nba 2k17
22 Set 2016

NBA 2K17 – Recensione

Caro basket, sono pronto a lasciarti andare”. Era il 30 Novembre 2015, e così esordiva Kobe Bryant in una lettera arrivata come un fulmine a ciel sereno che, per ovvi motivi, sarebbe passata alla storia. Dopo 20 anni di successi, di fatiche e di vittorie tutte cucite sulla maglia dei Los Angeles Lakers, l’iconico Mamba – oramai varcata la soglia dei 37 – annunciava il proprio ritiro dal parquet dell’NBA al termine della stagione 2015/16. Un saluto anticipato, non un tradizionale e malinconico addio, firmato da un ragazzo sorridente che, nonostante tutto, di cose all’NBA e al Basket moderno ne ha insegnate parecchie. Non è dunque un caso se Kobe, per questa “stagione videoludica”, sia l’uomo copertina di quello che al momento rappresenta il miglior simulatore sportivo sulla piazza: o forse è il caso di dire del Top di Gamma di NBA 2K17, figlio prediletto di 2K Games che riserva proprio all’impareggiabile 24 dei Lakers la cover della propria Legendary Edition.

Perché ammettiamolo, non esiste nessuno in questo pianeta capace di fare, almeno in termini di pallacanestro, quanto svolto da Visual Concepts negli ultimi anni. Una crescita costante, un eterno alzare l’asticella verso nuovi livelli impensabili: dalla grafica alla giocabilità, dalla capacità di rendere davvero reale un videogioco simulativo a quello che forse è l’ingrediente più importante di questa ricetta, il saper divertire il proprio pubblico. Ecco perché, inutile quasi sottolinearlo, le nostre aspettative su questo NBA 2K17 erano tanto alte quanto la voglia di metterci addosso le mani il prima possibile, di scendere anche quest’anno sui lucidi parquet americani e infiammare il pubblico a suon di Alley Oop, di No Look Pass e di tutti quei virtuosismi a cui Kobe, LeBron o Irving ci hanno abituato.

Visto l’ottimo risultato dello scorso anno, i ragazzi di Visual Concepts non devono aver avuto vita facile in questi dodici mesi scarsi di gestazione. Ma, anche quest’anno, i risultati parlano da soli: interessanti rifiniture del gameplay, una pletora di nuove modalità di gioco e, cosa forse più importante, una modalità MyCareer godibile e, rispetto a quella proposta lo scorso anno da Spike Lee, più immediata e divertente. C’è tutto quello che un appassionato di NBA può desiderare: ora in campo mancate solo voi.
NBA 2K17

Una volta scesi sul parquet di gioco, il gameplay di NBA 2K17 sigla un significativo passo avanti rispetto alla versione dello scorso anno. L’enfasi viene posta sul controllo di palla, nettamente più tangibile che in passato, ed è sotto gli occhi di tutti come una tale scelta influenzi i canoni simulativi dell’intera giocabilità. La lunghezza della braccia dei giocatori, ad esempio, rappresenta un parametro critico tanto in attacco quanto in difesa: impossibile scivolare indenni attraverso il quintetto avversario, una situazione che appare ancor più evidente se ci si ritrova a comandare un armadio sopra i due metri e dieci o, al contrario, un più agile “uno e novanta” in guardia alta. In NBA 2K17, insomma, anche i centimetri possono fare la differenza: il resto lo fa l’abilità dell’atleta.

Sarà infatti possibile effettuare delle veloci finte o cambi di direzione con un semplice tap dello stick destro: successo della giocata e bontà della stessa, chiaramente, dipendono in modo essenziale dalla bontà del giocatore che le effettua, anche se ancora una volta tempismo e un minimo di attenzione sono inderogabili. Gli atleti più skillati avranno sicuramente meno difficoltà ad inanellare un paio di giocate ad effetto e bucare la difesa avversaria: è il caso di giocatori come Irving o Paul, caratterizzati da un controllo di palla sensazionale e, proprio per questo, capaci di dar vita ad autentici dribbling con cui eludere la marcatura ed andare a canestro in schiacciata o in layup. Provate con un cestista meno quotato, al contrario, e vedrete il pallone schizzare via verso il possesso avversario. Sia chiara una cosa: James, Wade, Durant o amici “della stessa tacca” sono tutto tranne che infallibili – forzare un’azione al momento sbagliato, anche per questi, è sinonimo di palla persa. Diciamo che, quantomeno, le percentuali giocano nettamente a loro favore.

