la sua patria natia, Rico è andato alla ricerca della Mano Nera, un’organizzazione segreta che teneva le redini della già conosciuta eDEN Corporation. E indovinate un po’, il nostro eroe non ha faticato a trovare il covo della Mano Nera nella sudamericana isola di Solís, governata col pugno di ferro da Gabriela Morales, una dei capi di questa sinistra organizzazione paramilitare.

Just Cause 4 Recensione

Le premesse non sono delle più complicate, e in effetti non c’è bisogno di fronzoli narrativi particolarmente complessi per dare vita al mondo di Just Cause 4: dopo pochi minuti su Solís infatti sarete già in giro per i cieli ad acchiappare oggetti e persone col vostro rampino e a far esplodere tutto quello che vi si parerà davanti, in maniera così sbruffona che nemmeno i film di Michael Bay ai tempi d’oro. Il divertimento offerto da Just Cause 4 sta proprio in questa sorta di “modalità distruttiva a mente zero” che richiede pochissimo impegno cerebrale e un po’ di abilità con lo stick per permettere al nostro Rico di spaccare tutto senza pietà. Inutile dire che se state cercando una ventata di novità o una rivoluzione in quella che è una serie sostanzialmente fedele a sé stessa, Just Cause 4 non farà per voi. La nuova iterazione del franchise infatti segue la classica formula del “bigger, better, stronger”, riproponendo tutto quello che abbiamo già visto in Just Cause 3 in una mappa più grande e con un arsenale ancora più vario (e distruttivo).

Detto ciò addentriamoci nel gioco: la minaccia principale di questo nuovo capitolo di Just Cause arriva proprio dal cielo. Saranno infatti i fenomeni meteorologici ad essere messi sotto i riflettori, grazie al terrificante dispositivo di controllo atmosferico noto come Progetto Illapa. Ovviamente questo orrore tecnologico è in mano alla Mano (perdonate il gioco di parole) Nera, e sotto il diretto controllo di Gabriela. Il nostro compito sarà quindi quello di distruggere questa terribile organizzazione segreta, e per farlo potremo contare su di un nutrito numero di gadget, pistole, fucili e bombe. Ma andiamo con ordine. La tuta alare di Rico ha mantenuto invariate le meccaniche rispetto a Just Cause 3, permettendoci di planare facilmente nell’arboreo paesaggio di Solís. Piccola nota: se vi aspettavate la versione potenziata della wingsuit vista nell’espansione “Sky Fortress” di Just Cause 3, rimarrete delusi. La tuta “motorizzata” che vi permette di decollare come farebbe Iron Man non è presente, o meglio lo è, ma solamente per tutti i coloro che hanno prenotato la Gold Edition di Just Cause 4.

Dopo pochi minuti su Solís infatti sarete già in giro per i cieli a far esplodere tutto

Sul paracadute c’è ben poco da aggiungere: presente sin dal “vecchio” Just Cause 2, questo gadget permette a Rico di planare molto più lentamente, dando al giocatore il tempo di mirare e sparare in contemporanea (e fidatevi, non è cosa da poco data la velocità di movimento del nostro protagonista in Just Cause 4). Il miglioramento più evidente l’ha avuto invece il rampino, che è diventato una specie di coltellino svizzero dei gadget a disposizione di Rico.

A differenza della iterazione precedente, questo versatile strumento ora è disponibile in ben tre versioni che verrano sbloccate man mano che procederemo con la trama principale del gioco. Sostanzialmente questa versione evoluta del rampino è in realtà tre strumenti in uno: abbiamo il booster, la versione classica che abbiamo amato in Just Cause 3; poi c’è il meccanismo di riavvolgimento, che permette a Rico di unire due oggetti (o persone) e di avvicinarli fra di loro, creando strambe ma esplosive combo; infine una specie di strumento sollevatore, che fa un po’ quello che faceva Snake in MGS V, ovvero agganciare a oggetti, animali e persone a un pallone aerostatico che prenderà il volo subito dopo l’applicazione.

