NBA Playgrounds 2

NBA Playgrounds 2 – Recensione

Il primo NBA Playgrounds (uscito lo scorso anno sempre e solo in versione digitale) è stato un tentativo molto coraggioso da parte dei ragazzi di Saber Interactive di riportare in auge lo spettacolo NBA da un punto di vista squisitamente arcade, come già successo per titoli tipo NBA Street o lo storico NBA Jam, con il quale peraltro condivide moltissimo.

Ben consci di non potersi permettere tutte le licenze sportive del caso, gli sviluppatori finirono per ridurre drasticamente il roster di giocatori e le modalità, presentando un titolo dalle intenzioni lodevoli, ma troppo scarno per poter essere apprezzato.

Quest’anno la palla passa in mano ai professionisti, grazie ad una stretta collaborazione con 2K (NBA 2K19 vi dice nulla?) che permette a NBA Playgrounds 2 di andare a sanare tutte le problematiche presenti in precedenza: una nuovissima modalità Stagione, la possibilità di competere online o in locale in qualsiasi momento, tanti campetti su cui dare prova delle nostre abilità e la presenza massiccia di atleti passati e presenti.

“Fantastico!” direte voi. In realtà no, perché quello di NBA Playgrounds 2 è solo un raffazzonato travestimento, dietro il quale si nasconde ancora una volta lo spettro delle microtransazioni, che sembra avvelenare incessantemente tutti i prodotti 2K da qualche anno a questa parte e che non risparmia neanche le produzioni minori, con risultati purtroppo nefasti.

NBA Playgrounds 2

La principale novità del titolo è proprio la presenza della già citata modalità Stagione, a gran voce richiesta dai fan dopo l’inspiegabile assenza nel primo capitolo. Saremo quindi chiamati a scegliere una qualsiasi delle squadri ufficiali NBA e iniziare il breve viaggio (15 le partite totali) che ci porterà alla soglia dei playoff e delle finali.

Le meccaniche di gioco non differiscono troppo da quelle già viste, prediligendo la spettacolarità alla simulazione. Si gioca sempre 2 Vs 2 a tutto campo e man mano che si accumulano azioni e canestri spettacolari si caricherà un indicatore che, una volta pieno, conferisce un potere speciale del tutto casuale, come ad esempio stamina infinita, doppi punti per le schiacciate o persino maledire i propri avversari, riducendo le possibilità di finalizzazione. Dopo ogni match i vostri beniamini accumuleranno esperienza che gli permetterà di salire di livello e migliorare sensibilmente le statistiche a seconda delle proprie specializzazioni (Stephen Curry potenzierà il tiro da 3, Shaq invece la capacità di andare a rimbalzo e le schiacciate).

Anche i campetti a disposizione sono aumentati a dismisura: ora è possibile giocare in ogni parte del mondo, dalle assolta spiagge della Florida alle “gabbie” di New York, sempre con lo stile unico e irriverente che caratterizza i match di NBA Playgrounds. Schiacciate che sfidano la legge di gravità, alley-oop pirotecnici ed acrobazie improbabili sono all’ordine del giorno ed ogni singola partita si trasforma rapidamente in una spassosa sfida a chi fa la giocata più sorprendente.

La progressione di gioco si basa quasi esclusivamente sulle microtransazioni

I problemi iniziano però a sorgere subito: nonostante infatti ogni singola squadra vanti dai 5 ai 12 giocatori selezionabili, questi dovranno essere sbloccati o tramite l’acquisto di pacchetti di figurine (suddivisi in bronzo, argento e oro a seconda del prezzo) o direttamente pagando un elevatissimo costo in crediti virtuali, che possono essere ottenuti completando le partite oppure con l’uso di moneta reale. All’inizio della stagione ci vengono regalati alcuni pacchetti ed il gioco automaticamente seleziona al loro interno due atleti della stessa squadra, per permettere quantomeno l’inizio della stagione.

Ma da quel momento in poi ci vuole poco per rendersi conto di quanto sia difficile ottenere i giusti crediti per acquistare i preziosi pacchetti e sperare che esca fuori uno dei nostri idoli cestistici. Cosa per nulla scontata, dato che i campioni più famosi sono anche i più rari (similmente a quanto accade in NBA 2K19) e quindi più ardui da trovare.

Questo sistema, oltre che essere lento e macchinoso, è una vera e propria presa in giro per chi ha acquistato NBA Playgrounds 2 e si trova costretto a scegliere se dedicargli decine e decine di ore per comprare i pacchetti oppure spendere altri 10.99€ (soluzione peraltro contemplata nel menù principale e addirittura consigliata), sbloccando all’istante l’intero roster.

Essendo un gioco pensato principalmente per partite occasionali di pochi minuti online od offline, perde tutto il suo fascino se non è nemmeno possibile selezionare tra quelli disponibili, i nostri giocatori preferiti.

NBA Playgrounds 2

Sicuramente le tante modalità disponibili ci permettono di restare impegnati più a lungo: oltre che la già citata stagione, c’è la Gara dai 3 Punti, il Playground Championship, una sorta di torneo online senza limitazioni e la classica Partita Veloce per gettarsi da subito nella mischia.

Malauguratamente, le microtransazioni di NBA Playgrounds 2 gettano un’ombra che fatica a diradarsi su tutta la compagine di gioco, costringendo chi impugna il pad ad una serie di compromessi senza alcun senso.

Le microtransazioni di NBA Playgrounds 2 gettano un’ombra che fatica a diradarsi su tutta la compagine di gioco

Tecnicamente il titolo compie alcuni discreti passi in avanti rispetto alla versione dello scorso anno, soprattutto per quanto riguarda i dettagli. Ad esempio le divise variano a seconda del periodo in cui quel determinato giocatore ha militato in NBA e le stesse star della pallacanestro sono molto più simili “caricaturalmente” alle loro controparti reali. Inoltre è possibile acquistare i cosiddetti Pacchetti Swag che includono esclusivamente abbellimenti estetici, come felpe, pantaloni, occhiali da sole e scarpe; anche questi vanno riscattati con crediti virtuali.

Molto azzeccate le musiche di accompagnamento, gli effetti sonori (nonostante siano praticamente riciclati dal primo capitolo) e la telecronaca, pungente e spiritosa quanto basta.

 

Conclusioni

NBA Playgrounds 2 è una vera delusione, certo non per il gameplay, divertente e immediato, né per le modalità, che sono varie e tutte diverse, né perché, comunque, rappresenta un significativo passo in avanti rispetto all’anno scorso. E nemmeno per il lato tecnico, che rispetta appieno i canoni della serie, garantendo però quei miglioramenti essenziali e ben accetti che risaltano agli occhi più attenti.

È il bilanciamento del gioco targato 2K ad uscirne completamente stravolto: un utilizzo quasi forzato delle microtransazioni che ci ricorda quello già visto nei più recenti titoli NBA 2K (e non è un caso che dietro ci sia la stessa software house) ed azzoppa una progressione che altrimenti sarebbe stata più naturale, coinvolgente e di sicuro meno pesante, come d’altronde già accadeva nel primo capitolo.

La valutazione del titolo non può che uscirne pesantemente peggiorata per questa scelta scellerata e che ci crediate o no, è un vero peccato.

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