La meccanica del tiro rappresenta una delle revisioni principali di NBA 2K17

La meccanica del tiro rappresenta una delle revisioni principali introdotte da NBA 2K17 e, pur confermandosi più immediata di quanto sperimentato lo scorso anno, richiede un minimo periodo di rodaggio per essere assorbita appieno. In sostanza, si tratta di rilasciare lo stick destro (o il tasto associato al tiro, per chi utilizza il control schema tradizionale) quando l’apposito meter che appare ai piedi del giocatore è pieno. Contrariamente alla passata stagione, che prevedeva di “fermare” il meter in uno specifico punto, in NBA 2K17 l’area da riempire va a dipendere da una lunga serie di parametri, che spaziano dalle effettive skill del portatore di palla (del resto, chiunque giochi a basket ha una mattonella preferita da cui segnare e, dualmente, una zona oscura), dal suo stato di affaticamento, dall’efficacia della difesa avversaria e via dicendo. Maggiore la difficoltà del tiro, minore la corona circolare da riempire – che, in caso di tiro perfetto, verrà evidenziata con un verde acceso.

Certo, nel caso di contropiedi vincenti o di un’autostrada libera per concludere in schiacciata potremo tranquillamente dimenticarci di questa meccanica e dar libero sfogo allo spettacolo: va comunque da sé che il tempismo rappresenta la chiave di lettura preponderante. Altrettanto interessante è l’indicazione sulla “bontà” della zona in cui il nostro alter ego si trova: se si tratta di una zona calda, dalla quale le possibilità di canestro sono maggiori, il cerchio al di sotto del giocatore si illuminerà di rosso. In caso contrario, esso assumerà una tonalità azzurra – ad indicare che no, meglio passare la palla ad altri. Spostandoci nella metà campo avversaria, difesa permettendo, sarà dunque possibile capire al volo se e quando tirare e, in base a questo, pianificare una strategia d’attacco vincente: smarcare la nostra guardia specializzata dall’angolo, magari portando un blocco al suo difensore, potrebbe essere sinonimo di tre punti garantiti.

NBA 2K17

Netto aggiornamento anche per il comparto animazioni, che arricchisce – sia in numero che in quantità – il già enorme set che ha contraddistinto l’ottimo operato di Visual Concepts durante la passata declinazione del franchise. Azioni come il rubar palla, tagliar fuori l’avversario a rimbalzo o prendere posizione in post appaiono convincenti e verosimili, capaci di trasmettere quella sensazione di peso e inerzia caratteristica di uno sport come la pallacanestro (dove, non è il caso di ricordarlo, i dieci in campo proprio dei fuscelli non sono). La fisicità rappresenta una componente importante nell’operato dello sviluppatore, che la investe di un ruolo decisivo nel contesto della giocabilità: sarà compito di chi stringe il pad tra le mani, di volta in volta, elaborare la giusta decisione in relazione alla stazza – e ovviamente alle skill – del personaggio controllato.

In questo contesto non possiamo certo dimenticare le Signature, quelle mosse che contraddistinguono ciascuna star del Parquet e, in NBA 2K17, rese ancora più fedeli alla controparte originale; si passa dalle celebrazioni, come la classica esultanza poco contenuta di Carmelo Anthony dopo uno slam dunk a due mani o quelle altrettanto distinguibili di Drummond o Russell. a giocate vere e proprie che gli spettatori più attenti dell’NBA non faticheranno ad individuare. Del resto, come non riconoscere lo stile di tiro unico di Kyrie Irving?

