Colonia – Che l’impresa di Warner di donare dignità ai tie-in dopo anni di maldestri tentativi (altrui) di tradurre in videogioco dei capolavori del cinema fosse riuscita, è ormai chiaro da tempo: è bastata la trilogia di Arkham, ad opera di Rocksteady, a dimostrare che c’è spazio per titoli in grado di catturare la magia di certi film, o fumetti, o cartoni animati, e convertirli in qualcosa di giocabile, completamente interattivo, capace di divertire, ma soprattutto di non tradire il materiale d’origine. Ci ha poi pensato Monolith Productions a dare il colpo di grazia con la sua reinterpretazione del materiale tolkeniano: La Terra di Mezzo: L’Ombra di Mordor, seppur non perfetto, ci ha donato un assaggio di quei luoghi incantati in un modo del tutto unico, smarcandosi dalla trilogia cinematografica, da sempre presa come spunto per le scampagnate videoludiche, e puntando a qualcosa di quanto più originale (ma coerente) possibile. A distanza di tre anni, lo studio statunitense ci riprova con un seguito diretto, La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra, che punta a migliorare le imperfezioni del prequel, e ad espandere ulteriormente la sua linea narrativa, senza però rinunciare alle delizie offerte dal peculiare Nemesis System, una vera rivoluzione (che però, al contrario di altre, abusatissime meccaniche, non sembra ancora aver attecchito in ambito gaming).
La prima cosa che ci ha detto il team in occasione del nostro appuntamento alla gamescom, è che il loro obiettivo principale è quello di integrare la narrazione classica con quella “emergente”, generata spontaneamente dalla natura randomica delle situazioni proposte dal gioco: come nel primo episodio, in L’Ombra della Guerra ogni generale nemico sarà diverso da quello di altri giocatori nel nome, aspetto, abilità, punti di forza e debolezze, e il nostro comportamento ne deciderà le sorti: lasciargli abbandonare il campo di battaglia significa farlo tornare più agguerrito e rabbioso che mai all’incontro/scontro successivo; perire sotto la sua ascia o spada, gli farà scalare le gerarchie interne; infine, la nostra pietà, per nulla disinteressata, lo potrebbe portare dalla nostra parte, o perché no, in veste di spia malevola tra le fila nemiche. E questo vale per tutti, dagli sgherri di più infima lega, fino agli Overlord, i custodi delle nuove fortezze, tra le novità più interessanti di questo sequel: sono più grandi e complesse da conquistare, con tanto di “Victory Point” da mantenere per alcuni secondi (in stile modalità “Controllo” di Call of Duty), degli hotspot in cui si concentrano le orde di nemici, luogo perfetto per mettere a frutto le nuove, letali abilità a disposizione della strana coppia Talion/Celebrimbor.
Questa nuova tipologia di missione ci ha convinto pienamente: pad alla mano, abbiamo seminato il panico tra i ranghi nemici, partendo in primis dallo schieramento in battaglia dei nostri generali, ai quali potranno essere assegnati dei potenziamenti niente male (ma purtroppo provvisori) da acquistare con Mirian sonanti (la valuta di gioco, fondamentale sia in fase di difesa che di attacco degli assedi), sincerandoci di schierare bestioni in grado di sfondare le possenti barriere nemiche, così come unità e buff elementali (legati al fuoco, ad esempio, o al veleno) particolarmente efficaci contro i nemici (ci siamo preoccupati di “dominare” una spia e di carpire i segreti di quanti più generali avversari). Abbiamo scalato, prima, le imponenti pareti di pietra (purtroppo tra i bonus a disposizione dell’Overlord c’era l’upgrade delle mura), per poi raggiungere via via il centro dell’area, conquistando una zona dopo l’altra, fino ad invadere la sala del boss, da affrontare faccia a faccia in solitaria (o quasi: è concesso evocare una belva e una guardia del corpo). Uno scontro intenso, senza dubbio, ma meno epico di quello giocato poco prima della nostra sessione di gioco dal team, al quale abbiamo assistito da spettatori passivi, estasiati, ma passivi.
