22 Giu 2016

Mighty No. 9 – Recensione

La storia di Mighty No. 9 è una di quelle che, ai giorni nostri, difficilmente passa inosservata. Una fiaba dei tempi moderni, dove al posto delle principesse da salvare troviamo titoli indipendenti alla ricerca del successo, Publisher con pochi scrupoli e ancor meno cuore e poi loro, le piattaforme di crowdfunding, a regalare la speranza di un happy ending come si deve. Dell’ultima avventura di Keiji Inafune, oramai, ne parliamo da mesi: il distacco senza nemmeno troppi convenevoli da Capcom e, da lì a poco, la creazione dell’etichetta indipendente Comcept. La rincorsa di un sogno che si protraeva oramai da troppi anni, un ritorno alle origini di uno dei personaggi più amati dallo stesso designer, Mega Man, senza freni inibitori o barriere imposte dall’alto: Inafune sorprende tutti, conquista il pubblico e finisce pure su Kickstarter, sbancando il botteghino con un incasso inaspettato di 4 milioni di dollari. Mighty No. 9 non solo è sempre più reale, ma piace alla gente, un sacco. Così tanto che inizia ad essere fiutato dal naso di Deep Silver, che intravede nel ritorno di Inafune-San delle potenzialità assenti da tempo. Era grossomodo il 2013, e nessuno avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo da lì in avanti.

Da quell’annuncio quasi a sorpresa ad oggi, la reputazione di Mighty No. 9 ha subito delle dure battute d’arresto. Inizialmente previsto per il primo trimestre del 2015 per poi essere spostato alla fine dello stesso anno e, nuovamente, all’estate 2016 per motivi mai troppo chiari – se non il classico “miglioramento all’esperienza di gioco generale“, l’interesse per l’omaggio al passato di Inafune è calato progressivamente, complici delle presentazioni non particolarmente confortanti nel corso delle principali fiere di settore. Mighty No. 9 pareva un progetto abbandonato a sé stesso, un cavallo dato per vincente troppo presto ma, alla prova dei fatti, troppo zoppo per poter competere. Eppure, nel titolo del babbo di Mega Man è sempre stato impossibile non cogliere quella passione e quel guizzo del designer talentuoso, a cui il destino (chiamato anche Capcom, stavolta) strappò dalle mani Megaman Legends 3: passione e guizzo che abbiamo notato ancora in questi giorni, nel corso della nostra prova. Ma per quanto onesti essi siano, ancora una volta qualcosa è andato storto.

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Protagonista di questa avventura è Beck, nono robot di una serie speciale – quella dei Mighty – prodotta dal Dottor White per fronteggiare l’ennesima crisi di livello planetario: tutti i robot degli Stati Uniti d’America sono impazziti in seguito al contagio indotto da un virus non meglio precisato e, sfuggiti al controllo umano, si sono trasformati in pericolose macchine di distruzione. Beck, dicevamo, è il numero nove, fattore che dovrebbe farvi intuire come i suoi otto predecessori abbiano fallito nella delicata missione: beh, diciamo che poteva andare pure meglio, visto che proprio questi ultimi sono stati infettati a loro volta dal virus e, resi più potenti, si sono trasformati in veri e propri boss di fine livello da abbattere. Semplice e lineare, la storiella alla base di Mighty No. 9 non stupirà certo per intrighi internazionali, ma il proprio lavoro lo fa egregiamente. Inutile dire che i rimandi a quell’eroe indimenticato con un cannone al posto di un braccio si perdono anche nel tessuto narrativo, ma lasciamo a voi il (facile) compito di coglierle. Sempre se sarete in grado di procedere nel gioco.

Mighty No. 9 è un platform difficile e spietato

Il perché è semplicissimo. Mighty No. 9 è un platform difficile e spietato, che alterna picchi di empietà da denuncia al Tribunale dell’Aja ad altri, persino peggiori, in grado di raggiungere il Lido della Frustrazione, circumnavigarlo un paio di volte e avanzare ancora della benzina per una seconda visita. Nel titolo di Inafune, il tasso di mortalità del vostro alter ego sarà così elevato da farvi domandare se, di colpo, Miyazaki si sia dato ai platform futuristici: sezioni che richiedono un tempismo chirurgico senza alcuna concessione all’errore umano si alternano ad altre, dove il trial&error fa da padrone e soltanto l’esperienza maturata con la frustrazione e la pazienza diventano la discriminante del successo. Lo sviluppatore, dal canto proprio, ha riempito ciascun livello di save point dai quali ripartire in caso di prematura dipartita: non fosse che le sole tre vite a disposizione per ciascun livello, terminate le quali saremo costretti a ricominciarlo, iniziano ad essere poche già nella prima metà del gioco. Ecco dunque spiegato perché, dopo essere morti svariate decine di volte nel medesimo livello, capita di ricevere power up casuali o bonus vari – dopotutto, anche in Comcept hanno un cuore.

