Los Angeles – Normalmente, le notizie riguardo il possibile sequel di un gioco o una serie apprezzata dai videogiocatori genera in questi ultimi una risposta positiva, un mormorio generale di approvazione e perché no, qualche cinguettio su Twitter. Mega Man è tuttavia un franchise particolare, che ha raccolto attorno a sé generazioni di appassionati e in trent’anni non ha smesso di trovare il favore del pubblico, quanto non la richiesta stessa di nuovi capitoli: non sorprende dunque che, nell’anno della sua trentesima candelina spenta, l’annuncio di Mega Man 11 abbia generato notevole rumore sui social – un tam tam mediatico che ha fatto da cassa di risonanza per il gioco arrivando anche alle orecchie dei più distratti. Sarebbe eccessivo dire che per gli appassionati più fedeli abbia raggiunto il livello d’importanza di una seconda venuta del Messia, ma solo perché quel paragone è destinato a una tanto sospirata rivelazione di un futuro Mega Man X9; ciononostante per i fan rimane un’ottima notizia, perché in un contesto dove siamo forse più abituati alle delusioni che a novità apprezzabili soprattutto quando si vanno a toccare certi pilastri videoludici, Mega Man 11 rappresenta una ventata d’aria fresca.
Non è mai bello guardare al passato ma non si può ignorare che dalla metà degli anni ’90 circa fino ai primi anni del 2000 si poteva fare sempre affidamento su qualche notizia dal mondo del nostro androide preferito: abbiamo avuto aggiornamenti costanti sulla serie 2D mentre Capcom si occupava di dare accesso al Blue Bomber nella realtà a tre dimensioni. Era un continuo tributare le radici della serie e al contempo reinventare la serie per adattarla alle console portatili; insomma, non mancava il materiale cui guardare, persino nei rari casi in cui il risultato finale era doverosamente discutibile. Il periodo florido di Mega Man ebbe tuttavia una battuta d’arresto (non casuale, ci viene da dire) quando il produttore Keji Inafune lasciò Capcom nell’ottobre del 2010: il prototipo di di Mega Man Legends 3, in fase di sviluppo con la collaborazione dei fan, venne abolito il luglio successivo e rappresentò forse l’insulto peggiore agli appassionati e allo stesso Inafune. Dieci anni di attesa e speranze per un seguito di Mega Man Legends 2 furono vanificati in pochi mesi portando la pagina Wiki dedicata al gioco a diventare una sorta di discarica per la frustrazione dei videogiocatori. Spettacoli cui non vorremmo assistere mai, a prescindere dal titolo preso in esame, tuttavia in un certo senso comprensibili.
Capcom non lasciò passare sotto silenzio la situazione e rassicurò i fan che Mega Man era ancora importante per la società, promettendo loro che sarebbero arrivate prove a riguardo. Iniziò così una lunga attesa, di tanto in tanto ravvivata dalla pubblicazione – se non proprio di veri e propri capitoli ufficiali – di tributi per il robot dal cuore umano: per quanto tuttavia affascinante, un “fangame” del calibro di Street Fighter x Mega Man, nel dicembre 2012, era ben lontano dall’idea comune di celebrazione del venticinquesimo anniversario. Eppure i fan non si arresero e continuarono a sperare nella fantomatica luce in fondo al tunnel, convinti che Capcom non avrebbe rimuginato ancora a lungo sul “tradimento” di Inafune. L’annuncio delle due Mega Man Legacy Collection fu accolto come un segno che la serie era di nuovo pronta a respirare e così, infine, è stato: superando le espressioni scettiche e i mugugni scontenti degli appassionati, Capcom ha dato prova di non essersene dimenticata presentando non uno spin-off né un gioco per cellulare, bensì un capitolo ufficiale previsto per le console di punta del mercato, Switch compresa. Mega Man 11 è diventato realtà e al booth Capcom nel corso dell’E3 2018 non abbiamo esitato a metterci mano per raccontarvi com’è! Prima di affondare in un’anteprima dettagliata, qualche anticipazione possiamo darvela perché non abbiamo più timore di scriverlo: Mega Man 11 è fantastico. Strizza l’occhio agli anni che furono mantenendo la nitidezza dei titoli classici ma la nuova meccanica Double Gear aggiunge profondità e aiuta questo undicesimo capitolo a distinguersi diventando molto più che un semplice ritorno al passato: un run-‘n’-gun che emerge sì per le sue meccaniche ma soprattutto per un comparto artistico che, prevedibilmente, ha generato di scalpore fra i puristi. Modelli dei personaggi, livelli e sfondi sono infatti per la prima volta in 3D. L’azione si mantiene tuttavia in 2D, portando così a un gioco in 2.5D che in realtà non deve stupire perché già messo in scena con il recente Metroid: Samus Returns e la serie New Super Mario Bros.
