Quando si parla dell’universo di Metal Gear Solid, quell’enorme e contorto mondo creato dalle fertile immaginazione del maestro Hideo Kojima, tendiamo tutti ad essere un po’ suscettibili. Ecco perché l’annuncio di Metal Gear Survive fatto da Konami (poco tempo dopo l’aver pubblicamente cacciato il suo pupillo creativo dagli studi) è stato accolto in maniera a dir poco scettica: d’altronde, cosa avrebbe potuto mai offrire un titolo il cui unico scopo sembrava essere quello di sopravvivere ad ondate sempre più numerose di mostri simili a zombi, portando allo stesso tempo il nome di uno dei videogiochi più apprezzati di sempre? Dal canto suo, Konami non ha nemmeno cercato di focalizzare l’attenzione sui dettagli importanti, rimarcando invece il brand a cui Survive è indissolubilmente legato e la forte componente multigiocatore (che come vedremo è uno dei punti meno riusciti della produzione), cosa che purtroppo non ha fatto altro che allontanare i fan più accaniti e integralisti.
Ma cos’è veramente Metal Gear Survive e soprattutto, quanto ha della saga originale?
Il nuovo esperimento targato Konami è prima di ogni cosa una grande e coraggiosa scommessa, dove appare chiaro che gli sviluppatori, metabolizzata l’assenza del proprio leader, si sono rimboccati le maniche ed hanno cercato di dare nuova linfa ad una serie che con tutta probabilità ha ancora tanto da raccontare. E lo hanno fatto pubblicando un gioco diametralmente lontano dai canoni classici della saga, un gioco dalle tinte survival molto marcate, con caratteristiche da tower-defense ed un comparto multiplayer vacillante ma contestualizzato.
Purtroppo però, una delle colpe più grandi di Metal Gear Survive è proprio il suo nome e l’ingombrante eredità che si porta dietro.
Se pensate che la nuova produzione Konami sia esclusivamente multiplayer, sbagliate di grosso: Metal Gear Survive ha una campagna singleplayer longeva, articolata e ricca di spunti più o meno interessanti che rappresenta di sicuro il fulcro di tutta l’esperienza. Inizia tutto con il primo attacco della XOF alla Mother Base originale (la fine di Ground Zeroes, ricordate?), dove i Diamond Dogs rimasti tentano di garantire a Big Boss e ai suoi alleati una via di fuga sicura mentre l’enorme piattaforma in mezzo all’oceano cola lentamente a picco. Il giocatore interpreta uno dei tanti soldati rimasti a combattere che, poco dopo il decollo dell’elicottero di Snake, vede apparire in cielo una gigantesca tempesta che sembra risucchiare il mondo intero. Poco più avanti si scoprirà essere un “wormhole”, ossia un cunicolo spazio-temporale in grado di stabilire un collegamento tra due dimensioni.
Peccato che l’altra dimensione non sia ospitale come la nostra, ma morente e pericolosa, abitata da mostri noti come Vaganti, esseri senzienti un tempo umani il cui unico obiettivo sembra essere l’eliminazione di qualsiasi altra forma di vita. Il protagonista, già infettato dalla piaga che trasforma in vaganti e quindi condannato a morte certa, viene quindi spedito nella dimensione di Dite con due obiettivi: il primo è quello di stabilire un contatto con la precedente squadra di spedizione, il secondo invece rappresenta il vero scopo della misteriosa compagnia che gestisce tutta l’operazione ed è quello di estrarre quanta più Energia Kuban possibile.
Il mondo di Dite infatti trabocca di questa potente forma di energia, ottenibile tramite l’uccisione di infetti o la raccolta dei cristalli naturali che crescono disordinatamente sulla mappa, e potrebbe rappresentare una vera e propria rampa di lancio per il futuro di tutta l’umanità oltre che permettere al personaggio principale di salire di livello e apprendere nuove abilità.
Il gioco riprende lì dove finisce Ground Zeroes
Una volta catapultati nella nuova realtà la vera natura di Metal Gear Survive esce prepotentemente dal bozzolo. Dopo un essenziale tutorial, che ci spiega i movimenti base e i principali indicatori dell’HUB, il nostro eroe raggiunge il QG della zona ed incontra Virgil AT-9, l’unità di intelligenza artificiale con cui si interfaccerà per buona parte dell’avventura. Attraverso Virgil potremo quindi accettare missioni, ordini quotidiani e settimanali, caricare informazioni raccolte durante l’esplorazione ed eventualmente entrare in modalità multigiocatore online. Ma tutto questo verrà dopo, poiché una delle prime necessità del giocatore è recuperare viveri per tenere a bada gli indicatori di fame e sete. Questi valori sono imprescindibili e scendono in maniera costante e repentina, costringendovi sempre e comunque a portarvi una buona scorta nell’inventario per evitare di morire. Ma non è tutto, perché ovviamente alcune azioni specifiche (come il combattimento o le arrampicate) sottraggono energia e di conseguenza aumentano le vostre necessità fisiologiche; al di sotto del 20% il protagonista si indebolirà, sarà più lento e gli si offuscherà la vista, rendendo difficile se non impossibile giocare con la dovuta efficienza.
