Mafia III è stato un titolo lungamente atteso. Dopotutto, nonostante le vendite al di sotto delle aspettative, i due capitoli precedenti, soprattutto il primo indimenticabile Mafia, sono ricordati con profondo affetto dagli appassionati. Due racconti affascinanti e maturi sulla mafia italiana sul territorio americano, un mito che ha dato a lungo spazio all’immaginazione di scrittori e registi, il mito di una criminalità importata dalla lontana Italia ma che ha profondamente segnato molte delle città americane del Novecento. Insomma, con una fonte così ricca da cui attingere, non stupisce che 2K abbia deciso di mettere insieme un nuovo studio di sviluppo, Hangar 13, per dare vita ad una nuova epopea criminale, che ridesse vita ad un brand forte ma che non ha mai trovato la piena espressione del suo potenziale, come successo invece ad altri esponenti del “genere” quali Grand Theft Auto, ad esempio.
Annunciato lo scorso anno in pompa magna, il terzo capitolo di Mafia ha fatto parlare di sé per le ragioni più disparate. Ora che abbiamo avuto modo di provarlo nella sua interezza, però, è tempo di tirare le somme su un progetto sicuramente ambizioso, ma anche figlio di un modo di concepire l’open world che, forse forse, nel 2016 andrebbe rivisto dal principio. Ma procediamo con ordine.
Quello di Mafia III è un racconto criminale diverso dal solito, che si distacca con prepotenza dai due precedenti capitoli. Non ci sono picciotti e giovani criminali in cerca dell’ascesa sociale, non c’è un Vito Scaletta che rincorre un Don per ridare dignità alla propria vita, ma un giovane, Lincoln, cresciuto e protetto da un esponente della “Mafia nera” di New Bordeaux, oltre che figlio della guerra del Vietnam e di un periodo buio della storia degli Stati Uniti d’America, tra discriminazione razziale e una costante sensazione di incertezza politica che aleggiava nell’aria.
Ritornato dalla guerra, Lincoln Clay vorrebbe abbandonare la città, e trovare nuovi stimoli nella lontana California. Le altissime palme della West Coast americana sono, per il momento, un sogno distante: il nostro protagonista viene infatti trascinato in una vera e propria congiura, un’offerta che non potrà rifiutare ma che, ingenuamente, il nostro protagonista mette in secondo piano. Sal Marcano, Don della città, come in una partita a scacchi fa la sua mossa, distruggendo la famiglia di Lincoln e riducendolo in fin di vita. Ma cos’è un uomo, una volta spogliato dei suoi legami? È vuoto, e un uomo vuoto non ha morale, è solo mosso da emozioni estreme: la vendetta è per Lincoln l’unica ragione che lo spinge ad andare avanti. Sal Marcano deve cadere, e la “quest” del giocatore è legata proprio al conseguimento di questo obiettivo.
Storie così non se ne vedono spesso, soprattutto nei videogiochi
Non c’è più la Mafia di una volta, quindi, la Commissione non ci riguarda: qui si tratta di distruggerla alle fondamenta, liberando ogni quartiere da quei sistemi gerarchici propri della criminalità organizzata. C’è bisogno di un aiuto però, di tre criminali a loro volta traditi da Sal che si uniranno a Lincoln per la conquista della città: Vito Scaletta, Cassandra e Thomas Burke saranno i nostri “compagni d’arme” a cui assegneremo poi i racket di ogni quartiere e solo in seguito il quartiere stesso.
Il ritmo della narrazione viene infatti scandito dai nostri progressi nella liberazione della città dagli scagnozzi che controllano ogni singolo quartiere. Si tratta di attività, come l’interrogazione di messaggeri, o l’uccisione di individui chiave, che indeboliranno il racket della zona costringendo i “pezzi grossi” a giocare a carte scoperte, permettendo a Lincoln di porre fine alle loro misere vite e di prendere il controllo del quartiere, avvicinandolo sempre più a Sal Marcano. Proseguendo in questa direzione, la crociata di vendetta di Lincoln si arricchirà di preziosi retroscena, dalle testimonianze di Padre James, prete e amico d’infanzia di Lincoln, e di John Donovan, compagno di fucile in Vietnam e infiltrato della CIA.