Le critiche non hanno tardato a mancare ma, almeno dal mio punto di vista, non farebbe male provare a uscire da certi schemi e vedere il design del gioco per quello che è: gradevole pur senza arrivare all’eccellenza. Avrei preferito un risultato vibrante come è stato per Ori and the Blind Forest e, adesso, Ori and the Will of the Wisps? Certo. Sarebbe stato fantastico se Mega Man avesse goduto di un design realizzato totalmente a mano come il remake di Wonder Boy: The Dragon’s Trap? Anche quello non mi sarebbe dispiaciuto. Da qui a ridicolizzarne l’aspetto artistico però c’è differenza, soprattutto perché una cosa va presa in considerazione: gli ultimi due capitoli della serie sfruttavano la nostalgica grafica 8-bit e se in Mega Man 9 questa ha colto nel segno, restituendoci il fascino dei suoi anni d’oro, già con Mega Man 10 ha iniziato a perdere parte del suo smalto. Scommettere su un altro titolo con lo stesso stile avrebbe potuto portare Capcom a essere tacciata di pigrizia e poi, diciamoci la verità, otto dei dieci capitoli principali sono in 8-bit: come ho scritto poco sopra, ogni tanto è anche bello provare qualcosa di nuovo. Senza contare i vantaggi che l’utilizzo di una grafica 3D apporta in un gioco 2D, come una maggiore profondità degli sfondi e semplicità nel mostrare alcuni dettagli dei personaggi o aggiungere altri effetti speciali, come fumo e scintille. Senza dimenticare che Capcom non ha certo abbandonato i colori e il design che caratterizzano da sempre Mega Man: tutto appare più luminoso e il lieve effetto di cel-shading aiuta i personaggi a emergere mentre la telecamera è abbastanza indietro da offrire quanto più spazio possibile attorno a Mega Man – semplificando la schivata e la pianificazione dei salti. C’è davvero tanto per cui essere soddisfatti.
Spendo qualche parola anche per l’animazione, ugualmente messa sotto esame a causa della sua rigidità. Riconosco esserci ma è altrettanto importante capire perché si presenta così: a differenza di altre stelle del platforming, Mega Man deve essere in grado di fermarsi e girarsi immediatamente. Laddove Mario o Sonic possono prolungare leggermente il loro slancio anche una volta lasciato andare il D-pad, trascinandosi un po’ in avanti nel caso debbano fermarsi o rallentando un po’ quando si tratta di cambiare direzione, Mega Man non segue lo stesso schema perché deve prendere la mira, schivare i proiettili e al tempo stesso saltare: ciò richiede una fisica piuttosto precisa, che si risolve in un’immediatezza nelle azioni persino quando sono una concatenata all’altra. Potrebbe sembrare leggermente sgradevole a livello visivo, tuttavia è importante capire le ragioni di design dietro una simile scelta: è un compromesso per mantenere il classico gioco di Mega Man. Con questo non voglio difendere a spada tratta il comparto artistico di Mega Man 11 affermando che è coraggioso, incredibile o meraviglioso; ma funziona quando accompagnato al gameplay e questa è a cosa più importante, soprattutto in un titolo come questo il cui fallimento o successo dipendono proprio dai comandi.