Dovrete bere e mangiare e dovrete farlo bene, perché l’acqua sporca o la carne cruda ad esempio, potrebbero causarvi un’infezione intestinale con conseguente vomito e ulteriore debilitazione (a cui potrete ovviare con un medicinale, ma solo se è specifico per la vostra malattia: non potrete curare un’emorragia con un semplice cerotto per intenderci). E poi c’è la raccolta delle risorse, altro tassello fondamentale nelle dinamiche di Metal Gear Survive. In giro per la mappa potete raccogliere un po’ di tutto e quello che non potete raccogliere, lo potete distruggere per poi prelevarne i pezzi. Grazie al vetro, all’argilla, all’acciaio o al cotone, avrete la possibilità di assemblare armi rudimentali, utili per la caccia e per i vaganti standard e oggetti da difesa. Le meccaniche survival entrano in gioco subito e appare quindi chiaro come bisognerà comportarsi per non avere la peggio, tant’è vero che i veri nemici compariranno solo più avanti e solo quando avrete ben assimilato le numerose indicazioni necessarie.
È proprio nelle fasi iniziali che però si annidano molti dei problemi di Metal Gear Survive che purtroppo fatica a scrollarsi di dosso con il prosieguo dell’avventura. Al di là della monotonia delle missioni secondarie, sono proprio le missioni principali a mancare di quel mordente necessario a rendere la trama appassionante; quasi sempre si tratta di raggiungere un luogo, liberarlo dai vaganti, raccogliere questa o quella scheda di memoria e tornare alla base. Più raramente c’è un salvataggio di un superstite o occasionali boss fight. Il tutto è spalmato su quasi 30 ore di gioco, davvero troppe per una così esigua varietà di situazioni che il gioco è in grado di offrire. La parte così spietatamente survival di Metal Gear Survive ci viene incontro, tenendoci impegnati ore a fortificare la base, ampliarla con nuovi banchi da lavoro per ottenere armi, medicine, cibo sano e sperimentando la creazione di nuovi oggetti più o meno utili. Ma l’entusiasmo iniziale non dura molto e complice tutta una serie di effetti collaterali a cui si andrà sicuramente incontro in più di un’occasione (mancanza di cibo/acqua e penuria di risorse), si finisce per catalizzare tutta la nostra attenzione verso la sola campagna principale.
L’esplorazione del mondo esterno mette poi a nudo un altro problema: Dite è un mondo enorme (e uguale a quello di MGS V di cui ricicla spudoratamente gli asset grafici) ma desolato. Oltre i compiti assegnati da Virgil AT-9 c’è ben poco da fare e da scoprire. Ma soprattutto non c’è traccia di vaganti, in quanto la maggior parte di loro si concentrano nella “polvere”, una zona tossica in cui è possibile entrare solo dotati di bombola d’ossigeno (che otterrete in un preciso momento del gioco) dove si annidano la maggior parte dei pericoli di questa dimensione alternativa e quindi si celano anche la maggior parte dei tesori e delle ricompense più ghiotte.
Dite, il mondo di Metal Gear Survive, è enorme ma desolato
Sopravvivere al suo interno rappresenta una vera e propria impresa, sia a causa del nutrito numero di nemici presenti, sia per la nebbia che rende difficile l’orientamento. Fortunatamente molti dei vaganti possono essere superati evitando il contatto visivo diretto e muovendosi senza fare rumori improvvisi (anche qui c’è un riutilizzo integrale dei movimenti e delle azioni compiute da Big Boss nella sua ultima avventura), ma occasionalmente gli scontri saranno inevitabili. Purtroppo il sistema di combattimento è ben diverso da quello a cui eravamo abituati nell’ultimo Metal Gear Solid e non nel senso buono. Il protagonista è lento, a volte impacciato e molto debole rispetto ai suoi avversari: vi basti pensare che un paio di colpi ben assestati possono uccidervi, costringendovi a ricaricare dall’ultimo checkpoint.
Come se non bastasse, molte delle armi più forti saranno disponibili solo nelle fasi avanzate, il che vuol dire che per buona parte dell’avventura sarete costretti a scappare o al massimo ad utilizzare strumenti difensivi, come grate metalliche o coperture in legno, per ritardare l’offensiva dell’orda. Ciò diventa esageratamente difficile nei momenti “tower-defense” del gioco, dove sarete chiamati a riattivare i wormhole di collegamento tra i diversi punti della mappa, mentre decine di vaganti convergono alla vostra posizione.
