Martha is Dead – Recensione

Non è facile parlare di Martha is Dead. Non lo è perché, pur essendo un videogioco narrativo come tanti altri mi è capitato di recensire, allo stesso tempo non lo è: la delicatezza dei temi trattati, l’intimità e la profondità che ne fanno da colonne portanti non è possibile circoscriverle nelle logiche di una recensione – che per rispetto nei confronti del lettore deve soltanto sfiorare la componente narrativa senza scendere nel dettaglio.

Soprattutto, non è facile perché la sua componente ludica, per quanto in certi aspetti interessante, è talmente ridotta all’osso da non essere affatto il perno attorno al quale ruota l’intera esperienza. Attenzione, non vuole essere una critica al fatto che “non si giochi”: si tratta semplicemente di mettere in chiaro fin da subito cosa vi aspetta. Un gioco che fa della narrazione e della messa in scena i suoi elementi fondamentali, accompagnati da situazioni più ludiche che però non sono rappresentativi dell’esperienza; fanno da ponte nella costruzione di una narrazione che deve essere, anzitutto, decostruita per essere compresa – e già qui si nota la complessità rispetto ad altre narrazioni lineari.

Consapevole di dovervi il massimo rispetto, non scenderò in dettagli che mi sarebbero utili per farvi comprendere a fondo il mio rapporto con Martha is Dead e soprattutto le criticità che ho maturato nei suoi confronti. Al contempo, spero di riuscire a essere il più possibile esaustiva per permettervi di capire se il gioco tocca le vostre corde.

Brevemente, per quanto riguarda la storia. Ci troviamo in Toscana, sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Giulia e Martha sono due sorelle gemelle, identiche al punto da essere indistinguibili, figlie di un graduato tedesco e di una donna del luogo. Martha è sorda e ha tutto il favore della madre, che invece detesta Giulia al punto da volerla morta – o quantomeno non si dispiacerebbe affatto se ciò accadesse.

Un giorno, Martha viene ritrovata morta proprio da Giulia, che dopo averla trascinata fuori dal lago nel quale l’ha notata mentre scattava fotografie (all’inizio senza riconoscere fosse lei) ne assume l’identità. Scambiata dunque per Martha e trattata come tale, la ragazza ha da un lato l’agio di indagare sull’accaduto senza lo spauracchio della madre, dall’altro la necessità di mantenere una façade impegnativa fingendosi sorda e di conseguenza anche muta.

Come il titolo può spingerci a pensare, Martha is Dead si concentra sul bisogno di scoprire perché sia avvenuto questo omicidio e soprattutto chi è il colpevole. Un thriller psicologico, dunque, che tuttavia non disdegna risvolti horror e situazioni di un certo impatto, tanto da incorrere nelle censure di Sony: sono tre, i momenti ritoccati, ma non posso specificarveli perché si tratta di spoiler pesanti. Due di questi sono scene in cui l’interattività viene eliminata per limitare tutto a un filmato in cui il giocatore non è chiamato a fare nulla di quanto, su Xbox e PC, farebbe; l’altra si vede privata, a livello testuale, di riferimenti a comportamenti autolesionisti che potrebbero turbare la sensibilità di alcuni giocatori.

Martha is Dead fa della narrazione e della messa in scena i suoi elementi fondamentali

Questo perché Martha is Dead calca moltissimo la mano, dimostrandosi uno dei rari, molto rari, giochi in cui viene presentata una crudeltà senza filtri, che non si preoccupa di essere disturbante perché è proprio il suo obiettivo. Una scelta, quella dello studio LKA, molto coraggiosa e da parte mia apprezzata. Gli sviluppatori proseguono quindi lungo la strada già intrapresa con The Town of Light, evitando di mistificare gli eventi per renderli digeribili e, anzi, spingendosi fin dove lo ritengono necessario. La serietà dei temi trattati è tale da non chiedere altrimenti.

Dal punto di vista del gameplay, di nuovo, sarò breve perché le azioni possibili sono tre: esplorare, interagire ed eventualmente scattare fotografie laddove necessario. Peraltro, il fatto che Giulia interpreti una persona sorda fa sì che non ci siano interazioni con altre persone: l’intera avventura è scandita da monologhi interiori o rarissime conversazioni origliate, che ci danno un indizio sullo stato d’animo di alcuni personaggi pur restando molto vaghe.

Non ci sono enigmi, né situazioni particolari da cui svincolarsi. Si va dal punto A al punto B; possono esserci dei passaggi intermedi prima di raggiungere B ma, in generale, Martha is Dead offre la stessa semplicità già vista nel precedente gioco di LKA.

L’elemento della fotografia è una piacevole novità, soprattutto perché ogni foto si scatta dopo aver manualmente impostato tutte le opzioni necessarie affinché venga correttamente: in base all’ambiente dove ci troviamo, al momento del giorno e al risultato che vogliamo ottenere potrebbe servire un particolare obiettivo o persino un cavalletto. Insomma, quando non servono ai fini della storia, le fotografie si scattano per diletto.

