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Kona – Recensione

La prima ora in compagnia di Kona, ad essere davvero onesti, è un mix di sensazioni contrastanti. C’è una storia curiosa che si dipana con il contagocce, delineando i tratti di un’avventura noir immersa in un mondo inospitale dove il gelo fa da padrone. C’è un protagonista solitario, un investigatore taciturno gettato in un mistero molto più grande di quanto le premesse lascino ad intendere. E poi c’è Atamipek Lake, cittadina sperduta nel Quebec degli anni settanta, un insediamento apparentemente privo di vita umana ricco di folklore e tradizioni oramai desuete, legate a doppia mandata ad una mitologia forse più pericolosa di quanto i libri vogliano raccontare. Una Twin Peaks canadese, per certi versi, segnata da un inspiegabile mistero che in realtà ne nasconde di ben peggiori. Che, volenti o nolenti, dovremo districare.

Narrazione, location, folklore… Una ricetta sui cui ingredienti nessuno con un minimo di sale in zucca oserebbe controbattere: del resto, cos’altro potremmo chiedere ad un titolo di chiara matrice thriller, dove l’esplorazione e l’analisi dei dettagli fanno da padroni sin dai primi minuti di gioco? Ed è proprio qui, in una ricerca di realismo investigativo quasi esasperata, che troviamo uno degli aspetti più affascinanti e allo stesso tempo più delicati di Kona: nessuno, in nessun momento, vi dirà mai cosa fare. Nemmeno quel narratore onnisciente dalla voce ruvida, che sappiamo per certo sapere anche il dettaglio più insignificante di quel puzzle indecifrabile. Sarete solo voi e il vento, gelido e sferzante, che nottetempo ulula lungo sentieri abbandonati e pendici di monti con le loro case spoglie. Quella che può sembrare l’ennesima variazione sul tema Walking Simulator, insomma, inizia con una salita ripida nell’oscurità più totale, con dubbi, misteri e decine di domande ancora irrisolte. Toccherà scaldarsi un po’ le membra, visto che il gelo non perdona, e mettere le gambe in marcia anche a rischio di muoversi completamente alla cieca: ma una volta uniti i primi puntini, per chiunque avrà la pazienza e la forza di volontà per riuscirci, le sorprese non mancheranno di certo. E quella presunta gita veloce nel freddo Quebec potrebbe rivelarsi molto più memorabile del previsto.

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L’avrete capito, Kona è un titolo strano. Un Everybody’s Gone to the Rapture dalle tinte noir, passateci il paragone un po’ forzato, dove interazione e narrazione vanno a strettissimo contatto per tutta la durata dell’avventura. Quella di Carl Faubert, investigatore privato dal passato oscuro, chiamato nelle gelide terre di Atamipek Lake da un certo Signor Hamilton che scopriremo essere passato tragicamente a miglior vita prima ancora di capire il vero motivo dell’ingaggio. Pronti via, appena il tempo di aggiornare il nostro taccuino con qualche fugace nota sul delitto e ci si ritrova immersi nella neve da un’abitazione all’altra, alla ricerca di indizi, prima ancora di un movente, che giustifichino il nostro giro a vuoto. Non fosse che l’omicidio Hamilton rappresenta soltanto la punta di un iceberg ben più profondo, dove rancori mai sopiti e vendette del passato tornano a galla in compagnia di un “qualcosa” contro cui, difficilmente, un investigatore degli anni ’70 avrebbe mai pensato di imbattersi.

C’è del sovrannaturale nel titolo Parable, questo è chiaro, un qualcosa di ben radicato nella cultura popolare del Quebec che funge da inaccessibile collante agli eventi narrati in Kona. Eventi che vi lasceremo il piacere di scoprire, non vi preoccupate, concentrandoci ora piuttosto sugli aspetti più interessanti del titolo in esame – che, entro certi limiti, cercano di renderlo quanto più “peculiare” possibile all’interno del panorama del walking simulator. La meccanica di sopravvivenza di Carl è forse la cosa più interessante di Kona: il freddo di Atamipek Lake non è infatti una mera cornice narrativa, ma obbliga il nostro alter ego a tenere costantemente monitorato un set di tre parametri, rispettivamente salute, temperatura corporea e stress. Restare per troppo tempo esposti alla “fresca brezza” canadese potrebbe rivelarsi deleterio per il povero investigatore, destinato a diventare in pochi minuti cibo per lupi: bisogna muoversi con gli occhi bene aperti, cercando riparo all’interno di abitazioni – per rallentare il processo di congelamento – e, a patto di aver gli strumenti corretti a propria disposizione, accendere dei fuochi ristoratori ove riprendere forze. Il tutto tenendo bene a mente che, alla lunga, lo stress accumulato in esposizioni al gelo prolungate potrebbe essere fatale: correre come folli, in questi frangenti, potrebbe essere una scelta più pericolosa del freddo stesso, e magari attirare attenzioni indesiderate di qualche (sporadico) predatore affamato.

