Little Nightmares lo stavamo seguendo con gli occhi puntati da parecchio. Vuoi per quello stile grafico che tanto ci ricorda il Tim Burton dei tempi migliori, vuoi per quelle atmosfere grottesche che, in un modo o nell’altro, avevano il sapore agrodolce degli incubi della nostra infanzia, l’ultima opera degli svedesi di Tarsier Studios ci aveva rapiti già dal nostro primo fugace incontro in occasione dell’ultima gamescom. Difficile non entrare in sintonia con Six, la taciturna ed esile protagonista che, immersa in un cappottino giallo, cerca di farsi strada in un universo di folli creature affamate; difficile non lasciarsi cullare da quelle sonorità lontane e malinconiche, maestre nel mescolare armoniosamente solitudine e angoscia. Un’angoscia del tutto diversa da quella a cui i normali “horror” ci hanno abituato: qualcosa di più intimo e personale, che va oltre il concetto più tradizionale di paura per attingere all’essenza stessa degli incubi che tormentavano i nostri sonni d’infanzia.
Su Little Nightmares, l’avrete capito, avevamo delle aspettative piuttosto elevate. Nel contesto del “puzzle-platform” a matrice horror, del resto, di piccoli capolavori non ne mancano di certo: e le carte in mano all’ultima IP di casa Bandai Namco, a ben vedere, lasciavano presagire qualcosa di davvero interessante – e questo senza dimenticare che nel curriculum dei ragazzi di Tarsier troviamo chicche del calibro di Little Big Planet 3 o Tearaway Unfolded. Abbiamo dunque indossato il nostro impermeabile giallo migliore per avventurarci in questa insolita avventura tanto memorabile quanto (purtroppo) breve, cercando di ritrovare la via verso la salvezza in quell’incubo galleggiante che risponde al nome di The Maw, Le Fauci. E nonostante qualche intoppo sul nostro cammino, possiamo anticiparvi già da ora che valeva la pena restare svegli tutta la notte, affrontando uno dopo l’altro gli spauracchi peggiori del nostro sonno. E saranno anche incubi “piccoli”, come lo stesso titolo delle avventure di Six suggerisce: ma al posto vostro non saremmo troppo sicuri che basti la luce del mattino, per farli dissipare.
Six, la nostra esile protagonista dai piedi scalzi, nell’incubo ci si sveglia. Letteralmente, di soprassalto, senza nessun motivo apparente che sia in grado di spiegare cosa ci faccia una così giovane creatura all’interno delle Fauci. Già, Le Fauci; un posto strano forte, non c’è che dire, popolato da creature deformi, mostruose, in un perenne stato di fame che sembra ai limiti del morboso: uno di quei posti in cui è imperativo rimanere il meno possibile, sempre che non si voglia far la fine dei restanti bambini a bordo – che tra divenire le portate principali di un pasto o essere trasformati in statue di sale, proprio così fortunati non devono essere stati. Fuggire, insomma, lasciarsi tutto alle spalle senza voltarsi mai, risolvendo una dopo l’altra le sfide che nave e annessi abitanti ci “proporranno”. Come? Usando l’astuzia, piuttosto che la fretta, muovendosi con circospezione lungo ponti, cucine e piani alti della nave sfruttando ogni possibile nascondiglio: perché Six è piccola e agile, è vero, ma difficilmente può resistere alle cariche dei propri aguzzini, decisamente più grandi di lei. E allora tocca improvvisare d’astuzia…
Little Nightmares, come citavamo in apertura, ricalca un solco particolarmente in voga negli ultimi anni, presentando delle affinità elettive particolarmente evidenti con l’incredibile INSIDE di PlayDead. Stiamo non a caso parlando di un puzzle/platform horror a scorrimento, dalle tematiche piuttosto cupe e criptiche e con un insano gusto per il macabro. La direzione artistica di Little Nightmares, a tal proposito, è a dir poco esemplare: il titolo Tarsier è davvero bello da vedere, capace di rievocare sensazioni legate alla nostra infanzia (i rimandi al mondo fiabesco dei fratelli Grimm, ad esempio, sono evidenti) filtrandole però sotto una violenta lente di macabro e grottesco. Poco da fare, sin dai primi minuti di gioco il colpo d’occhio de Le Fauci incanta e allo stesso tempo inquieta, regalando scorci ispiratissimi esplorabili anche in profondità (a differenza di Limbo o INSIDE, infatti, Little Nightmares presenta una componente esplorabile limitata anche lungo l’asse z): un sistema di illuminazione esemplare compie il resto, giocando con luci ed ombre in un ambiente che, per propria stessa natura, predilige le zone tenebrose.
l’avventura della piccola Six è un’esperienza magnetica e coinvolgente
Il risultato, insomma, parla da solo praticamente da subito: ci si muove con circospezione, in Little Nightmares, quasi come se le gambette esili di Six fossero davvero le nostre, trattenendo il fiato e lasciandosi guidare da un impianto sonoro ancora una volta estremamente interessante. Non che questa colonna sonora abbondi di tracce, numeri alla mano, ma l’alternanza di sonorità malinconiche a tratti dove il mood si fa più cupo e minaccioso, ad allertarci della presenza di un pericolo imminente da cui è necessario fuggire o nascondersi, funziona alla meraviglia. Tecnologicamente parlando, il titolo Tarsier non sbaglia dunque un colpo, regalando istantanee da cartolina grottesca e “cullando” il giocatore in quella dimensione da fiaba weird, grottesca, a tratti persino deviata, accompagnando il suo stesso incedere con il rollio instancabile della nave.
