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Speciale 24 Gen 2022

Matrix Resurrections sceglie la pillola viola

L’impatto che la trilogia di Matrix ha avuto nell’evoluzione del cinema (e non solo) è noto praticamente a chiunque. Il primo glorioso capitolo e i due successivi (sviluppati insieme, a distanza di pochi anni) hanno cementificato nell’immaginario di tutti gli appassionati un’estetica ancora oggi decisamente iconografica, grazie ad alcuni elementi fondamentali come il bullet time, i temi filosofici trattati e le incredibili coreografie dei combattimenti: tutti elementi diventati veri e propri marchi di fabbrica. Pochi film possono vantare un’eredità così impressionante e pesante.

Confrontarsi con un pilastro della storia del cinema e del costume mondiale non deve essere stato facile, neanche per una delle due creatrici della trilogia originale. Alla regia di questo Matrix Resurrections troviamo infatti soltanto Lana Wachowski, mentre la sorella Lily ha preferito concentrarsi su altri progetti. La mano di chi ha comunque creato la prima storia di Neo e Trinity è ben presente e, al di là di tutto quello che è possibile dire sul lungometraggio, non possiamo quasi mai parlare di un film che oltraggia la nostra memoria.

Anzi, in maniera molto intelligente (e bisogna ammettere, anche divertente), una buona parte del primo atto di Matrix Resurrections va oltre ad una banale operazione nostalgica: i primi tre film non vengono soltanto citati, ma la loro stessa esistenza è utilizzata come espediente per innescare gli eventi di questa nuova pellicola. Questa è forse una delle operazioni più attente e meglio riuscite in un panorama che vede saghe cinematografiche subire due reboot in pochi anni (vedi Spiderman), versioni alternative con quote rosa (vedi Ghostbusters) o vie di mezzo dai risultati discutibili (vedi Star Wars VII: Il Risveglio della Forza).

La sceneggiatura di Matrix Resurrections è uno degli elementi più riusciti del film. Si può essere più o meno d’accordo con il finale (che vi lasciamo ovviamente scoprire al cinema, magari in una sala IMAX dove sicuramente molti aspetti vengono egregiamente valorizzati), ma è altrettanto indubbio che possiamo rintracciare chiaramente in ogni sequenza del film non solo la mano di una persona che conosce benissimo il tema (e voi direte, ci mancherebbe pure…), ma che soprattutto esprime tutta la sua vena autoriale in questo nuovo capitolo.

Era abbastanza prevedibile che fosse così, ma tra il Matrix creato da Larry Wachowski e quello creato da Lana Wachowski i temi sono cambiati e quelli più importanti diventano l’identità (in senso lato e non solo di genere, sia ben inteso) e l’autodeterminazione, per un vero e proprio superamento di quel binarismo tanto celebre tra predestinazione e libero arbitrio, oggetto invece della prima trilogia.

Ogni storia che si rispetti non può risplendere senza le sue stelle e su questo fronte Matrix Resurrections se la cava piuttosto bene, anche se non alla perfezione: Keanu Reeves e Carry Ann Moss sono sempre lì e ricordarci come si può essere incredibilmente stilosi anche a distanza di 20 anni dal film originale e tutta la loro iconicità non risulta quasi intaccata e, anzi, proprio il tempo trascorso da quel lontano 1999 è portato sullo schermo con grande dignità.

Accanto a loro troviamo nuovi personaggi di cui, per non fare spoiler, non possiamo entrare nel dettaglio, ma sia la performance di Jonathan Groff (Looking, Mindhunter) che quella di Neil Patrick Harris (How I met you mother, Gone Girl) sono totalmente spiazzanti e riuscitissime. Lo stesso purtroppo non possiamo dire dei compagni di avventura di Neo e Trinity: si tratta in gran parte di personaggi non in grado di reggere il confronto con quelli della prima trilogia, senza citare il sacrilegio compiuto sul nuovo Morpheus, assolutamente inadeguato.

Dove Matrix Resurrections fallisce pesantemente (e dove quindi fa più male) è proprio nella sua totale incapacità di creare momenti iconici come quelli della trilogia originale. La storia, per quanto discutibile, tutto sommato funziona, il cast regge il passo, ma l’impianto estetico è incredibilmente piatto, facendo sembrare questo nuovo capitolo di Matrix un qualsiasi altro film d’azione che ci viene pigramente proposto su Netflix. A mancare sono proprio le idee che hanno creato ricordi indelebili, sia a livello coreografico (la posizione della gru di Trinity all’inizio di Matrix, per dirne una), sia a livello di inseguimenti (quello in Matrix Reloaded contro i gemelli resta uno dei più belli della storia del cinema), che a livello narrativo (come ad esempio il tanto discusso dialogo con il Merovingio, per non parlare di quello con l’Architetto). Nulla di questo calibro è presente in Matrix Resurrections che svolge il suo compitino di raccontare questa nuova parte di storia incentrata fortemente sul tema dell’identità e dell’autodeterminazione senza dare troppo fastidio, ma al tempo stesso senza lasciare il segno.

Non bastano giochi cromatici sul tema della pillola rossa e della pillola blu nella prima metà del film a mantenere alta l’attenzione visiva, che porta quindi lo spettatore a smettere quasi di sperare di essere stupito e ad accettare a malincuore l’idea di essere davanti a un bel film d’azione, ma niente di più.

Nonostante questo, è fondamentale per qualsiasi fan della saga accettare la pillola rossa e seguire il Bianconiglio in questo nuovo percorso che Matrix ha intrapreso sotto la guida di Lana Wachowski. Non ne usciremo galvanizzati come dalla visione dei primi tre, ma sicuramente neanche amareggiati. Stiamo comunque pur sempre parlando di Neo.

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