La narrazione è l’elemento meglio riuscito di Mafia III, e parte dai personaggi e dalla città stessa: dai comprimari fino ai personaggi secondari, tutti sono splendidamente caratterizzati, e la scrittura e l’utilizzo del’approccio “documentaristico” del racconto permettono alla narrazione di scardinarsi dalle strutture rigide spesso proprie di un titolo open world, dando ampio respiro a un bellissimo racconto fatto di vendette, ma anche di una città americana (ispirata a New Orleans), figlia del 1968 e dell’odio razziale, verso quei neri che rubano il lavoro ai “bravi” americani e che, se va bene, danno il meglio di loro dietro un bancone o nelle lotte clandestine.
Hangar 13 è stata brava a raccontare la Mafia da un punto di vista differente, ponendo l’accento su un personaggio esterno come Lincoln Clay, e lasciando che il contesto storico ne influenzasse le vicende. Com’era vivere in quegli anni da nero? Ma soprattutto, è davvero così diverso da ciò che stiamo vivendo oggi? Storie così non se ne vedono spesso, soprattutto nei videogiochi, ed è per questo che il coraggio di Hangar 13 e 2K va premiato ed elogiato. E poi c’è il pulp, “Paint it Black” dei The Rolling Stones e “I Fought the Law” dei The Clash, tra le tante, che impreziosiscono e danno una personalità chiara e definita a questa “nuova” mafia, nera e incazzata come non mai.
Insieme a tutto questo c’è anche l’open world, il demone inseguito a tutti i costi da un po’ di anni a questa parte nel mondo dei videogiochi. Mafia non è mai stato un open world a tutti gli effetti: ci ha provato nel 2 con la Empire Bay di Vito Scaletta fallendo miseramente, o forse no? Il problema di Mafia III è quello di essere un open world così rigido nella sua struttura da non mettere il giocatore nelle condizioni di voler vivere quello spazio virtuale. Le missioni storia, come accennato in precedenza, prevedono la sistematica eliminazione dei racket dei quartieri attraverso attività spesso ripetute per tutta la durata dell’avventura: uccidi quello, interroga quell’altro e ruba questo può funzionare nelle prime ore, ma quando il titolo va ad estendersi oltre le 10/15 ore richieste per il completamento la situazione diventa insostenibile e il tedio appesantisce la struttura narrativa (splendidamente realizzata) che vi abbiamo raccontato prima.
Ed è un peccato, perché l’idea di gestire ed assegnare le zone di influenza ai nostri tre “boss” è sicuramente interessante: assegnare un racket ad uno piuttosto che a un altro ci permette di ricevere favori e perks esclusivi, da una salute maggiorata alla possibilità di richiedere l’intervento gratuito degli scagnozzi di Vito Scaletta a darci manforte, o di comprare esplosivi pericolosi nei negozi grazie alla “raccomandazione” di Thomas Burke.
Il problema di Mafia III è quello di essere un open world così rigido nella sua struttura da non mettere il giocatore nelle condizioni di voler vivere quello spazio virtuale
Una maggiore profondità in questa direzione avrebbe reso la struttura delle missioni (e di conseguenza l’open world) sicuramente più interessante, laddove è ora relegato ad una lista della spesa da sbarrare ogni qualvolta si fanno progressi. Anche l’idea delle quest secondarie legate ai personaggi è interessante solo da un punto di vista narrativo, permettendoci di esplorarne la psicologia e i retroscena (volete sapere che ne è stato di Joe? Aiutate il buon Vito allora) delle loro vite prima dell’arrivo di Lincoln. Ma, pad alla mano, si tratta pur sempre di seguire obiettivi più o meno vari in attività che oltre al basilare spara spara offrono ben poco.
Uno sparare che, purtroppo, non è all’altezza e si presenta piuttosto nella norma, senza guizzi di sorta. Si gestiscono le armi, e ci si fa largo tra i nemici sfruttando le coperture e le eventuali uccisioni stealth tramite coltellaccio militare. Se le prime fanno il loro dovere, ma sono piuttosto grezze e poco reattive alle animazioni di Lincoln, le seconde sono in realtà del tutto inesistenti concettualmente, e di stealth hanno ben poco: l’intelligenza artificiale dei nemici è estremamente deficitaria, e pur reagendo bene ai nostri movimenti, più di inseguirci, coprirsi e sparare non fanno. Attirando le guardie con il fischio sarà spesso possibile chiamarle una ad una ed eliminarle con impassibile e anticlimatica noia, mentre altre resteranno addirittura scoperte permettendoci di trucidarle senza tanta maestria. Il gameplay di Mafia III è grezzo e soprattutto pesante, la reattività dei movimenti di Lincoln è spesso discutibile, e la gestione della mira e delle coperture spesso difficoltosa.
