Limbo – Recensione

La prima pubblicazione di Limbo risale al 2010 per Xbox 360, anche se chi vi scrive l’ha giocato su Mac al suo primo anno di università, quando certe lezioni duravano troppo per essere seguite con la dovuta attenzione dall’inizio alla fine. Ricordo di esserne stata, se non proprio rapita, quantomeno fortemente incuriosita: lo stile minimalista, la musica premonitrice, i puzzle sofisticati e le morti incontrastabili – perché se c’è una certezza, in questo gioco, è che metterete spesso una croce sul vostro protagonista. A tutt’oggi Limbo prospera su diciotto milioni di piattaforme e poteva forse mancare Switch all’appello? Naturalmente no, perciò eccomi qui a recensirlo – ma mi permetto di scherzare e dire che Limbo sta diventando, in termini di multipiattaforma, il nuovo Skyrim. Avendolo giocato inizialmente su computer e in seguito su PlayStation 4, la curiosità di vedere come avrebbe agito su una console come Nintendo Switch (il cui design, la portabilità e user experience mi convincono sempre più) era naturale e il verdetto non poteva che essere uno solo: titoli come Limbo trovano terreno più che fertile sulla testa di serie della grande N.

Se finora avete vissuto su un altro pianeta e non avete sentito parlare di Playdead, allora il consiglio è di cominciare proprio con Limbo, che rispetto a Inside è per ovvi motivi più datato e meno brillante: vedetelo come un percorso propedeutico a costruire l’esperienza che vivrete poi con Inside, le pennellate iniziali di un artista che serviranno come base per il capolavoro completo. Soprattutto, l’intera avventura è la testimonianza evidente tanto per Nintendo quanto per gli sviluppatori di giochi come Limbo sia un prodotto perfettamente organico nella sua fluidissima conversione da fisso a portatile.

La parte migliore di Limbo è l’atmosfera, in una sola parola: fantastica. Il gioco ci mette nei panni di un ragazzo, risvegliatosi all’improvviso in una foresta. Non c’è alcuna indicazione su chi siamo, dove e perché ci troviamo in un posto simile, né dobbiamo aspettarci risposte rapide o suggerimenti ai nostri interrogativi. Tutto quello che dobbiamo fare è iniziare la nostra ricerca, qualunque essa sia. L’avventura che ne conseguirà attraverso foreste oscure, laghi inospitali e una zona industriale solitaria vi catturerà dall’inizio fino alla fine, e con molta probabilità anche dopo, grazie a una conclusione splendida e dolceamara assieme sulla quale si sono venute a creare non poche teorie. Dopotutto già solo dal titolo e l’accezione che viene data a quella parola, è naturale cominciare a porsi delle domande.

Grafica e sound design giocano un ruolo fondamentale nello stabilire i toni inquietanti di Limbo. L’esperienza è interamente in bianco e nero mentre sullo sfondo c’è un marcato effetto sfocatura che rende pressoché impossibile capire cosa sia rappresentato. I personaggi sono quasi esclusivamente sagome, anche il protagonista il cui unico punto di luce è rappresentato dagli occhi – due punti bianchissimi che spiccano nell’oscurità che ci circonda. Il suono nel frattempo è il nostro appiglio principale per dare un senso all’ambientazione e ai probabili pericoli che ci aspettano: cigolii di metallo, passi ovattati od occasionali versi animali spezzano il silenzio altrimenti quasi costante del gioco, affondando come una lama. La componente audiovisiva accentua dunque un’atmosfera già di per sé impeccabile.

Limbo è perfetto su Nintendo Switch

Gli enigmi sono poi ciò che salvano Limbo dal rischio di essere un qualunque walking simulator privo di un vero e proprio appeal, scansando così quella trappola che molti leggono in un indie focalizzato principalmente sulla sua atmosfera. I puzzle in questo caso servono per garantire un’immersione ancora più profonda nel mondo di gioco, costringendoci a confrontarci e interagire con i molti aspetti squallidi, pericolosi e terrificanti dell’ambiente che in caso contrario avremmo ignorato. Limbo non è quel gioco dove spingere la levetta analogica per due ore di seguito, bensì un’esperienza che ci chiede reattività di azione e pensiero per elaborare e superare una situazione che – va ammesso – in alcuni casi si presenta un po’ troppo frustrante. La soluzione per attraversare un ampio spazio potrebbe essere una scatola quasi perfettamente nascosta nello sfondo bianco e nero, mentre quel piccolo ma definitivo bordo che si vede spuntare dal terreno potrebbe invece essere una trappola mortale per orsi che sembra implorarci di sbagliare. Non è raro sbagliare, perché l’approccio richiesto da Limbo è proprio quello del trial & error e in questo senso non tutti gli enigmi possono essere davvero definiti tali: a volte si tratta semplicemente di trappole ben nascoste di cui dovremo memorizzare la posizione per poterle evitare. In caso contrario la morte arriverà sotto forma di sangue e smembramenti, a ricordarci quanto impietoso sia questo strano Limbo.

Visivamente, il gioco di Playdead rimane una sorpresa incredibile e anche in termini di prestazioni non c’è nulla che gli si possa imputare: sono 60fps perfetti, che non una volta hanno avuto un calo. Va però detto che la modalità migliore per giocarlo è in docked, perché il forte uso di due colori soltanto mostra come Switch non sia completamente a suo agio quando si tratta di gestire le sfumature di nero. Il costante riflesso rimandava la mia immagine concentrata nell’evitare l’ennesima trappola mortale: insomma, se preferite giocarlo comodamente sdraiati in spiaggia oppure ovunque non ci sia un televisore a portata, assicuratevi di essere nella giusta penombra. A parte questo, Limbo si dimostra ancora una volta un titolo che vale la pena avere nella propria collezione – soprattutto a fronte del prezzo basso.

Conclusioni

Raramente ho giocato a un gioco (più volte e su varie piattaforme, potrei aggiungere) che così accuratamente inchioda il giocatore al suo posto solo attraverso l’atmosfera. Playdead ci è riuscito perché ha lavorato alla grafica, all’audio e al gameplay simultaneamente e l’ha riportato su Switch come se fosse un prodotto nuovo e non un gioco che si porta sulle spalle ben otto anni.

Limbo è uno fra i più grandi esempi di videogioco come forma d’arte.

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