NBA 2K20 è senza mezzi termini il capitolo della discordia, l’ultimo atto di una tragedia che si protrae ormai da un paio di capitoli a questa parte, la classica goccia che, anzitempo a ben vedere, ha fatto traboccare il vaso.
Il trailer sul MyTeam pubblicato circa un mese fa, del resto, valeva come dichiarazione di guerra e rappresentava in maniera lampante la cecità di un publisher, totalmente insensibile alle costanti richieste e pressioni del pubblico pagante, tutt’altro che allettato ed estasiato dalla (rin)corsa alle microtransazioni innescata ormai anni fa, proprio per rispondere e cavalcare il successo del ben più famoso, e performante, Ultimate Team di FIFA.
Per quanto il fiondarsi su Steam, e subissare il gioco di giudizi negativi ancor prima di averlo testato realmente, sia estremamente infantile e poco corretto, innegabilmente era giusto lanciare un segnale, far capire, in qualche modo, che 2K Games deve cambiare approccio e strategia.
Sì, perché il rischio, come ben testimoniano le recensioni negative degli utenti sulla piattaforma Valve, è che le innegabili qualità di una grande produzione, come è a tutti gli effetti NBA 2K20, siano adombrati dalle polemiche.
La criticità di cui sopra, a scanso d’equivoci, c’è eccome. Influenza e per certi versi rende ingiocabile MyTeam. Come ormai da tradizione, per chi ancora non lo sapesse, la modalità permette di plasmare la franchigia dei propri sogni a partire da un mazzo di carte puntualmente ampliabile e potenziabile. Dai giocatori, alle maglie, fino al coach e al palazzetto, ogni ambito della squadra è scelto attraverso le figurine in proprio possesso, ognuna ovviamente dotata di statistiche e bonus ben specifici.
In campo, le abilità col pad del videogiocatore sono influenzate dalla forza degli atleti al proprio soldo, il che, considerando con quanta fatica e lentezza otterrete nuove carte o potenzierete quelle in vostro possesso, incentiva a correre sullo shop online per assicurarsi qualche boost, di giocare d’azzardo con le slot machine nella speranza di ottenere qualcosa di buono. Non è un meccanismo che fa bene alla saga, né tantomeno all’industria in generale, ma è un problema innanzi tutto aggirabile, semplicemente attenuando le proprie ambizioni competitive e accontentandosi dei risultati che si riescono a raggiungere, ignorabile del tutto, in seconda battuta, concentrandosi sulle moltissime altre modalità che ha da offrire NBA 2K20.
La Carriera, tanto per cominciare, si è avvalsa della collaborazione di SpringHill Entertainment, studio di produzione cinematografica, tra i cui fondatori spicca anche LeBron James, specializzata in biopic sportivi. Un po’ come quando la regia fu affidata a Spike Lee, visto il curriculum dell’azienda era lecito aspettarsi qualcosa in più della solita storia dell’atleta costretto a risalire la china, dopo un inizio di carriera a dir poco disastroso. Inoltre, si ha perennemente la sensazione che il sentiero percorribile sia uno e uno solo, nonostante le vostre decisioni, in linea teorica, avrebbero il potere di influenzare il proseguo della trama.
NBA 2K20 è il solito titolo sportivo di sempre, titanico nelle dimensioni, quasi perfetto sotto il profilo ludico
In ogni caso, tuttavia, pur abbondando di cliché, incanalare la crescita di un personaggio, creato con un potentissimo editor, in un percorso narrativo cadenzato da tappe e obiettivi da raggiungere si rivela nuovamente una scelta azzeccatissima.
Come nella scorsa iterazione, inoltre, la Carriera si lega a doppio filo al Quartiere, hub social vagamente open world, perennemente connessa alla rete con cui potrete gareggiare, allenarvi, personalizzare e migliorare le vostre abilità, sempre utilizzando esclusivamente il personaggio creato con l’editor. Quasi un gioco nel gioco, ci si possono passare svariate ore senza neanche accorgersene, attratti continuamente dall’ennesima sfida.
Per il resto, NBA 2K20 è il solito titolo sportivo di sempre, titanico nelle dimensioni, quasi perfetto sotto il profilo ludico. Le novità, in questo senso, non sono moltissime, ma si integrano tutte alla perfezione, regalandoci una simulazione ancora più completa.
MyGM, tanto per cominciare, si fregia ora di punti azione che limitano le operazioni che potrete effettuare ogni giorno, come motivare un giocatore, piuttosto che rivedere l’allenamento previsto in settimana, rendendo la progressione più complessa e anche per questo più interessante.
Sono state inoltre aggiunte tutte le franchigie della WNBA. Non siamo ancora giunti alla parità dei sessi, visto che potrete utilizzare le squadre della lega femminile solo in partite singole o stagioni secche, ma la cura con cui ogni atleta è stata riprodotta, con le sue movenze tipiche, non ha nulla da invidiare a quella riposta con i colleghi uomini.
Sul parquet, a ben vedere, le differenze sono minime rispetto ad un anno fa. Il controllo del palleggio e del tiro con lo stick destro è ancor più intuitivo e realistico. Anche la fisicità degli atleti è ulteriormente migliorata, nonostante permanga qualche caso di compenetrazione poligonale.
Le microtransazioni sono effettivamente un problema non da poco, alcuni caricamenti sono ancora piuttosto prolungati, online non sempre tutto funziona al meglio e tecnicamente si palesano ancora collisioni non sempre perfette tra i modelli poligonali dei cestisti. Eppure NBA 2K20 è oggettivamente e indubbiamente una simulazione strepitosa, praticamente imprescindibile nella softeca dei fan della palla a spicchi. Graficamente sontuoso, contenutisticamente parlando strabordante, galvanizzato da un gameplay ancora più profondo e stratificato, resta il gioco impegnativo e intransigente di sempre. Peccato che MyTeam, effettivamente, soffra davvero troppo la rincorsa di 2K Games alle microtransazioni. |
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