Discorso analogo quando si tratta di palle perse, laddove l’introduzione di nuove animazioni (tra cui tuffi spettacolari e recuperi al limite dell’impossibile) regala a chi gioca qualche possibilità in più di portare a casa un pallone che sembrava ormai perso. Questo, dall’altro lato, richiede una maggior attenzione quando si passa, visto e considerato che anche i nostri avversari non si risparmieranno doppi carpiati con avvitamento pur di interrompere la nostra azione e siglare un parziale favorevole: abusare dei passaggi sopra la testa o di quelli “a rimbalzo” proprio nel mezzo delle maglie nemiche, in nove casi su dieci, si traduce in un chiaro cambio di possesso. Fortunatamente anche la meccanica dello steal è stata riveduta, confermandosi più strategica e profonda di quanto visto lo scorso anno, seppur decisamente più punitiva. Ancora una volta, è necessario entrare in sintonia con NBA 2K17, capendone i ritmi e affinando quel tempismo necessario ad intuire quando sia il momento più adatto per agire. Premere come dei forsennati per rubare palla non porta a nulla, se non a subire una coppia di tiri dalla propria lunetta: serve pazienza e parecchio allenamento, ma cogliere l’istante preciso in cui il portatore di palla è vulnerabile e soffiargli la palla prima ancora che possa reagire regala delle soddisfazioni non certo trascurabili.

Anche quest’anno, i risultati parlano da soli

A rendere ulteriormente vincente il gameplay di NBA 2K17 ci pensano le routine di Intelligenza Artificiale, fiore all’occhiello di Visual Concepts che, mai come quest’anno, stupisce e convince per reattività, intraprendenza e capacità di lettura del gioco. Ciascun giocatore in campo, entro i limiti dettati dalle proprie capacità, applica delle logiche ferree nelle rispettive giocate, obbedendo a schemi ben precisi, cercando di eludere marcature per posizionarsi al posto giusto, anticipando eventuali scelte del Player One favorendogli uno scarico veloce per una tripla smarcata o tagliando l’area piccola per un Alley Oop spettacolare. Allo stesso modo, è encomiabile come essi reagiscano attivamente agli eventi di gioco, specie nelle fasi finali quando la pianificazione va irrimediabilmente a farsi benedire e quello che conta è spedire la palla dentro il canestro nel minor tempo possibile. C’è strategia, sia offensiva che difensiva, analisi della situazione di gara corrente, consapevolezza spaziale e improvvisazione: un’intelligenza tra le più evolute di questa generazione, che finisce per corroborare ulteriormente quell’autenticità del gameplay che espande il concetto di realismo già introdotto lo scorso anno.

Parlando di contenuti, anche per quest’anno vale la legge dimostrata al giro precedente: tra single e multiplayer, locale o online, di modalità con cui sbizzarrirsi ce ne sono a bizzeffe. Le compagini americane dell’NBA sono ovviamente presenti in completo schieramento, impreziosite dalla presenza di alcune formazioni storiche con tanto di divise e stemmi ufficiali: a queste si affianca per la prima volta il Team USA 2016, allenato dal leggendario Coach K (al secolo Mike Krzyzewski, detentore di praticamente tutti i record associati al Dream Team, nonché numero uno in quanto a vittorie per quanto riguarda la divisione cestistica principale), e la bellezza di 21 formazioni europee, i migliori quintetti provenienti dall’Eurolega – divenuta nel corso degli ultimi tre anni una presenza fissa nella simulazione di casa 2K Sports. Il divario tecnologico tra statunitensi e i top player di Real Madrid, Panathinaikos o Maccabi Tel Aviv è ancora evidente ad un occhio attento, ma l’attenzione e la cura dedicate alle formazioni del vecchio continente continuano a salire anno dopo anno.