Quella gita nel freddo Quebec potrebbe rivelarsi più memorabile del previsto.

Considerata la struttura open world della mappa di Kona, l’implementazione di un siffatto sistema di sopravvivenza dona all’esplorazione una profondità indubbiamente unica: impossibile macinare chilometri alla cieca sperando di sbattere il muso sull’indizio mancante o, alle brutte, di accedere ad una zona inesplorata. Il titolo ha un ritmo tutto proprio, scandito dalla necessità di trovare abitazioni, falò o qualsiasi altro “luogo” possa ospitare un fuocherello che scongiuri un prematuro congelamento. Ci si muove molto, in Kona, e specie nelle battute iniziali l’ossessione di trovare una “safe zone” – al netto di un inventario non ancora particolarmente ricco – dona all’esplorazione un sapore vagamente survival che non guasta affatto: piano, a piccoli passi, da una casa all’altra senza deviare eccessivamente dal sentiero principale.

Premesse eccellenti, che tuttavia si scontrano in breve tempo con una facilità eccessiva e un’evenienza di morte che, salvo alcuni rari casi, si assesta a frequenze particolarmente basse. Una volta capito il “funzionamento”, gran parte del rischio derivante dall’esplorazione in esterna scivola in secondo piano, complice la presenza di falò disposti in posizioni un po’ troppo accessibili che rendono molti dei viaggi a piedi meno problematici del previsto. L’inventario gioca in questi frangenti un ruolo fondamentale, laddove l’avere o meno un ciocco di legno e dei fiammiferi sancisce la sottile differenza tra vivere o morire: ma doveste mai finire accidentalmente i vostri giorni proprio in Quebec per una distrazione come questa, difficilmente ci cadrete una seconda volta.

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Decisamente più analitica, invece, la componente investigativa. Rifacendosi alla tradizione adventure, Kona richiede al giocatore di risolvere una pletora di puzzle ambientali – legati essenzialmente al reperimento di uno o più oggetti, sparsi (spesso non senza un briciolo di sadismo) nel vasto scenario che ci circonda. Si parla dunque di chiavi, medaglioni, piedi di porco o bottiglie, una miriade di amenità che saremo chiamati ad analizzare e raccogliere con attenzione nel corso delle nostre fasi esplorative. Alcuni degli oggetti rinvenuti, all’apparenza, possono sembrare slegati dal contesto o semplicemente orpelli inutili, magari inseriti per depistare la nostra attenzione dal focus principale: diciamo che, laddove il nostro intuito non dovesse arrivarci, le note scritte da Carl nel proprio taccuino potrebbero dare la giusta imbeccata per la soluzione. Il tutto, cosa importante, senza dimenticarsi dell’apporto fondamentale lasciato dai testi rinvenuti: lettere, appunti e annotazioni, oltre ad arricchire un ordito narrativo di sicuro impatto, in svariati frangenti si rivelano illuminanti. Magari per capire come riparare una motoslitta inspiegabilmente a pezzi, o per creare un cocktail imbevibile dalla cui creazione dipenderà il possesso di un oggetto vitale per progredire.

Il limite principale di questa struttura di gioco, che contrariamente alla tradizione non richiede di equipaggiare l’oggetto al momento dell’utilizzo (ma, al contrario, “crafterà” la soluzione del puzzle solo quando tutti gli oggetti necessari saranno in nostro possesso), va a coincidere proprio con il livello di attenzione che dedicheremo alla fase di analisi o reperimento delle informazioni. Non sarà così improbabile ritrovarsi del tutto bloccati, e dunque impossibilitati a procedere, per aver tralasciato una bottiglia di liquore “nascosta in bella vista” in una cucina tutto tranne che ordinata anche mezz’ora o un’ora prima. Una scelta coerente con il realismo imposto dal team di sviluppo, ma che per un giocatore meno paziente potrebbe portare a frustrazione, laddove sarà necessaria una seconda esplorazione (molto spesso alla cieca) di luoghi già visitati. La presenza dei citati indizi testuali, se recuperati a tempo debito, e dell’automobile di Carl renderanno il tutto più veloce: ma in una situazione di assenza totale di suggerimenti, evenienza non così improbabile, l’unica discriminante per la soluzione dell’indagine è la concentrazione e la memoria di chi gioca. Un aspetto che sicuramente farà discutere, ma che dopo l’immancabile disorientamento iniziale noi abbiamo finito assolutamente per apprezzare.