Dunque eccoci tornati al punto principale di questo articolo: la demo di Mega Man 11 all’E3 2018. Dopo aver selezionato il livello di difficoltà sui quattro a disposizione veniamo messi di fronte a due stage. Ho scelto di cominciare da quello di Block Man, che vede il nostro coraggioso androide farsi strada all’interno di una fabbrica immersa in quelle che sembrano rovine di una città azteca. Nastri trasportatori, blocchi di cemento in caduta libera e mortali spunzoni disseminavano l’area, sviluppando un level design in grado di tenerci in ogni momento sulle spine. Anzi, posso dire senza problemi che in termini di difficoltà eguaglia gli originali, forse riesce persino a superarli (seppur di poco) a causa della maggiore velocità. I nemici sono incredibilmente rapidi e devo ammettere di essere spesso scampata per un soffio ad alcuni dei loro attacchi o delle stesse trappole, trovandomi costretta a un impegno che mi fa ben sperare perché se anche tutti gli altri stage somigliano a quello di Block Man, è certo che i fan di vecchia data si troveranno di fronte a una gradita sorpresa: la nuova generazione non ha troncato in alcun modo la difficoltà. Arrivata infine al cospetto di Block Man, non ci è voluto molto a capire che i combattimenti contro i Robot Master hanno subito un’impennata sia dal punto di vista della portata sia dell’intensità dividendosi ora in “fasi”; dopo quello che potremmo definire un semplice riscaldamento, Block Man non ha gradito ulteriormente la mia presenza e si è trasformato in un colosso di pietra e metallo le cui dimensioni occupavano metà dello schermo. Persino dopo essere riuscita a ridimensionarlo a seguito di un’estenuante battaglia, non gli mancavano assi nella manica. Questi scontri sono stati pensati per essere mutevoli e costringere il giocatore a un continuo adattamento e rivisitazione della propria strategia, apprendendo i pattern del nemico per garantirsi almeno una possibilità di successo.
Entra qui in scena il nuovo sistema di cui ho accennato all’inizio dell’anteprima: Double Gear, suddivisa in Speed Gear e Power Gear per consentire a Mega Man rispettivamente di potenziare per un breve lasso di tempo i propri colpi, oppure dare il via al bullet time per rallentare l’azione e facilitarti un passaggio ostico. Devo ammetterlo, ero preoccupata che il Double Gear avrebbe semplificato troppo Mega Man 11 ma Capcom non si è lasciata cogliere impreparata e ha sviluppato i livelli del gioco proprio attorno a questo aspetto, costringendomi fin da subito a sfruttare le potenzialità del Double Gear per non soccombere – in particolare nello stage di Fuse Man, ovvero l’esatto opposto del granitico Block Man. Di dimensioni normali e molto, molto più veloce, sono stata in grado di batterlo solo perché avevo avuto modo di fare molta pratica con il suo cugino troppo cresciuto. In entrambi i casi, comunque, non significa che potete abusare di questa nuova meccanica: il trucco sta proprio nel leggere il livello e capire quando sfruttarla e quando invece è il caso di conservarla mettendo alla prova le nostre abilità, rendendo di fatto Double Gear un sistema a tutto tondo e non semplicemente limitato agli scontri con i boss. Ve ne accorgerete dall’ottimo lavoro d’integrazione da parte di Capcom per quanto riguarda gli scenari: certi nemici o ostacoli sembrano (o forse lo sono) esser stati progettati per essere impossibili da superare senza l’uso del Double Gear.
Ho già anticipato la leggera legnosità dei movimenti e la nuova grafica 3D implementata in un contesto 2D. Per i più affezionati potrebbe risultare un ostacolo al divertimento ma, ancora una volta, vi invito a dare al gioco la possibilità che merita: non siamo di fronte a una copia di Mighty No. 9, che metteva in campo aspetti ben più discutibili di qualche coraggiosa opera di svecchiamento. Mega Man è più “secco” nei movimenti, privo della continuità che caratterizza altri suoi colleghi di piattaforma, ma è una legnosità che deve essere letta nell’ottica in cui si svolge; pensate a come sarebbe complesso gestire i livelli senza la sua immediatezza. Lo stesso discorso vale per il comparto artistico. Tre dimensioni sono spesso meglio di due e per quanto il fattore nostalgia possa sì giocare un ruolo importante, è altrettanto giusto provare a muoversi in altre direzioni. Mega Man 11 rappresenta un nuovo, decisivo punto di partenza per la serie.
Tirando le somme, ci è voluto tempo per arrivare qui ma sono anni ben spesi. Mega Man 11 si preannuncia meritevole dell’eredità che la serie classica ha lasciato più di quanto gli appassionati sperassero e nonostante il cambio di gestione, non si è perso nulla in termini qualitativi. Il gameplay action è stimolante e frustrante al punto giusto, duro in una maniera buona e incoraggiante, mentre nuove meccaniche come il Double Gear dimostrano che c’è ancora spazio per idee fresche e divertenti che possono essere implementate nella struttura di base già assodata da tempo. Se siete fan, non dovete avere nulla da temere: Mega Man 11 sa come restare fedele alle sue radici riuscendo nel contempo a toccare le giuste, nuove corde per il successo. Non resta che aspettare con impazienza il prossimo 2 ottobre.