Ad esempio, volessimo colpire il tronco del nostro avversario con un fendente da destra a sinistra basterà selezionare il punto di impatto e la “punta” destra del cursore. Gli attacchi, per ovvie ragioni, non saranno fulminei, garantendo in questo modo un minimo lasso di tempo per parare il colpo nemico – anche se lo ripetiamo, alle prime partite è difficile anche solo intuire la provenienza della spadata nemica: tuttavia, si tratta di un controllo godibile e, a patto di allenarsi a modo, divertente, un’interessante alternativa ai classici meccanismi attacca/para/schiva che ripudia in toto ogni forma di button mashing, per lasciare spazio ad una lotta più ragionata. Il che non significa certo rinunciare alla spettacolarità: tra combo e attacchi speciali, infatti, il nostro Henry ha di che divertirsi.
[adinserter block=”1″]
Un ruolo tutto tranne che secondario tocca alle armature – il che stupisce fino ad un certo punto, vista l’attenzione maniacale degli sviluppatori. In Kingdom Come, infatti, la statistica della vita di ciascun personaggio parte da un valore comune che non può essere modificato direttamente. Tuttavia, a far pendere l’ago della bilancia sarà proprio la bontà del nostro equipaggiamento, che se opportnamente bilanciato in quelle che sono le sue statistiche principali (peso, resistenza o forza) permetterà di resistere – in qualche modo – anche ai fendenti avversari più critici. Ancora una volta l’attenzione ai dettagli è al limite dell’enciclopedico: tra maglie in cotta da mettere sotto l’armatura, guanti e altre diavolerie non sempre visibili in combattimento il titolo offre quasi due dozzine di slot per personalizzare al massimo gli strati dell’armatura del nostro PG. Il che, chiaramente, rende ancora più tattico l’approccio al combattimento in relazione al nemico che ci si para davanti.
Se Kingdom Come: Deliverance ha sbancato il botteghino su Kickstarter, a ben vedere, un motivo ci sarà stato. E in questa gamescom ce ne siamo potuti accorgere stringendo il pad tra le mani: nulla, ma proprio nulla è lasciato al caso. Dando dimostrazione di un’attenzione e una cura di proporzioni quasi inedite per un prodotto dedicato all’intrattenimento digitale, Warhorse Studios sta portando (un po’ lentamente) alla luce una summa teologica giocabile di quello che era il medioevo nella Boemia del 1400: una lunga serie di combattimenti (veri) e ingiustizie, borghi rasi al suolo in un continuo stridere di spade e scorrere di sangue. Nulla, se non la storia del nostro alter ego Henry, è priva di un riscontro reale o di un qualcosa che ne documenti l’effettiva esistenza: dalle battaglie più o meno famose del tempo alle cattedrali immerse nel verde, sino ai borghi o ai Castelli dei Signori.
Ma i 16 chilometri quadri di mappa di Kingdom Come: Deliverance rappresentano soltanto l’inizio di questo Action-RPG: il piatto forte è chiaramente lui, un combat system ai limiti della simulazione. Difficile da imparare e difficilissimo da padroneggiare, il duello a suon di spade nel 1403 richiede al giocatore un periodo di warm up magari non lunghissimo, ma nemmeno istantaneo. Servono tattica, riflessi e una gran dose di intuito per affondare la lama nelle carni dello sventurato che ci si pone davanti. Ma fidatevi quando vi diciamo che, nell’osservare il suo sangue che si mescola alla polvere, sentirete in voi un brivido di soddisfazione. E anche se nel vostro salotto non avrete un destriero che impenna in onore delle vostre gesta eroiche, finirete per sentirvi un po’ cavalieri. E non è affatto una brutta sensazione.
Commenti