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Il punto di forza di NBA 2K17, come oramai da tradizione, è la modalità MyCareer. Marchio di fabbrica del franchise di casa 2K, essa mette il giocatore nei panni di Pres, diminutivo di The President, stella del college e promessa annunciata dell’NBA. Grande spazio è lasciato alla personalizzazione dell’alter ego, che potrà essere creato da zero sfruttando un ricco editor in game – che permette sia di particolarizzarne il volto e annessi dettagli, a seconda del proprio gusto personale, sia di divertirci con parametri più importanti nell’ottica del gameplay, quali statura, lunghezza delle braccia e peso. E, ovviamente, il ruolo preferito. In alternativa, sarà possibile effettuare una scansione del proprio volto grazie a MyNBA2K17, companion app disponibile per device iOS e Android: con un telefono dotato di fotocamera di buona qualità i risultati sono effettivamente impressionanti. Senza contare che vedere il proprio volto nel quintetto base dei Cleveland Cavs a fianco di LeBron James, un pizzico di orgoglio te lo regala.

Espletati tutti i citati doveri relativi al MyPlayer è dunque tempo di mettersi in gioco: la struttura di MyCareer ammicca volutamente alla narrazione, abbandonando i paradigmi quasi drammatici della passata regia di Spike Lee (ottima da un punto di vista cinematografico, ma indubbiamente “troppo” per un videogioco, seppur dello spessore di NBA 2K) in favore di una trama più leggera e divertente, capace di offrire un mix equilibrato tra spettacolo e giocato vero e proprio. Compito di Pres sarà scegliere un college di appartenenza tra quelli presenti (aumentati in numero rispetto allo scorso anno), e una volta in squadra iniziare a macinare canestri e prestazioni da urlo sino a raggiungere la finale tra college, condizione sine qua non per l’accesso nel tanto agognato Team USA di Coach K e, parallelamente, per guadagnare una buona posizione all’interno del draft delle rookie per il grande salto al professionismo nella NBA.

Il punto di forza di NBA 2K17, come oramai da tradizione, è la modalità MyCareer

In termini ludici, MyCareer presenta tratti affini a quelli di un gioco di ruolo occidentale, con la vita di Pres scandita da un affollatissimo calendario che richiede al protagonista di dividersi tra numerosi appuntamenti: allenamenti di squadra o “solitari”, eventi stampa, comparsate in luoghi di ritrovo per accrescere la propria popolarità tra i fan e, chiaramente, match veri e propri. Gli obiettivi sono disparati, e pur essendo lo scopo ultimo quello di diventare una leggenda vivente della National Basket Association richiedono a Pres di conciliare vita privata (amici, una madre esaltata dai risultati del figlio, una fidanzata orgogliosa di lui) con l’onnipresente allenamento e il “livellamento” delle proprie skill. Pur trattandosi di un astro nascente, Pres inizierà con valori poco sopra la sufficienza, che difficilmente gli garantiranno vita facile nelle sfide sui parquet più infuocati. Allenarsi ai liberi o al tiro da tre, sfruttare le intese sessioni di squadra, approfittare della palestra libera per far salire un apposito indicatore e guadagnare punti speciali, grazie ai quali vengono sbloccate o potenziate determinate abilità, diventano manovre propedeutiche e necessarie. Investire VC, la Virtual Currency di NBA 2K guadagnata sul campo di gioco in base al giudizio ottenuto a prestazione terminata, presenziando eventi speciali o, più in generale, affrontando una qualsiasi delle modalità presenti in NBA 2K17, permetterà a Pres di bruciare qualche tappa, facendogli mettere le mani in anticipo su abilità speciali o, per gli amanti del total look, garantendo l’acquisto di divise, scarpe o quant’altro in tiratura limitatissima.

MyPlayer e MyCareer offrono una componente online stabile ed efficace, che permette di condividere la propria esperienza di gioco (e, inevitabilmente, il proprio bel muso opportunamente scannerizzato) con una pletora di altri aspiranti cestisti, che potranno essere sfidati nell’immancabile MyPark – per chi non fosse pratico, si tratta di una modalità competitiva online che permette a due giocatori di darsele di santa ragione in un tradizionale campetto americano a bordo strada. Del resto, tutte le stelle più brillanti del firmamento NBA nascono da un piccolo Park sperduto…