La forza di questo rinnovato gadget è indubbiamente la personalizzazione e l’imprevedibile caos che è in grado di scatenare: Rico potrà infatti configurare attraverso un’apposita interfaccia le varie opzioni offerte dal rampino, come intensità e direzione di booster e riavvolgitore, altezza del pallone, temporizzazione e personalizzazione di aggancio ed effetto e così via. Just Cause 4 permette al giocatore di sbizzarrirsi con questi tre gadget, che già da soli potrebbero valere il prezzo del biglietto: immaginate di attaccare un razzo booster ad una bombola di propano alla quale avete precedentemente incollato un nemico grazie al riavvoglitore e vedere il malcapitato decollare e prendere in pieno un elicottero in volo come nemmeno Schwarzenegger nella scena finale di True Lies. O iniziare a sparare capre in cielo con il sollevatore, giusto perché è possibile farlo e perché potrebbero dare parecchi fastidi agli elicotteri nemici. Ecco, questa è la vera essenza di Just Cause 4: un gameplay sostanzialmente sandbox dall’elevato potenziale creativo/distruttivo che concentra tutto sulla fisica del gioco e le centinaia di interazioni possibili con l’ambiente.

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Just Cause 4 infatti è un enorme parco giochi dove il giocatore è chiamato a devastare e distruggere il più possibile, oltre che a correre senza freni su qualunque veicolo sul quale riesca a mettere le mani. Dov’è il problema allora? Beh, principalmente il grosso del divertimento che il gioco dà all’utente è proprio tutto lì: la storia funge quasi da contorno, non riuscendo mai, nemmeno una volta, ad essere imprevedibile o avvincente. Inoltre i personaggi sembrano una continua reiterazione di alcuni archetipi già visti nelle precedenti interazioni del franchise.

Se devo dirla tutta, non mi è rimasto in mente praticamente nessun personaggio, perché sia la sceneggiatura che la caratterizzazione sono decisamente sottotono, quasi piatte. Sembra che gli antagonisti e i gregari siano scritti come mere comparse e per dare sostanzialmente a Rico una giustificazione (giusta causa, appunto) per fare ciò che fa. Ma diciamocelo, nessuno acquista Just Cause per una trama impegnata o per interagire con personaggi profondi e complessi; tuttavia mi sarebbe piaciuto vedere un piccolo cambiamento in una serie che ripropone una formula praticamente invariata da qualche anno a questa parte.

Just Cause 4 ci mette di fronte a 31 territori da liberare dal giogo della Mano Nera, battaglia dopo battaglia: dovremo infatti dirigerci al fronte e aiutare l’esercito di liberazione a riempire di botte quello dei gran cattivoni. Operazione veramente caotica e divertente a suo modo, che vedrà Rico impegnato a far saltare torrette, rubare carri armati ed elicotteri, bombardare basi e fare fuori praticamente qualsiasi cosa si muova. Tuttavia il divertimento delle primissime incursioni tenderà a scemare dopo che avrete conquistato dieci o quindici territori, e la ripetitività renderà anche questa specie di “modalità conquista” una mera operazione di routine. Un’altra cosa che proprio non va in questa produzione è l’intelligenza artificiale dei nemici, che non sono null’altro che semplici pupazzi che devono arrivare addosso a Rico per scaricargli tutto il piombo possibile, senza esaurire mai le munizioni e senza ovviamente pensare. Sì, perché vi capiterà di vedere NPC correre contro i muri come nel ’96, elicotteri e aerei che cadono da soli perché non vedono alberi o palazzi (!!!) e gente che, più in generale, si schianta contro guard-rail e pali della luce di propria sponte, manco fossimo in uno di quei video di fail su YouTube.

Mi sarebbe piaciuto vedere un cambiamento in una serie che ripropone da anni una formula praticamente invariata

Fortunatamente le missoni principali (e quelle secondarie) offrono abbastanza varietà da tenerci impegnati per una ventina di ore scarse, nelle quali potrete assistere a tutto il potere del progetto Illapa: un dispositivo di controllo atmosferico che vi regalerà infatti alcuni dei momenti più spettacolari del gioco, grazie a tempeste, tornado e fenomeni naturali che mettono in mostra le capacità del nuovo Apex Engine di Avalanche. Vedere gli effetti della furia della natura sugli edifici e sui veicoli di Solís è forse una delle migliori feature di questa nuova iterazione di Just Cause, e vi farà sentire davvero un semidio in lotta contro la furia degli elementi.