Le analogie alla serie Mega Man non si fermano tuttavia alla difficoltà esagerata del gameplay: sarà infatti possibile affrontare gran parte dell’avventura nell’ordine che si preferisce, affidandosi all’istinto e, in taluni casi, alla vera e propria fortuna. La struttura volutamente libera, oggi come allora, nasconde però una pericolosa conseguenza: l’avere o il non avere uno specifico potere quando ci si avvicina ad un determinato livello, può fare la differenza. Uno scenario ragionevolmente fattibile con un robot “evoluto” (che sfrutta un potere ottenuto dopo aver completato un determinato livello) può apparire invece insormontabile se affrontato nelle battute iniziali: serve dunque un minimo di attenzione nel pianificare il proprio viaggio, unito ad un’esplorazione – per quanto superficiale possa essere alla prima run – delle opzioni possibili. Mettete già in preventivo un paio di funerali…

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La vera novità introdotta nelle dinamiche ludiche di Mighty No. 9, rispetto al platforming tradizionale di Mega Man, è l’assorbimento dei poteri nemici. Dopo aver temporaneamente stordito un nemico, sarà possibile assorbirne alcune abilità effettuando il cosiddetto Dash, uno scatto veloce in corrispondenza della loro direzione. Se eseguito col giusto tempismo, permetterà a Beck di godere di svariati perk, come l’aumento della potenza di fuoco o della sua velocità, per un breve periodo di tempo. La meccanica del Dash nasce chiaramente per scopi offensivi, ma diventa una fedele alleata anche nel corso dell’esplorazione dei livelli, in quanto permette di superare piattaforme o ostacoli normalmente non accessibili. Il tempismo e la precisione, ancora una volta, sono tutto: occhio a non abusare del Dash, specie in scenari scomodi o pieni zeppi di trappole elettroniche.

Trappole che non mancheranno affatto in questa avventura di Inafune, nonostante sia impossibile non notare un riutilizzo evidenze degli asset in tutti e otto i livelli di cui si compone e un level design, per quanto ispirato, sin troppo lineare e prevedibile. Gli scenari disponili sono rivisitazioni dei tradizionali “regni” presenti in qualsiasi platform che si rispetti, dalla rievocazione dei “livelli di ghiaccio e di fuoco”, passando per strutture pseudo futuristiche ad alto tasso robotico. L’autocitazionismo del designer giapponese è a tratti evidente, e pur rievocando piacevoli ricordi da un lato, dall’altro riduce drasticamente la personalità del proprio ultimo titolo, che al netto di qualche modello nuovo e qualche scenario rivisitato, non è molto più di un Mega Man current gen.

Un Mega Man current gen, con problemi tecnologici evidenti.

Un Mega Man current gen che soffre di problemi tecnologici evidenti, nonostante la sua limitata complessità in questo contesto. Una direzione artistica poco incisiva, una cura del dettaglio soltanto parziale e una resa visiva, nel complesso, più simile a quella della passata generazione, finiscono quasi in secondo piano eclissati da dei cali impressionanti del frame rate, non necessariamente legati ad azioni frenetiche del giocatore ma, in casi non così sporadici, all’apparenza casuali. Il che è già di per sé un problema fastidioso, ma risulta ancor più antipatico vista e considerata la precisione richiesta dal gioco stesso in numerosi passaggi. Un peccato non da poco, alla luce di un control schema comunque preciso e ben congeniato.

Conclusioni

Che Mighty No. 9 non fosse un titolo destinato a tutti lo sapevamo da sempre, da quando tre anni fa la creatura di Keiji Inafune apparve quasi dal nulla e, con un Kickstarter da 4 milioni di dollari, diede il via al sogno del Designer di riportare in vita la propria IP più amata e fortunata. Perché Mighty No. 9, a ben vedere, altri non è che Mega Man: un nuovo eroe, nuovi personaggi e una storiella dal sapore anni ’80 imbastita di tecnologia futuristica, ma la concezione alla base del gameplay, la struttura degli scenari, persino il level e il character design non necessitano di uno sguardo particolarmente attento per tradire i propri illustri natali. Un citazionismo rivolto ad una limitata frangia di giocatori, attratti da quelle sfide bidimensionali a scorrimento del passato destinate poi a cedere il passo ad altri tipi di produzione.

Mighty No.9 nasce sotto questa stella, ma evidentemente sceglie l’ascendente sbagliato. Una gestazione travagliata e ricca di imprevisti si traduce in ritardi sequenziali, destinati a loro volta a riflettersi in scelte di design a volte semplici, a volte semplicistiche, a volte addirittura opinabili. Assenza di innovazione, tecnologia carente e mancanza di carisma non sono difetti di poco conto, resi ancor più evidenti dal tempo richiesto da Comcept per portare a termine lo sviluppo, forse davvero eccessivo, e dal budget non certo irrisorio a disposizione. Mighty No. 9, alla fine della fiera, passerà alla storia come l’attesa meno ripagata dell’illustre Game Designer del Sol Levante, un titolo senza infamia né lode in grado di svolgere il proprio compito, ma incapace di reggere il peso del cannone del proprio predecessore. E questo è il suo peccato più grande.

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