Ed eccoci dunque al Big Mouth Jazz Club, luogo per la gente bene della città dove si nasconde il nostro obiettivo. Eludere la sorveglianza sarà difficile, e attaccare direttamente i buttafuori all’ingresso del locale potrebbe essere sinonimo di morte improvvisa. Meglio girare attorno all’imprevisto, magari trovando un ingresso secondario pattugliato da una sola guardia, pure sbronza. Bastano pochi passi silenziosi per avvicinarsi, e il nostro coltello ha già affondato il suo petto. Premesso che, stando a quanto riferito dallo sviluppatore, è possibile affrontare questa sequenza sia in modo stealth (quello a cui abbiamo effettivamente assistito) sia in modo più “teatrale“, vale la pena sottolineare la presenza di più percorsi alternativi per raggiungere il medesimo obiettivo. Un taglio netto alla linearità dei precedenti capitoli, nel tentativo di assecondare al meglio le esigenze più disparate dei vari giocatori.
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Tra un’accoltellata e l’altra raggiungiamo il nostro uomo, giusto in tempo per assistere all’esecuzione di uno sgherro incapace per mano sua. Ma sarà l’ultima, il proiettile col suo nome è già in canna. Parte il colpo, dritto in mezzo agli occhi, e si scatena l’inferno. Lincoln è fuori controllo, semina sangue e morte a suon di coltellate, dà fuoco alle polveri con pistole, fucili e qualsiasi altra arma gli capiti a tiro o venga lasciata al suolo dai corpi degli ex proprietari. Le pareti del Jazz Club si sporcano di rosso, mentre il nostro eroe salta da una copertura all’altra abbattendo uno dopo l’altro i fastidiosi birilli che popolano il club. E abbattuto anche l’ultimo, con un’esecuzione da far impallidire persino Tarantino, può tirare un sospiro di sollievo, alzare il telefono e chiamare uno dei suoi “sottoposti” a cui assegnare il locale. Che, da ora in avanti, sarà fonte di ricavi costanti, di armi e magari di qualche missione secondaria. Un piccolo passo verso la conquista della città.
Ma la demo non è ancora finita. Fuori ormai è giorno, e Lincoln non fa nemmeno in tempo a salire in macchina che la strada si riempie di veicoli carichi di mafiosi, intenzionati a pareggiare i conti per il torto appena subito. Parte un inseguimento memorabile per le strade di New Orleans, una sfida uno contro mille ai limiti dell’impossibile condita da esplosioni e uccisioni spettacolari. Il tutto mentre, in sottofondo, la voce ruvida come l’asfalto di Mick Jagger urla Paint it Black. Buio in sala, urla, applausi a volontà.
Nel mondo dei videogiochi, dichiarare un titolo “capolavoro” al primo appuntamento ufficiale è un grosso rischio. Basarsi su una semplice demo può essere fuorviante, e affidarsi all’entusiasmo o all’euforia iniziale tipico dei grandi annunci, storia insegna, non sempre è la scelta migliore da fare. Benissimo: tutto questo non si applica a Mafia III. Ci è bastata mezz’ora in compagnia di Take Two e di Hangar 13 per assistere al primo passo della rivoluzione next generation dell’oper world. Mafia III spinge il free roaming verso una dimensione del tutto inedita, alzando ulteriormente l’asticella di una tacca evidente rischiando già da ora di candidarsi a metro di paragone da qui a parecchio tempo. Tecnologicamente strepitoso (nonostante alla release date manchino parecchi mesi ancora), visivamente superbo e impeccabile in termini di colonna sonora, il terzo capitolo di questa amatissima saga non solo si candida per direttissima al titolo di Best of the Show di questa gamescom 2015, ma rischia seriamente di diventare una delle IP più attese della prossima annata fiscale. Feroce e spietato, ma con una vena malinconica e quasi amara, Mafia III è forse uno dei progetti più ambiziosi a cui abbiamo assistito dall’inizio di quest’ultimo ciclo di console. E noi non vediamo l’ora di provarlo.
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