Le missioni secondarie sono invece gestite da tre personaggi non giocanti: Sargento, Javi e Garland, che aggiungeranno un po’ di varietà alla campagna principale dandoci nuove motivazioni per esplorare l’isola e scoprirne gli eventuali segreti. Completare le side quest darà accesso a vari miglioramenti (come quelli per il rampino, ad esempio) che spingeranno il giocatore a cercare di addentrarsi ancora di più nel mondo costruito da Avalanche Studios. Anche in Just Cause 4 fanno il loro ritorno i rifornimenti, ovvero la possibilità di sbloccare e ricevere praticamente qualsiasi tipo di veicolo o arma direttamente sul campo. Dal menù di gioco potremo infatti richiedere l’arrivo di un trasporto che ci lancerà tramite paracadute tutto quello di cui avremo bisogno, e fra armi bizzarre e veicoli improbabili vi assicuro che c’è da sbizzarrirsi.

Già, perché nell’arsenale di Rico saranno presenti fucili che sparano vento e fulmini, aerei di linea, caccia monoposto, carri armati, limousine, vespe e chi più ne ha più ne metta. Il cooldown fra un rifornimento e l’altro diminuirà man mano che andremo avanti a liberare territori e a completare missioni, il che significa che verso l’endgame saremo in grado di armarci peggio di Rambo per l’assalto finale alla Mano Nera.

Tecnicamente invece l’ultimo lavoro di Avalanche Studios mi ha lasciato piuttosto perplesso: da una parte è evidente l’incredibile livello di dettaglio del mondo di gioco, specie se visto dall’alto, nonché tutta la gestione fisica degli oggetti che praticamente non ha rivali in nessun altro titolo open world; dall’altro lato però abbiamo evidenti cadute di stile sulle texture di fogliame e personaggi, senza contare i modelli poligonali non proprio precisi e spesso davvero sottotono (specie quelli dei personaggi non giocanti generici). Insomma, Just Cause 4 è un gioco che ha un’inaspettata dualità tecnica: un prodotto in grado di lasciare a bocca aperta per il suo livello di distruzione ambientale gestito dall’Apex Engine e contemporaneamente di far storcere il naso per la realizzazione dei personaggi principali e dei dettagli a livello del suolo. Anche ombre e antialiasing non hanno stupito in particolar modo, e spesso mi sono ritrovato davanti a qualche bug e crash in generale. Nulla da dire invece per il comparto audio, che fa il suo lavoro portando a casa una buona performance: il doppiaggio italiano si assesta su ottimi livelli, anche se risulta decisamente meno caratteristico rispetto alla controparte anglosassone.

Conclusioni

Rico Rodriguez è tornato, più tamarro e spaccone che mai. Il suo nome oramai è scolpito a suon di cannonate nell’olimpo videoludico degli eroi duri a morire, e anche Just Cause 4 contribuisce a questo mito portandoci un altro gioco che fa del sandbox e dell’esperienza distruttiva il suo punto forte. L’isola di Solís è spettacolare da vedere e da spaccare, ma la trama dell’ultimo lavoro di Avalanche Studios fallisce nell’essere interessante e coinvolgente. Ancora una volta quindi ci troviamo di fronte a un titolo che fa del gameplay il punto di interesse primario per il giocatore, che troverà nel caos “a mente zero” di Just Cause 4 un valido passatempo per una ventina di ore.

Peccato per un comparto tecnico da montagne russe: si passa dalle vette che l’Apex Engine raggiunge gestendo il crollo di interi edifici sotto tempeste e fulmini, ai bassi relativi alle texture e ai modelli dei personaggi che mi hanno fatto storcere il naso più e più volte. Di cose da fare a Solís ce ne sono tante, ma la ripetitività è sempre dietro l’angolo e alla fin fine vi costringerà al classico giro in volo per spaccare tutto. Ma d’altronde questo è Just Cause, e va anche bene così.