Ma il vero nervo scoperto della produzione è la compagine multiplayer. Al netto di tutta l’esperienza, Metal Gear Survive fatica proprio lì dove invece apparentemente ha puntato moltissimo. Dal quartier generale della campagna si può accedere all’HUB cooperativo in qualsiasi momento, venendo istantaneamente trasportati in una sorta di open space che funge anche da stanza per la ricerca e il matchmaking. Una volta trovate altre persone è possibile preparare il proprio equipaggiamento in vista della missione accettata (cambiano in base alla difficoltà), attrezzandosi con tutto l’occorrente. Lo scopo principale è quello di difendere un gigantesco estrattore di energia Kuban dagli attacchi nemici entro il tempo previsto.
Man mano che si prosegue gli avversari diventano più numerosi, più feroci e meglio equipaggiati, di conseguenza anche i 4 giocatori dovranno essere in grado di cooperare difensivamente, piazzando in maniera intelligente ostacoli, torrette automatiche o trappole esplosive che è possibile creare in banchi da lavoro appositi con il materiale raccolto durante i momenti di tregua tra un’ondata e l’altra. Il tutto accade in modo molto frenetico e risulta difficile gestire la squadra in maniera produttiva, soprattutto se si gioca insieme a perfetti estranei. Inoltre il livello generale di sfida è molto alto, anche per le missioni classificate come facili, il che obbliga i giocatori più deboli a seguire passivamente i più esperti, in quanto il loro apporto alla partita è praticamente nullo.
Le ricompense sono direttamente legate all’esito del match: più alto è il grado ottenuto, maggiori saranno i forzieri da saccheggiare con all’interno equipaggiamento raro, ricette per pasti o armi e materie prime in quantità abbondanti, oltre che energia Kuban equamente divisa. In generale, la modalità multiplayer si riduce a questo unico tipo di missione, variando esclusivamente le mappe (peraltro tutte molto simili e ben poco esaltanti) e la difficoltà. Che giochiate in compagnia dei vostri amici o di altri utenti, difficilmente vi tratterrete a lungo con la co-op online.
Anche tecnicamente il titolo Konami vacilla e non poco. Nonostante siano passati 2 anni e mezzo dalla pubblicazione di Metal Gear Solid V, lo stesso Fox Engine utilizzato in Metal Gear Survive appare in condizioni peggiori. I modelli poligonali sono fiacchi e privi di quel caratteristico guizzo creativo che rendeva unico e irripetibile ogni personaggio dell’era Kojima. Anche le ambientazioni non offrono nulla di diverso rispetto a quello già visto e abbondantemente vissuto in The Phantom Pain, se non fosse per la deriva “mostruosa” dei nemici da affrontare e per il senso di decadenza che traspare da ogni angolo di Dite (persino le piante raccolte sono le medesime). La stabilità, in compenso, è ottimale e il gioco, almeno su PS4 Pro, si attesta sui 60fps fissi, con caricamenti rapidissimi e una resa visiva che può accontentare i meno esigenti. Il livello di personalizzazione del proprio beniamino non si discosta molto da quello osservato in Metal Gear Online, al di là di qualche sporadica aggiunta, come l’invecchiamento della pelle e una più vasta gamma di tatuaggi, cicatrici e pitture per il volto.
Molto buono il doppiaggio inglese e giapponese dell’avventura e buona l’idea di resuscitare lo stile Codec per le conversazioni tra più personaggi, cosa che i più nostalgici di sicuro apprezzeranno.
Se da un lato la profondità e l’accuratezza con cui Konami ha messo in piedi questa enorme e sfaccettata esperienza survival lascia incredibilmente sorpresi, dall’altro abbiamo purtroppo constatato un’attenzione insufficiente verso ciò che conta davvero in un titolo del genere, ossia una trama intrigante e ben articolata, che spinga il giocatore ad andare oltre la mera esplorazione e raccolta di materiali. Il mondo di Dite non rappresenta un mondo da cui si è affascinati, quanto piuttosto una realtà già morta, priva di interazioni stimolanti, dove tutto ciò che conta è accumulare risorse e gestire una base in maniera quasi meccanica. Un vero peccato perché, sorprendentemente, le premesse che nessuno dava per scontato erano tutte lì, pronte per essere utilizzate al meglio, per cercare di riabilitare un marchio ingiustamente infamato da chi tutt’ora lo detiene. Metal Gear Survive non è Metal Gear Solid, né tanto meno è mai voluto esserlo. È uno spin-off (come ce ne sono già stati in passato) che al netto dei pregi e dei difetti (e del prezzo di vendita, 39,98€ molto competitivo) non riesce a convincere appieno, offrendo un’esperienza sì abbondante ma poco coinvolgente e posizionandosi in quel limbo di videogiochi che verranno presto dimenticati. Le incertezze tecniche e la monotonia assordante del reparto multiplayer non fanno che rendere la pillola ancora più amara. Resta quindi la consapevolezza che il team di sviluppo, seppur senza Hideo Kojima, riesce ad incanalare gli sforzi ed il lavoro sodo in progetti dalle potenzialità nascoste, ma anche il dispiacere che per ora questo processo di maturazione per far diventare quei progetti vere e proprie icone del videogioco è ancora agli albori. |