La prima parte della missione “Carnàn’s Bane” prevede infatti di scontrarsi con Zog The Eternal (o almeno è questo, stavolta, il suo nome), un negromante intento ad evocare un Balrog, Tar Goroth, sopito all’interno di una pozza di lava. L’obiettivo è chiaramente quello di impedire il rito, ma nonostante il raffinato sfoggio di poteri combinati tra l’agilità spettrale di Celebrimbor e la brutalità di Talion, tra piroette, frecce e fendenti, il vile stregone riesce a salvarsi all’ultimo e a fuggire, perdendo, al contempo, il controllo sul Balrog emerso dal lago ardente sepolto nelle profondità, ribellatosi ai suoi evocatori. C’è un solo modo per fermarlo: affrontarlo ad armi pari, ovvero in sella all’imponente Carnàn, fatto di legno, foglia e corna. E la lotta si trasforma immediatamente in uno scontro tra titani, letteralmente, in grado di rivaleggiare con il mastodontico duello tra Godzilla e King Kong: bestioni alti come un palazzo che si riempiono di cazzotti in un tripudio di fiamme, prese degne di un combattimento di wrestling e sporadici QTE.
Dal poco che ci hanno mostrato, le due missioni (una vista, una giocata), La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra sembra voler giocare sul sicuro, preoccupandosi principalmente di espandere l’arsenale a disposizione di Talion (in termini di equipaggiamento, che può essere di tipo raro, epico e leggendario), e di arricchire il già collaudato e brillante Nemesis System, integrandolo nella maniera più naturale possibile nell’impianto narrativo. Anche dal punto di vista tecnico, L’Ombra della Guerra ci è parso più pulito e muscoloso rispetto alle build testate negli scorsi mesi, e pur non ponendo chissà quale abisso tra sé e il predecessore, è in grado di regalare scorci e dettagli niente male della desolante Terra di Mezzo, o almeno del poco visto in azione. Prima di sbilanciarci a riguardo, il gioco dovrà superare il test drive in fase di recensione, poco ma sicuro, e in particolare il suo vasto mondo, in passato spoglio di attività (peraltro abbastanza ripetitive) e causa di un ritmo altalenante, a tratti pericolosamente tendente verso la noia.
Meno convincente il combattimento, lontano ancora anni luce dall’incisività di quello del “cugino” Batman, complici anche una telecamera che inciampa nel vivo dell’azione, e delle situazioni di “traffico” in cui ci siamo trovati davvero troppo confusi, come nel caso dei “Victory Point” del nostro assedio: l’IA nemica tende infatti, come detto, a concentrarsi nell’area che il giocatore deve presidiare e conquistare, e diventa un vero inferno concentrare gli attacchi su un solo nemico, o peggio, capire chi si sta effettivamente colpendo, rischiando di ritrovarsi a compiere azioni non desiderate. Difficile, sempre in quei casi, anche riuscire a dominare i gerarchi nemici, e in più di un’occasione ci è capitato di lasciare morire un nostro sgherro (che si vendicherà tornando in azione dall’altra parte della barricata), non essendo riusciti a centrarlo e a fornirgli le cure necessarie.
In conclusione
Per diventare ciò che L’Ombra di Mordor sarebbe dovuto essere da subito, La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra ha bisogno di una sana dose di coraggio, necessaria a spingere l’acceleratore e a sistemare ciò che non andava nel primo capitolo, proponendo al contempo un nutrito numero di novità. Forse è troppo presto per sbilanciarsi: c’è ancora l’anima esplorativa da mettere a dura prova, così come il combattimento nella sua interezza, il quale, al momento, appare ancora un po’ confusionario. Di sicuro, l’idea di mescolare narrazione lineare e generazione randomica di personaggi ed eventi ci intriga e non poco, così come gli epici assedi, tra draghi sputafuoco da cavalcare, mura da abbattere e duelli all’ultimo sangue nelle sale degli Overlord. Ma saranno sufficienti a farci acquistare un altro biglietto, direzione Terra di Mezzo?