Los Angeles – Una narrazione potente, un’atmosfera carica di decadenza e disperazione, delle meccaniche a metà tra gli FPS e i survival: è la saga di Metro, tratta dai romanzi di Dmitrij Gluchovskij e targata 4A Games, talentuoso team ucraino pronto a compiere il grande salto. Già, perché Metro Exodus non si accontenta di essere un semplice nuovo capitolo, ma punta ad essere quello della definitiva consacrazione, quello in grado di stravolgere per sempre non solo il brand, ma anche il suo stesso team di sviluppo.
Al di là di un poderoso rinvigorimento tecnico/grafico, con Metro Exodus lo studio spalanca le porte dell’immensa Madre Russia, portandoci al di sopra delle buie e cupe metropolitane dei precedenti capitoli, ora semplici e lineari punti di raccordo tra sezioni, di fatto, semi-open world ad ampio respiro, cercando di catturare le vibes di un’altra grande e storica serie, S.T.A.L.K.E.R., su cui alcuni membri del team hanno lavorato. Il nostro “esodo”, nella forma di un hands on in quel di Los Angeles, ha inizio nel momento in cui Artyom e soci, inclusa sua moglie Anna, scoprono che c’è vita oltre Mosca, e partono all’avventura in direzione Yamantau a bordo del treno Aurora, la loro base su binari, ma qualcosa va immediatamente storto, come da manuale.
Il nostro viaggio subisce una brusca interruzione nei pressi del fiume Volga: un guasto, prima, riparabile in non meno di un giorno, e l’avvistamento di una richiesta di aiuto da un minuscolo villaggio in lontananza, in seguito, ci costringono a mettere piede a terra e partire all’esplorazione del mondo circostante, l’occasione perfetta per testare con mano una delle promesse del team, ovvero quella di offrire vaste sezioni esplorabili in (pressoché) completa libertà. Questa sezione in particolare offre circa 4 ore di gameplay (6 per i completisti), ma a noi ci è stata concessa un’ora scarsa, quindi ci siamo focalizzati sulla missione principale (anche se l’impressione è di trovarsi veramente in un’area sconfinata): salvare una donna che sventola una bandiera dalla cima di un campanile. Prima un breve tratto a piedi nella fredda steppa innevata, poi uno a bordo di una piccola barca a remi, in quanto si tratta di un villaggio di pescatori trasformato in covo di folli nemici della tecnologia, capeggiati dal santone Silantius. Nastya, unica mente pensante in quel nido di senza cervello, è una bambina che non riesce a star zitta, e che non si fa troppi scrupoli quando si tratta di far notare a quegli adulti un po’ squinternati che ciò che dice quel santone è soltanto una fandonia bella e buona, ed è per questo che viene tenuta in ostaggio insieme a sua madre Katya, proprio la donna che ci ha chiesto aiuto poco prima.
Gli abitanti ci accolgono apparentemente a braccia aperte, ben felici di diffondere il verbo, ma nel momento in cui raggiungiamo la cima della torre e chiediamo spiegazioni alle due prigioniere, una squadra di soldati armati fino ai denti inizia a perlustrare la zona, pronta a darci la caccia. In frangenti come questo, Metro Exodus ci pone davanti ad alcuni dei numerosi bivi “karmici”, positivi o negativi, ma anche alle dure condizioni che la sua anima survival e un po’ tutto il contesto in cui è ambientata la saga impongono: massacrare chiunque, sperando però di trovare abbastanza risorse e proiettili con cui resistere fino alla fine, oppure tentare un approccio non violento (o quasi), semplicemente stordendo, e risparmiando munizioni preziose per le demoniache creature che le radiazioni hanno reso ancor più forti e mostruose? Durante la nostra prova abbiamo testato entrambi gli approcci, prima quello “all guns blazing”, mettendo a dura prova una I.A. che al momento (si trattava di una beta build) risulta un po’ altalenante, scaltra negli scontri a fuoco, ma un po’ troppo disattenta quando con Artyom si opta per la via più silenziosa e non letale: nel primo caso, il sistema di mira ci è apparso un po’ rigido, giustificato comunque dalla precarietà in cui riversa il nostro protagonista (basti pensare che le armi vanno pulite di tanto in tanto, per non rischiare di rovinarle o comunque comprometterne l’efficacia), mentre l’essenza stealth diventa lievemente meno interessante proprio per via dell’I.A., dove le opzioni a disposizione sono comunque semplici ma efficaci, come la possibilità di spegnere lumini e caminetti, così da ridurre la visibilità (una lucetta sul nostro polso, dove alloggiano un contatore Geiger e un timer per i filtri della maschera a gas, necessaria a sopravvivere ai gas tossici), o di trasformare allarmi (come dei barattoli di latta appesi a dei fili, che è possibile tagliare semplicemente interagendoci) in utili strumenti per distrarre gli avversari e allontanarli dal loro punto di vedetta.