Kona ci ha conquistati.

Tenete a mente, tuttavia, che l’inventario di Carl non è un pozzo senza fine dove immagazzinare oggetti: ciascun item raccolto occuperà una percentuale di spazio variabile, che se non tenuta attentamente a bada può portare al prematuro riempimento dell’inventario e all’impossibilità di raccogliere ulteriori oggetti. Abbandonate dunque l’idea di ammucchiare ceppi di legno e fiammiferi: ci saranno ben altri oggetti molto più importanti da raccogliere. Sarà comunque possibile salvare parte del proprio inventario nel baule della vettura, con una gestione analoga a quella dei tradizionali Resident Evil; qualora essa dovesse essere irraggiungibile, potremo scartare e lasciare al suolo alcuni degli item raccolti (ad esclusione degli Strumenti), per poi tornare a recuperarli in un secondo momento. Seppur a tratti “punitivo”, è impossibile non apprezzare il delicato sistema di ingranaggi messo in piedi da Parable: ad ogni tessera del mosaico collocata al punto corretto la nebbia che attanaglia la capacità deduttiva del giocatore si dirada, portando in superficie una narrativa, seppur divisa in due atti in modo evidente, a dir poco convincente.

Meno convincente il comparto tecnologico di Kona, nonostante l’arrivo della prima patch su PS4 Pro abbia leggermente migliorato la risoluzione e accorciato i tempi di caricamento da uno scenario all’altro, inizialmente quasi insostenibili. Kona offre delle istantanee invernali e dei colpi d’occhio fortemente evocativi, ma è nell’analisi del dettaglio che possiamo vedere alcune dei peccati di gioventù del team di sviluppo. Automobile, modelli dei lupi e interni un po’ troppo artefatti rappresentano il limite principale, in termini tecnologici, del titolo Parable, che offre tuttavia un’ambientazione e un atmosfera di impatto assicurato. Sufficiente la colonna sonora, che alterna passaggi ripetitivi e poco memorabili ad altri decisamente più in linea col mood del gioco: applausi scroscianti, invece, per il comparto FX. Con delle buone cuffie o il giusto impianto surround, il vento che sibila tutt’attorno a noi, le tempeste di neve incessanti e quelle centinaia di rumori minacciosi che provengono da ogni angolo della foresta sono uno dei fiori all’occhiello della produzione in esame.

Conclusioni

Dopo una prima ora particolarmente difficile, Kona ci ha conquistati. Il noir di Carl Faubert rifugge ogni frenesia, distillando con parsimonia una narrativa appassionante e intrisa di misteri che attingono alla tradizione del Quebec. Certo, in alcuni frangenti sarà lo stesso Carl a rovinarci la sorpresa svelandoci plausibili spiegazioni ancor prima di lasciarcele formulare liberamente: ma difficile non perdersi mentalmente in quelle foreste solitarie, soli in compagnia del vento e del gelo, alla ricerca di quell’indizio fantomatico da cui dipende l’intero esito della nostra indagine.

Quello di Parable non è un titolo per tutti, questo è chiaro. La logica ferrea che regola la soluzione di ogni puzzle richiederà in taluni frangenti di salire a bordo dell’auto (o di farci muovere a piedi per lunghe tratte) a scandagliare ogni centimetro quadro di location già viste, facendoci maledire quel piccolo particolare che alla prima analisi avevamo incolpevolmente tralasciato. E questo senza dimenticarci di un coefficiente di difficoltà sin troppo generoso, che difficilmente ci vedrà ricaricare più di cinque partite nelle circa sei ore di playthrough complessivo, o di un comparto tecnologico non sempre all’altezza. Kona è un mix di narrazione profonda e di gameplay semplice ma funzionale, impreziosito da un paio di trovate interessanti che non puntano a spaventare chi gioca con spauracchi semplicistici, quanto piuttosto a destabilizzarlo con un’estenuante senso di solitudine e con un silenzio assordante. Del resto, un buon mistero è davvero tale se, una volta ritrovaticisi “dentro”, si avverte una sorta di impotenza tanto fisica quanto mentale. E nelle foreste innevate di Atamipek Lake, si tratta di una condizione con cui dovrete imparare a convivere in fretta.

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