Un peccato che, a fronte dei numerosi accessori che si possono raccogliere durante il gioco, siano pochi quelli utili durante la trama: la stessa macchina fotografica, in realtà, ha una rilevanza minore di quanto forse avrebbe potuto avere, mantenendo le azioni del giocatori ai minimi livelli. Sebbene i paesaggi toscani siano splendidi a vedersi, l’ambientazione è piuttosto ristretta e gli appassionati duri e puri di fotografia potrebbero ritrovarsi senza più niente da immortalare dopo poco tempo.

Complessivamente, però, l’esperienza non risulta dispersiva e gli obiettivi secondari non la allungano a vuoto grazie anche alla citata ambientazione “chiusa” che tiene tutto sotto controllo. Le fotografie andranno poi sviluppate seguendo un processo sì semplificato ma ugualmente piacevole da sperimentare.

Il gameplay di Martha is Dead è molto semplice, forse un po’ troppo

Arriviamo al cuore pulsante dell’esperienza: la narrazione. Ancora più precisamente, la messa in scena. Di vitale importanza è capire, e questo il gioco lo mette in chiaro dall’inizio, che noi giocatori non siamo davvero Giulia: la storia che andremo a vivere è narrata a posteriori, in un luogo sospeso nello spazio e nel tempo, dove la stessa Giulia ci invita implicitamente a vestire i suoi panni facendosi voce narrante delle vicende vissute. È importante fare proprio fin da subito questo distinguo perché, nel mio caso, è il motivo per il quale la messa in scena non ha funzionato: come in The Town of Light, Martha is Dead tocca i delicatissimi temi della malattia mentale, attraverso un racconto che porta a un’unica conclusione ma ci chiede, al contempo, di interpretarlo a modo nostro.

Le risposte multiple che dovremo dare in un momento preciso del gioco non altereranno la conclusione ma l’interpretazione degli eventi che ci conducono fino a lì. In un crescendo di confusione e situazioni la cui percezione risulta, da parte di Giulia, distorta e frammentaria, si raggiunge un apice che non funziona, a dispetto di un concept interessante.

Gli intenti erano presumibilmente far passare il messaggio di come certe condizioni psicologiche non permettano un corretto filtro fra realtà e fantasia, disinteressandosi della necessità di far chiarezza, di sciogliere il bandolo della matassa e dirci cosa sia stato vero e cosa no. Non posso spiegarvi fino in fondo perché la messa in scena di una simile idea, da un certo punto in avanti, non funzioni a dovere ma vi rimando ancora una volta all’apertura di questo paragrafo: noi non siamo Giulia, siamo dei semplici uditori che vestono i suoi panni.

Pur vivendo la storia in prima persona, non siamo davvero lei e dunque non dovremmo avere potere decisionale su cosa sia vero e cosa no. Il giocatore pretende di essere qualcuno che non è, qualcuno peraltro ancora vivo e di cui sta ascoltando la storia – se sia andata veramente così o meno, non abbiamo i razionali per pensarlo. Il punto di vista di Giulia, a fronte delle domande che ci vengono poste, è netto e insindacabile poiché il gioco non ci mostra dei contradditori. Se ho vissuto una determinata situazione in un certo modo, non è possibile che risponda contrariamente a quanto ho visto – o meglio, a quanto racconta di aver visto Giulia. Non ho sottomano nulla che mi faccia pensare il contrario. Se anche sapessi che Giulia non è del tutto in sé, e non lo so, come posso mettere in dubbio la sua narrazione?

Qui è dove, secondo me, Martha is Dead perde la sua forza per trasformarsi in una costante confusione dove non si riesce a trovare un punto fermo nonostante si stia ascoltando una storia già vissuta da chi ce la sta raccontando. Oppure, come ho scritto, un contradditorio che ci autorizzi a contestare il racconto che viene proposto. Dobbiamo “subire” le vicende, salvo poi essere chiamati a metterle in discussione senza davvero avere razionali o autorità per farlo.

A dispetto del concept interessante, la messa in scena non funziona

Dal punto di vista artistico, risulta tutto molto piacevole e immersivo. Alcuni elementi sono più dettagliati di altri ma nel complesso si riesce quasi a respirare la campagna toscana che fa da sfondo alle vicende. Ottima anche la colonna sonora, che riesce a veicolare gli stati d’animo di Giulia e differenziare le situazioni fra di loro. A traballare un po’ è invece il comparto tecnico, che a dispetto di un’estetica convincente si costruisce di modelli non particolarmente memorabili e ambientazioni basilari, inficiate anche da un frame rate a volte molto instabile. Il doppiaggio italiano non è sempre convincente ma a livello generale regge, salvo qualche occasionale eccezione.


Conclusioni

Martha is Dead segue la strada costruita dal precedente The Town of Light, facendosi carico del difficile compito di parlare di temi molto delicati – come quelli della malattia mentale – e di farlo senza filtri, usando una brutalità e una crudeltà che raramente si sono viste in questo genere di videogiochi. A dispetto del concept molto interessante, però, la messa in scena non convince a causa soprattutto delle scelte multiple a un certo punto del gioco, che cozzano contro la narrazione per come è stata posta fino a quel momento.

Considerato che Martha is Dead ruota soprattutto attorno a questi due elementi, narrazione e messa in scena, lasciando alla controparte ludica un ruolo più lineare e marginale (forse un po’ troppo) ne esce un gioco sicuramente coraggioso negli intenti ma non troppo focalizzato nella resa.

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