Kingdom Come: Deliverance
17 Giu 2016

Kingdom Come: Deliverance – Anteprima E3 2016

Los Angeles – Veder crescere un progetto al quale tieni particolarmente è sempre un’emozione fortissima: lo vedi nascere con grezze e acerbe Alpha, accogli ogni piccola novità con trepidazione, e te lo ritrovi prossimo alla maturità in fase Beta, cresciuto e bellissimo, pronto a conquistare il mondo. Ricordo ancora il primo contatto con Kingdom Come: Deliverance dei ragazzi di Warhorse Studios: un divanetto, un grande schermo, e un nerboruto Daniel Vávra pronto a rispondere a qualsiasi domanda, con lo stesso fervore di un giovane sviluppatore alle prime armi, nonostante la lunga esperienza alle spalle (con la serie Mafia).

All’epoca avevano solo il combat system da mostrarmi, oltre ad una (nonostante tutto promettente) accozzaglia di bug: legnoso e lento come un macigno, eppure così profondo e dal potenziale mostruoso, per via dell’estrema precisione con la quale il team ha studiato il vero combattimento dell’epoca, per non vanificare il tutto con un mero clicking selvaggio. Alla gamescom vennero fuori i primi dettagli sulla sete di vendetta di Henry, il protagonista, cosi come sulle generose dimensioni della mappa del primo capitolo.

Con il gioco ormai in fase beta, l’uscita prevista per l’anno prossimo e un approdo già messo in conto su PS4 e Xbox One, Kingdom Come: Deliverance è pronto a mostrare i suoi artigli nuovi di zecca, ma data la mole immane di contenuti previsti, il team ha preferito nuovamente concentrarsi su singoli aspetti, con il solo scopo di ribadire l’estrema fedeltà e il preciso realismo che Kingdom Come: Deliverance trasuda da ogni pixel. In questo nuovo incontro, che ha visto lo stesso divanetto e la stessa stanzetta del Convention Center dello scorso anno, non è cambiato solo il nostro interlocutore (il sempre disponibile PR Manager del team ceco, Tobias Stolz-Zwilling): il codice di gioco è estremamente pulito, tutta un’altra storia rispetto a quell’Alpha di un tempo, per certi versi inguardabile e ingiocabile. Il mondo di gioco, che riproduce fedelmente una ricca porzione della Boemia (dove sono collocati gli uffici dello studio) del 1403, è più vivo e brillante che mai, con alberi, strade, fattorie, manti erbosi e strutture ricche di dettagli. Ci viene mostrato un monastero, teatro della missione protagonista della presentazione, in un confronto tra il reale e il virtuale: la replica ha del maniacale, è morbosa, capillare, degna di folli, a tal punto da aver fatto guadagnare ai ragazzi di Warhorse Studios la stima incondizionata degli abitanti del luogo e dei monaci stessi per la loro opera di conservazione della memoria storica.

archery

Prima di addentrarci nel complesso e articolato sistema di questing, ci viene mostrato un po’ piu nel dettaglio l’inventario, oltre che l’importanza cruciale dell’equipaggiamento, mai come prima d’ora in un videogioco fedele alla realtà e fondamentale ai fini dell’esperienza, ben lontano dall’essere un mero orpello estetico. Nei 16 slot disponibili, il giocatore potrà combinare nel modo che preferisce le singole componenti della sua armatura, l’unica e inossidabile alleata di questa violenta epopea. Le tipologie di materiali, merito della complessità e della precisione del motore fisico, hanno un peso specifico nella dimensione degli scontri, appesantendo e affaticando il giocatore, portandolo a stancarsi più facilmente e a lasciare il fianco agli attacchi avversari più frequentemente, o rendendolo più rumoroso, vanificando così eventuali approcci silenziosi.

Sarà ben visibile sul proprio avatar l’aumento degli strati di vesti e tessuti, così come sul cavallo, anch’esso influenzato in vari modi (e personalizzabile con drappi pregiati), ma anche le condizioni della stessa avranno una certa influenza sul gameplay: una corazza ammaccata ci farà apparire come deboli poveracci, e ridurrà il nostro carisma, mentre una sporca di sangue terrorizzerà i nostri interlocutori, con le dovute conseguenze. La libertà di personalizzazione e di equip sarà estrema, ma come avrete ormai capito, nulla andrà lasciato al caso, e persino gli stemmi presenti sulle singole parti di armatura avranno un loro significato, rendendo le cose più (o meno) semplici al giocatore: indossare un’armatura mal vista in una certa città e nascondere il proprio volto o non godere di alcuna fama attirerà le attenzioni di altri cavalieri, mentre l’andare in giro con il volto scoperto potrebbe salvarci la pellaccia in più di un’occasione. Al contempo, con il “look” giusto, potremo illudere i nostri interlocutori, e persino indurli ad aiutarci in missioni destinate a danneggiarli, o a soccorrerci in battaglia.

