È impossibile, disse l’orgoglio. È rischioso, disse l’esperienza. È inutile, tagliò corto la ragione. Devi sfranna’, decise Susie. È iniziato tutto così, in una placida giornata in live su Monster Hunter World, non con queste esatte parole, fosse anche solo perché il mio orgoglio non direbbe mai che qualcosa è impossibile, ma il concetto di fondo era proprio questo.
Dovevo uscire dalla mia comfort zone e osare, abbandonare il certo per l’incerto, compiere un balzo della fede anche se non mi chiamo Altair, ho ancora l’anulare al suo posto e le mele nemmeno le mangio, figuriamoci mettermi a cercarle. Era arrivato il momento di abbracciare lo sfranno, come direbbe sempre Susie (o Rouge Noir, se vi è più familiare così): a detta sua ero sprecata con una semplice balestra leggera, la mia vocazione – il mio potenziale latente – stava tutta nel martello.
Un mostro è troppo coriaceo? Bonk. Alza la cresta, figurativamente e non, credendo di poterti battere? Bonk. Deve pagarla per quella volta che ti ha fatto cadere dal dirupo? Bonk. Hai bisogno dei suoi materiali in fretta, perché “anche meno” le cacce che durano più di quindici minuti? Bonk bonk bonk bonk bonk.
Come avrete capito, questo non è un approfondimento su Monster Hunter Rise; o meglio lo è ma non come siete abituati o potreste pensare. Non sono qui in veste di membro dello staff di GameSoul ma di semplice videogiocatrice – quello che tutti noi del settore infondo siamo, quando svestiamo il nostro ruolo di critici (o supposti tali, sì, sento le vostre battute come un Rathalos il mio odore quando mi avvicino controvento).
Sono qui per raccontarvi quanto è stato bello cambiare, dare ascolto a un consiglio sorto quasi per caso e scoprire che osare a volte permette di scoprire lati di sé che, dopo venticinque anni di gaming, non si pensa di dover (o poter) cambiare. Il mio è sempre stato un approccio cauto, fatto di attese, a volte anche estenuanti, schivate, contrattacchi e, in caso di armi da fuoco, colpi alla testa. Rapidità ed efficacia. Una sorta di ricerca della perfezione, se vogliamo, che un’arma brutale non concede: quale soddisfazione dà andare di ignoranza, quando si può aspirare a un’esecuzione pulita che spinge le tua abilità oltre il loro limite?
Molto spesso ho cercato di mettermi alla prova in tal senso, complicandomi inutilmente la vita perché di latente non devo avere solo del potenziale, ma anche una buona dose di masochismo. Ponevo il superare me stessa di fronte al divertimento, all’approccio genuino di un gioco senza l’ossessione di non subire danni, fare tutto in modo ineccepibile, come se fossi sempre sotto la lente di ingrandimento; quando in realtà, a giudicarmi, ero solo io.
Dunque martello, dicevamo. Non ero convinta e infatti, giocando in live a Monster Hunter World (dove mi sono appunto specializzata con la balestra leggera) sono stata refrattaria al cambiamento, preferendo restare nella comfort zone di cui sopra. C’erano ragioni sciocche, come l’autoconvinzione che un cambio così radicale non avrebbe fatto per me, e altre più pratiche come il dover ottenere materiali specifici a un punto fin troppo avanzato del gioco. Monster Hunter Rise, invece, poteva essere quel punto di svolta necessario – a fresh start, direbbero oltremanica.
Resettare tutto e iniziare da zero. Sembra un dilemma banale, ma per chi ha tenuto fede al proprio stile in venticinque anni di vita è difficile pensare di approcciarsi a qualcosa del tutto diverso. In questo, Monster Hunter Rise si è rivelata la scelta migliore per due ragioni strettamente legate fra loro: chi lo conosce sa quanto a lungo può protrarsi la caccia in solitario e la balestra, in tal senso, non aiuta; inoltre dovevo recensirlo e per quanto i tempi fossero generosi (qualcosa che non accade così spesso) non era comunque l’unica consegna che avevo in cantiere.
Se volevo accumulare ore sufficienti a dare la valutazione più esaustiva del gioco, dovevo cedere al compromesso di “tradire” la mia natura più defilata ed espormi in campo aperto per picchiare duro – e poi mi fidavo del giudizio di chi, in poche settimane, aveva accumulato su Monster Hunter World più ore di quante ne abbia fatte io fin dalla sua pubblicazione.
Dunque mi sono ritrovata tra le mani un martello grande quanto il mio cacciatore e ben poche idee su come farlo funzionare correttamente. Mi sembrava ingombrante e lento, pur recuperando nei danni inflitti ciò che mancava in questi due punti. Non lo sentivo mio. Finché qualcosa, non so dire come né quando, è scattato e ho capito che quel consiglio dato seriamente, ma nato in un contesto ironico, fosse perfettamente azzeccato.
Mi sembrava quasi incredibile di aver giocato fino a quel momento ignorando la bellezza di cotanta ignoranza. Ora dopo ora, sono cresciuta attorno a quell’arma, l’ho resa una parte di me e ora non riesco nemmeno a immaginare di tornare indietro. Non giocando a Monster Hunter, almeno. C’è un senso di soddisfazione nel calare violentemente la testa del martello su una creatura che fino a un attimo prima ruggiva verso di me, convinta di dovermi dare una lezione su come funzionasse la catena alimentare; un’adrenalina che la balestra non dava per ovvie ragioni, vedendomi sempre nelle retrovie e mai davvero preoccupata per la mia salute. Dovevo solo preoccuparmi di avere abbastanza proiettili.
Adesso invece mi trovo faccia a faccia con la preda, cercando di prevederne il comportamento, mirando sì il suo punto debole ma senza la pressione di doverlo centrare per forza, perché il martello non si preoccupa di queste amenità. Quando cala, lo fa per distruggere ed è la sola cosa che importa.
È un modo di cacciare diverso, ancora nuovo sotto certi aspetti, ma perfetto nel ricordarmi come un videogioco sia prima di tutto divertimento e soltanto poi soddisfazione personale. Superare se stessi non è sbagliato, porsi un obiettivo neppure, ma videogiocare deve essere anzitutto uno svago. E questo improvviso cambio di stile ha reso Monster Hunter Rise ancora più godibile di quanto non lo sia già. Quindi sì, parafrasando il film di Adam Sandler, è proprio il caso di dirlo: cambia la tua vita con un bonk.
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