Peccato, perché non mancano le buone idee, come quelle delle sentinelle che corrono verso il telefono più vicino per chiamare rinforzi o i passanti che, se assistono ad un crimine, corrono ad avvisare la polizia. I tentativi di rendere i nemici e la città reattiva e viva sono insomma stati fatti, ma Mafia III non riesce a scollarsi di dosso una sensazione di sporcizia e mancata cura che dovrebbe stare alla base di produzioni così importanti e grandi.
Fatto sta che girare per New Bordeaux è un piacere, grazie ad uno splendido lavoro di “ricostruzione” storica e l’ispirazione di una città e di un’atmosfera mai viste prima in un titolo del genere. Un sistema di guida tutto sommato funzionale (è possibile anche selezionare l’opzione simulativa) rendono l’esplorazione del Bayou, di Downtown, Frisco Bays e tanti altri luoghi estasiante, insieme alla musica che scalpitava nelle radio del periodo e che in Mafia III è semplicemente perfetta, scandendo ogni momento con precisione certosina, incorniciando un’epoca e un’America che incantano e affascinano, e fanno riflettere, per le più svariate ragioni.
Una New Bordeaux che rende anche per il buon comparto grafico, con un ottimo sistema di illuminazione e un dettaglio di texture e modelli più che soddisfacente che impreziosisce la rigogliosa rappresentazione della città americana. Un po’ meno esaltanti invece animazioni e il vero e proprio streaming della città, continuamente piagata, soprattutto nella sua esplorazione in auto, da problemi di caricamento delle texture (troppo lente) e da un pop up che salta davvero all’occhio.
Mafia III non riesce a scollarsi di dosso una sensazione di sporcizia e mancata cura, anche sul fronte tecnico
Problemi anche nelle cutscene, girate in tempo reale con il motore di gioco, che impiegano spesso qualche secondo di troppo a caricare gli elementi della “scena”, rovinando un po’ quella “magia” a cui siamo tanto affezionati, quella che ci porta a credere che la finzione di un videogioco sia ormai sempre più vicina a quella cinematografica. Anche perché sia sul fronte doppiaggio che motion cap siamo su livelli eccelsi, e l’ottima regia non fa che avvalorare le performance degli attori. Nei videogiochi però è anche importante ottimizzare e rifinire, e Mafia III, nel momento in cui scriviamo, è piagato da bug e crash di ogni sorta, che vanno spesso a scontrarsi con un sistema di salvataggio automatico che, come tale, può essere soggetto a corruzioni di dati che non dipendono dal giocatore.
Mafia III è la prova esemplare di come gli open world andrebbero sfruttati e pensati in modo diverso, con una certa maturità ed esperienza che probabilmente il giovane team (composto però anche da veterani dell’industria) di Hangar 13 non possiede ancora. La scalata per la vendetta di Lincoln Clay è quindi un tedioso percorso ad ostacoli, una ripetitiva ma allo stesso tempo eccitante avventura che, forse, avrebbe funzionato meglio con una struttura lineare, o semplicemente con un utilizzo più sapiente della New Bordeaux open world. Martin Luther King aveva un sogno, Lincoln Clay aveva un sogno, e noi, pur dalle aspirazioni morali differenti e probabilmente meno socialmente impegnate, abbiamo un sogno: che gli open world raggiungano la maturità di un 1968 raccontato attraverso personaggi di spessore, con obiettivi e un carattere ben definito, e attraverso una colonna sonora che ci fa vivere quel periodo con un realismo impressionante. Con una scrittura che faccia pensare il giocatore al passato e al presente della società contemporanea, ma che allo stesso tempo non dimentichi l’unica grande regola di questo medium: alla fine, è soltanto un gioco. E Mafia III, in fin dei conti, non è poi così male. |