Kingdom Come: Deliverance

La cosa vale anche durante i combattimenti: ogni armatura, in base ai materiali, richiederà le giuste armi. Un’armatura pesante non verrà minimamente scalfita da una spada, la quale al massimo permetterà di far stancare l’avversario, mentre una mazza ferrata la comprimerà, colpo dopo colpo, come se fosse una lattina di Coca Cola, rompendogli le costole. Al contempo, basterà un colpo ben assestato sulla testa ad un nemico senza elmo per mandarlo istantaneamente al Creatore, e paradossalmente, colpire sulla testa un nemico nudo con indosso il solo elmo, non ci porterà da nessuna parte.

Ci sono il (buon) senso e la coerenza alla base di ogni gesto in Kingdom Come: Deliverance, non statistiche e variabili invisibili, intangibili e a discrezione degli sviluppatori associate a questo o a quell’oggetto. Il lavoro svolto da Warhorse Studios è certosino e maniacale, e segue tale filosofia anche nell’approccio alle missioni, che non saranno dei semplici “Vai da punto A a punto B”, ma richiederanno uno sforzo extra come raramente visto in un videogioco. Nella demo E3, l’obiettivo era quello di eliminare uno specifico individuo: non c’era però alcun comodo indicatore a segnalarci la sua posizione. Parlando con gli abitanti del posto, è solo noto che si è rifugiato in un monastero, e che sul suo volto c’è una vistosa cicatrice. Stop.

Parte così la ruota delle opzioni a disposizione: entrare nel monastero, e massacrare tutti i monaci, indistintamente, rischiando però la vita e penalizzando pesantemente la reputazione. Oppure entrare di notte, silenziosamente, e sperare di trovare un volto “noto”, ma sarà dura riconoscerlo con un cappuccio perennemente indosso. È qui che parte la strenua caccia al realismo: perché non prendere i voti, diventare un prete per alcuni giorni, e studiare in tutta tranquillità la zona? Bisognerà però persuadere uno di loro a farvi accogliere, rinunciare ai vostri possedimenti e armi, dedicarvi quotidianamente alle preghiere, e passare il più tempo possibile in mensa, così da guadagnarvi la fiducia dei vostri temporanei “colleghi” e provare a chiedere numi sul vostro obiettivo.

Kingdom Come: Deliverance

Tra una preghiera e l’altra, ci sono anche state fornite informazioni su alcuni eventi “pubblici” ai quali sarà possibile partecipare durante la nostra avventura in quel di Kingdom Come: Deliverance, come i tornei, che potremo sfruttare in numerosi modi. Le nostre vittorie in bella mostra aumenteranno la nostra reputazione e faranno girare il nostro nome, e una scommessa di tanto in tanto ci permetterà di far cassa… lontano però dagli occhi indiscreti della legge. Chi deciderà di seguire la via del male, avrà invece altre due opzioni a disposizione: scommettere sul proprio avversario e perdere deliberatamente, truccando, di fatto, il duello, o persino cogliere al volo l’occasione di avere buona parte del popolo radunato in piazza, per svaligiare in tutta tranquillità le case deserte (tramite il peculiare sistema di lockpicking).

Una boccata d’aria fresca, un tributo al realismo più puro

La ricerca del realismo in Kingdom Come: Deliverance è estenuante, e rappresenta uno dei sicuri elementi distintivi, che lo allontanano  dai soliti cliché triti e ritriti, ma che rischiano al contempo di portarlo a ritagliarsi una nicchia troppo stretta (o peggio, di sacrificare il divertimento sull’altare della simulazione). È sicuramente una boccata d’aria fresca nel genere, grazie alla sua fedeltà estrema, al maniacale lavoro di ricerca svolto dal team in termini di ricostruzione storica, ma anche di fisica di gioco e perché no, di puro e semplice “buon senso”, ed è un tributo al realismo più puro come raramente se ne vedono, contribuendo all’immersione, merito anche di un comparto tecnico sempre più squisito e sopraffino (nonostante non tutto convinca, per ora, e un frame-rate lontano dalla solidità), e all’immedesimazione nel proprio avatar, tante sono le opzioni di approccio, e le singole variabili di cui tener conto. Questa filosofia “Dungeons & no Dragons” potrebbe davvero scardinare tante noiose imposizioni vecchie di decenni e dare una scossa all’intero panorama RPG: speriamo solo che Warhorse Studios sia all’altezza del compito.

E3 - 2016 - Anteprime

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