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Poche le novità all’orizzonte per MyGM e MyLeague, altre modalità apprezzatissime della serie rivolte agli amanti dei manageriali e che, proprio per questo, sostituiscono canotte e scarpe da basket con più eleganti completi con cravatta. Nei panni di un General Manager, in MyGM dovremo gestire tutti gli aspetti burocratici, siano essi di matrice tecnica che amministrativa, di una franchigia a nostra scelta. Decisamente più complicate le cose in MyLeague, dove dovremmo decidere vita, morte e miracoli dell’intera Lega – prevista per un massimo di 36 squadre, che potranno affrontare la Season intera o optare per i soli PlayOff: una sfida facile soltanto a parole, laddove una cattiva gestione degli stipendi di giocatori e allenatori, una pianificazione scriteriata di tornei o del numero di gare settimanali (giusto per citare alcuni tra i parametri più critici della dozzina che i più coraggiosi dovranno affrontare) rischia di porre un’amara conclusione al nostro operato di Manager di Lega ben prima degli otto anni massimi previsti.

Quello appena descritto rappresenta lo zoccolo duro di NBA 2K, che a fianco di MyTeam (l’equivalente di FIFA Ultimate Team in ambito pallacanestro), delle immancabili Amichevoli off/online, delle sfide più disparate e delle tradizionali Seasons permette di godersi le glorie (e gli oneri) di MyLeague in un affollatissimo ambiente online e, da quest’anno, di divertirsi con Start Today, interessante new entry che catapulta il giocatore alle redini del comando del team prescelto partendo da statistiche, posizione in classifica e andamento generale identici a quelli della controparte reale, nell’esatto istante in cui si è iniziata la modalità di gioco. 2KU rappresenta invece un utilissimo tutorial, rivolto ai giocatori meno esperti, dove affinare le tecniche base – e anche qualche skill interessante – in compagnia del Team Usa 2016 e del già citato Mike Krzyzewski. L’idea alla base di 2KU è quella dell’interazione, laddove sarà lo stesso Coach K a suggerirci in svariate occasioni di riprovare più volte una stessa sequenza o, ad esempio, ad “obbligarci” a siglare canestri con una specifica giocata: utilissimo per le nuove leve di 2K Sports, ma un po’ di ripasso ai veterani male non farà di certo.

Ad un passo dalla perfezione

Chiudiamo questa analisi con l’immancabile parentesi tecnologica, inizando per l’occasione con la componente online. Al netto della nuova modalità Start Today, che sarà resa disponibile a tutti a partire dal prossimo 25 Ottobre, l’infrastruttura dei server 2K ha retto doverosamente al fisiologico affollamento dei primi giorni. Di gran caratura il matchmaking, stabile e ragionevolmente veloce nel trovare il giusto avversario in praticamente tutte le modalità competitive disponibili, ottima la gestione dell’incontro – che, nonostante l’elevato numero di variabili in gioco ad ogni sfida, è pressoché esente da lag e disconnessioni casuali. Una prova superata con ottimi voti, esattamente come quella relativa al comparto audio.

2K Games non lascia al caso nessun particolare: ecco perché, da un punto di vista meramente uditivo, NBA 2K17 è un ulteriore passo avanti verso la simulazione perfetta. La “musica del parquet” viene riproposta alla perfezione, con effetti sonori precisi e verosimili (rimbalzi, “strisciate” sul campo di gioco, la retina del canestro che si gonfia e via dicendo) impreziositi da una resa del pubblico estremamente convincente. Menzion d’onore per la telecronaca, senza dubbio quanto di meglio si possa trovare in un videogioco di questa generazione: gli inossidabili Kevin Harlan e Greg Anthony vengono ora affiancati nel commento da personalità sportive del calibro di Brent Barry, Clark Kellogg, Doris Burke, Steve Smith e Chris Webber. Il risultato può essere soltanto uno: una più decisa varietà nei commenti degli speaker, forti di un nuovo sistema di dialogo – ricchissimo in linee di testo – che ricrea un parlato simile in tutto e per tutto a quello reale. Pause, battute, voci che si sovrappongono e opinioni differenti che rispecchiano l’andamento corrente della gara. Aggiungete il povero David Aldridge per il commento a bordo campo (che, nella maggior parte dei casi, verrà bellamente skippato per tornare quanto prima nel vivo dell’azione) e il faccione rotondo di Shaq per il pre e post-game e capirete subito per quale motivo, nell’ambito del Sound System, NBA 2K17 tema ben pochi rivali.