Lo scontro con numerosi nemici ci ha permesso anche di saggiare il nuovo sistema di crafting, che permette di creare oggetti in ogni dove (ma per upgrade più sostanziosi serviranno comunque postazioni ad hoc), a partire dalle molteplici mod per le armi (che è possibile rimuovere al volo da quelle lasciate dai nemici e piazzarle altrettanto agilmente sulla nostra arma), fino ai medkit, ai filtri e ai proiettili, il tutto però senza “congelare” il mondo circostante, il che richiede di dover valutare con cura quando sia il momento giusto per craftare, pena, il beccarsi una pallottola in testa senza troppi convenevoli. Dopo aver ripulito l’area siamo tornati al treno, non prima però di aver incontrato qualche bestia immonda, inclusa una marina che ha distrutto la nostra imbarcazione, e una volta lì il nostro tovarish armaiolo ci ha donato una possente arma pneumatica, di quelle attivabili letteralmente a manovella, comunque già presenti nei precedenti episodi, ma che qui non abbiamo potuto provare per mancanza di tempo.
A farci storcere il naso, salvo la questione I.A., c’è stato ben poco: anche visivamente, in 4K e su Xbox One X, Metro Exodus ci è parso davvero impressionante, non tanto nel colpo d’occhio, per via di una decadenza generale voluta e ricercata o dei volti dei personaggi non proprio stellari, quanto più nell’estrema cura riservata ai dettagli, dall’interno delle strutture (a partire dall’Aurora) fino alle divise, e ovviamente al mondo circostante, deliberatamente monocromatico, almeno in questo stralcio di gioco, e sin troppo “assolato” rispetto alla putrida claustrofobia del passato, ma indubbiamente affascinante, in quel suo inquietante silenzio, in quel suo pallore spettrale. I singhiozzi del framerate ci hanno colpito sicuramente in maniera meno positiva, così come delle lievi agevolazioni che, alla lunga, rischiano di compromettere la natura più survival di Metro, ma questa è solo una piccola riflessione tutta da verificare. I dubbi su come il team sfrutterà la natura più aperta dei livelli restano comunque intatti, e lo stesso vale per questioni puramente tecniche, come i lunghissimi caricamenti tra una morte e l’altra, stemperati goffamente da soluzioni di design davvero strane, come il dover forzatamente chiudere la porta di una minuscola stanzetta in cui si è appena entrati per cercare del buon loot, per poi doverla chiaramente riaprire: va bene alleggerire un po’ le texture, ma perdere tempo non è mai il massimo.
Il poco tempo a disposizione non ci ha permesso di approfondire la vera novità di Metro Exodus, ovvero la sua struttura più aperta: l’impianto di gioco sembra molto simile al passato, ma siamo curiosi di vedere in che modo il team sfrutterà queste vaste zone e come le riempirà, tra insidie, cunicoli, creature di ogni genere e forma pronte a risucchiarci quel poco di vita che ci è rimasta, e radiazioni a gogo. Certo è che un Metro via via più vicino a quel leggendario S.T.A.L.K.E.R. (a cui membri del team lavorarono vari lustri fa) non può che farci piacere, e nonostante questa prima sezione sia sotto la luce del sole, la speranza di vedere quello stesso ampio respiro immersi in un qualche nulla cosmico a qualche metro sottoterra dalla steppa russa ci intriga e non poco.