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In termini di gameplay, la componente principale di Little Nightmares si affida a quelle meccaniche tanto care al filone degli escape games: si esplora, si identifica la potenziale minaccia (quando non sarà lei a farlo, prima di noi) e, cercando un nascondiglio o una via di fuga stealth dalle sue grinfie, si procede alla risoluzione di una serie di enigmi per accedere all’area successiva. La varietà di puzzle proposti dal titolo è essenziale, e di norma coincide con l’attivazione di opportune leve (per attivare ascensori o montacarichi) o il ritrovamento di una specifica chiave – le porte bloccate, a quanto pare, sono la norma a bordo de Le Fauci – o di un percorso alternativo ad uno inizialmente precluso. L’importante, dicevamo, è muoversi con circospezione: essere identificati, nella maggior parte dei casi, si traduce con un brutale game over. Il sistema di auto-salvataggio a checkpoint è tuttavia abbastanza generoso, e non obbligherà a ripetere sezioni eccessivamente prolungate esacerbando l’umore di chi gioca.
Al netto di alcuni movimenti poco aggraziati della nostra piccola eroina, che in alcuni casi finiranno per indurre all’errore (specie in alcuni passaggi dove ci si muove davvero “sul filo” della piattaforma), i limiti principali di Little Nightmares sono da cercare tuttavia altrove. La linearità del titolo, tanto per iniziare, è lampante: impossibile perdersi nei cinque scenari proposti, laddove la presenza di un unico senso di marcia semplifica non poco il nostro incedere. A questo si aggiunge la varietà appena sufficiente di enigmi, la cui complessità raramente rappresenta un problema capace di rubare “tempo” alla ricerca di una soluzione: non è tanto il “cosa fare” a farci spremere le meningi, quanto piuttosto il “come farlo” senza attirare a sé le attenzioni dei gemelli cuochi, ad esempio, o dei grotteschi commensali invitati al banchetto della Signora. Ma anche qui, una volta presa la giusta confidenza e sprecati un paio di tentativi, la curva di difficoltà si appiana sensibilmente.
Un incubo così bello, insomma, che non avremmo voluto finisse così in fretta…
Sia chiara una cosa: in Little Nightmares morirete parecchie volte. Vuoi per un tempismo azzeccato solo all’apparenza e vanificato all’ultimo secondo, vuoi per quella variabile omessa nella pianificazione dell’azione, vuoi per la fretta legata all’aver sottostimato un particolare segmento di gioco, i trapassi di Six aumentano rapidamente – e continueranno a farlo qualora, in ciascun livello, cercaste di abbracciare tutti i Nomini presenti (i mostriciattoli con la testa a triangolo, che hanno l’insana tendenza di muoversi a pochi metri dai nostri aguzzini) o di accendere tutte le candele presenti. Si tratta però di evenienze “one shot”, dove difficilmente rimarrete bloccati per più di cinque minuti (“boss fight” incluse) senza riuscire a procedere. A questo si aggiunge forse il cruccio più critico di Little Nightmares, la sua longevità: per raggiungere i credit, portando a casa un buon 70% dei collezionabili presenti (Nomini e candele) abbiamo impiegato poco meno di tre ore e quarantacinque minuti. Che si trattasse di un’esperienza tutto sommato breve, ad essere onesti, si sapeva già da tempo: ma per un incubo di queste premesse e con una caratterizzazione così ben riuscita, avremmo sperato in un sonno più lungo …
Little Nightmares è un gioco criptico come pochi altri. L’assenza di linee di testo o dell’ombra di qualsivoglia dialogo, da un certo punto di vista, conferisce all’opera Tarsier quel fascino e quel mistero che ha consacrato il binomio miracoloso targato Playdead: del resto, cosa di più personale e liberamente interpretabile ci può essere di un incubo? D’altro canto, è proprio questo mistero inspiegabile che si snoda tra le pareti di una nave dell’incubo a tenerci incollati allo schermo per le (poche) quattro ore di gioco richieste per raggiungere la salvezza: peccato per un finale che scivola via forse troppo rapidamente, virando in impietosa picchiata dopo aver raggiunto il climax narrativo più alto. Little Nightmares non è un gioco perfetto: dalla scarsa longevità alla linearità esagerata, passando per un set di puzzle forse un po’ troppo limitato, l’ultimo nato in casa Tarsier incespica, cade e si rialza, proprio come la sua piccola protagonista. Imperfetto, ok, ma non per questo non memorabile o incapace di regalare emozioni e sensazioni inaspettate: dalla sua direzione artistica strepitosa alla capacità di far respirare al giocatore un’atmosfera che nasce dalla commistione di fiaba e incubo, l’avventura della piccola Six è un’esperienza magnetica e coinvolgente, rea soltanto di spegnersi troppo velocemente allo spuntare del sole. Un incubo così bello, insomma, che non avremmo voluto finisse così in fretta… |