Rivali che possono soltanto impallidire di fronte al comparto grafico di NBA 2K17, che più di chiunque altro in questa generazione arriva a lambire le vette più alte del fotorealismo. La modellazione degli atleti è esemplare: dalla barba alle varie acconciature, dai numerosi tatuaggi alle gocce di sudore dopo uno sforzo prolungato, ciascuna star del basket del titolo Visual Concepts rappresenta quanto di meglio potessimo aspettarci in fattore di trasposizione digitale. Le formazioni americane godono sicuramente di un trattamento migliore rispetto a quello riservato all’Eurolega, e lo stesso discorso si applica pari pari ai top players NBA più conosciuti del pianeta: ciò non di meno, il lavoro dello sviluppatore è impressionante, in grado di regalare colpi d’occhio tranquillamente paragonabili a quanto, normalmente, si vede in TV. A rendere il tutto ancor più verosimile e coinvolgente ci pensa il taglio delle trasmissioni: pre e post partita, replay dettagliatissimi con close up da levare il fiato, stacchi tra un quarto e l’altro dove i modelli 3D degli atleti rispondono a domande specifiche o parlano della situazione personale e della propria squadra. Addirittura c’è un minigame in stile Trivia, giusto per passare il tempo. Un quadro di perfezione quasi assoluta, insomma, corroborato da una realizzazione delle principali arene di gioco di primissimo ordine e da un pubblico, di norma elemento meno convincente del quadro, ben al di sopra delle medie dei titoli sportivi di questa generazione. Ma è l’espressività dei suoi eroi che rende NBA 2K17 un tripudio visivo: lo sguardo da killer di LeBron, la grinta di Wade su ogni palla come fosse l’ultima… La passione di 2K e Visual Concepts traspare anche da questi piccoli dettagli: che poi, pad alla mano, così piccoli proprio non sono …

Conclusioni

Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto“. Difficilmente, in 17 anni di onorata attività, il numero di fallimenti di 2K potrà essere lo stesso: ma se c’è una cosa che accomuna NBA 2K al leggendario Michael Jordan, quella è proprio la parte conclusiva di questa celebre citazione: alla fine ho vinto tutto. Perché inutile girarci troppo attorno, NBA 2K17 è di gran lunga la miglior simulazione sportiva attualmente disponibile sul mercato del videogioco. E questo indipendentemente dal fatto che amiate il basket alla follia o che, al contrario, non riusciate a trovare il senso di dieci energumeni che si prendono a spintoni per gettare una palla dentro un buco. Nell’operato di Visual Concepts c’è cura, passione, attenzione, conoscenza a 360 gradi di uno degli sport più amati del pianeta e, allo stesso tempo, un know how tecnologico da far girare la testa.

La grandezza di NBA 2K17 è proprio questa: la capacità di fondere una tecnologia di primissimo ordine ad una giocabilità totale, votata interamente al realismo e alla simulazione. Una scelta rischiosa quella di 2K, che richiede al giocatore un periodo di prova non certo istantaneo per poter apprezzare quanto questa declinazione del basket digitale abbia da offrire. Ma una volta imparato il control schema, digerita tutta quella fisica che diversifica completamente il modo di giocare di un “over 2 metri” rispetto ad una guardia di soli “uno e novanta” e, cosa più importante, imparato a giocare di squadra chiamando un blocco o tagliando l’area per un assist a canestro, rimane solo una cosa da fare. Scendere in campo, lasciarsi trascinare dall’euforia di un pubblico incandescente e dimostrare che, a fianco di MJ e Kobe, c’è spazio per una nuova stella del basket. Ecco perché NBA 2K17, al netto di una quantità poderosa di contenuti, è ad un passo dalla perfezione: perché difficilmente troverete un prodotto anche solo in grado di scalfirne la grandiosità. E perché, ormai l’abbiamo capito, da qui a 12 mesi rimarremo nuovamente a bocca aperta.